Giovanna Cavalli, Corriere della sera 20/8/2009, 20 agosto 2009
«VIDI LA BELLA AMERICANA E FERMAI LA LAMBRETTA»
L’imprenditore: è la seconda foto più pubblicata al mondo
« il 22 agosto del 1951. Firenze. Un caldo boia. Ho 21 anni e studio ingegneria. Si va al Gambrinus a giocare a biliardo perché c’è l’aria condizionata. Guido una Lambretta, dietro porto un mio amico che fa il cameriere. In piazza della Repubblica, davanti al Caffè Gilli, vediamo una bella donna americana che passa. Si voltano tutti, qualcuno fischia, noi accostiamo al marciapiede ».
Un istante dopo il giovane Carlo Marchi, ciuffo biondo e mocassini senza calze, entra per sempre in una delle foto più famose del mondo: American girl in Italy . Con cui la reporter Ruth Orkin immortala la specie degli italian pappagalli . «S’era portata dietro una bellona, lei invece era una gran befana», racconta l’industriale fiorentino che sembra il fratello di Clint Eastwood, 79 anni («Sono un Pnf, piede nella fossa»), pantaloni da lavoro corti e pedule, seduto a ginocchia incrociate sotto la veranda nella tenuta maremmana di Moscatello, Giuncarico, Grosseto. «Non so nemmeno perché sia piaciuta tanto, secondo il New York Times è la seconda foto più pubblicata al mondo, dopo quella del bacio. Bah, per una ventina di euro la vendono tutti gli ambulanti di Firenze». Cinque anni e un matrimonio scandaloso dopo («Lei era una francese, i miei non approvarono »), il padre Ferruccio della Marchi Industriale, chimica dal 1873, decide che per il figliolo è ora di cambiare aria. «Parto per gli Usa con 1.500 dollari, arrivo a Chicago». Mettere la testa a posto è faccenda lunga. Un mese dopo, ecco il primo trip a Las Vegas «con un’amica californiana e un rotolone di banconote. Si gioca al Sands con Frank Sinatra». 1957, dall’Illinois alla Florida. «Caldissima, umida, serpenti a sonagli. Lavoravo come ingegnere idraulico. La sera arrotondavo guidando barchette elettriche per turisti. C’era una ragazza svizzera, campionessa di sci d’acqua, che si esibiva come attrazione. Marina Doria, siamo amici da allora».
Qualche mese dopo si trasferisce nel New Mexico a fare il minatore: «La paga è due dollari e quaranta cents all’ora». Un lavoraccio. «Ma va. Sottoterra si stava d’incanto, 19 gradi, pareti di cristalli color salmone». Col piccone? «Noo, ma che pensa? C’era la macchina che faceva tutto». I bisnonni Marchi, partiti con la produzione di colla, passarono ai fertilizzanti e poi all’acido solforico, solfato di potassio, acido cloridrico. «La famiglia acquisì questa tenuta per cercare pirite, produceva così poco che la ribattezzarono la mantenuta, spiritosi eh? La rilevai io nel 1990». Non ci sono vigne: «Non possiamo mica fare concorrenza ai cognati Frescobaldi» (sua sorella è la marchesa Bona). Sul campo da golf di Moscatello, lo dice una targa d’argento, il record è del principe Andrea di York. Una breve parentesi mineraria canadese, nel Sasketchawan. Poi Beverly Hills e Hollywood, California. «Avevo due amici lì. Uno era Gregory Peck, l’altro un contadino del Nebraska che si chiamava Henry Fonda. Qualcuno ci ha presentati, non ricordo chi. Gregory era un tirchio tremendo. Nel 1958 ci fu un party per il film The big country . Costò 47.500 dollari, pagava William Wyler. Ma lui soffriva lo stesso. Hank Fonda era simpatico. Ebbi un flirtino con la figlia Jane, allora era molto carina, dopo è diventata antipatica. C’era Liz Taylor, vedova da poco, non ricordo di che marito. E Rock Hudson.
Disperato perché gli toccava baciare un sacco di donne ». Sulle avventure amorose del periodo americano è abbottonato.
A occhio il rampollo Marchi fece onore alla fama dei giovanotti italiani, celebrata con il celebre scatto della Orkin. Ammette solo un rammarico: «Dorothy Malone. Non c’è stato niente da fare».
Per Marchi jr nessuna occasione hollywoodiana, anche se il fisico c’era. «L’unica offerta l’ho avuta in Italia. Il regista Gigi Magni cercava comparse per l’Anno del Signore. Gli portarono me: alto, biondo, occhi azzurri. Aho, ma che ce faccio co’ sto vichingo?». Suona il cellulare: «Caro topone, come stai?». Tre minuti dopo. Scusi, ma chi sarebbe il topone? «Oh, il fotografo Lorenzo Cappellini, lo conosce? Dica, le vanno delle pesche con lo zucchero?». Sul prato il cane Biancone gioca con uno yorkshire e cinque gatti. Il racconto riparte da quei due mesi a Santa Barbara: «Mi mantenevo giocando a bridge. Vincevo. Gli altri, ad una cert’ora, erano sempre alticci ». Nel frattempo però Carlo si è iscritto alla Graduate School of Business della Columbia University a New York. Studia. Ma non solo. «Vivevo al Village. Beh, mi sono divertito. La sera uscivo spesso con un pittore perennemente ubriaco, si chiamava Jackson Pollock. Volevo comprargli un quadro. Quanto costa? Tremila il piccolo, 5 mila il grande. Troppo, gli dissi. Pensavo ne bastassero 500. E lui: ok, andiamo a bere».
A New York un giorno gli presentano una ragazza milanese con l’erre moscia che cercava informazioni sulla Columbia. Era Gioia Falck «ma io non sapevo nemmeno chi fosse, la sua famiglia». Un’immagine d’epoca in bianco e nero, nella villa di Moscatello, la ritrae in posa per Dior. Si sono sposati a Portofino nella chiesa di San Giorgio il 27 ottobre del 1960. Una coppia da jet set. Hanno avuto tre figli, Ferruccio, Filippo e Federico. Con gli anni, Marchi somiglia ancora di più all’ispettore Callaghan. «Stesso mese e anno, stesse rughe. Mi fermano per strada per una foto. Ma lei è Clint Eastwood? Cavolo, come no?».