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 2009  agosto 20 Giovedì calendario

I 30 MILA POSTI DI LAVORO CHE NESSUNO VUOLE


Si cercano falegnami, meccanici, parrucchieri, elettricisti Senza risposta un terzo delle ricerche delle piccole imprese

Va bene che molti giovani, dico­no studi e sondaggi di ogni ge­nere, sognano ancora il posto fisso. Meglio ancora se nella pubblica amministrazione. E va bene che quasi metà degli italiani, come afferma una recente ricerca dell’Eurobarometro, sono talmente restii all’idea del cam­biamento da non riuscire nemmeno a scrollarsi di dosso l’idea che quel po­sto debba durare tutta la vita. Ma con la produzione industriale che arranca, la disoccupazione che galoppa, la cas­sa integrazione che non dà tregua, tut­to ci si potrebbe aspettare tranne che le piccole imprese, proprio quelle che dovrebbero rappresentare il cuore pul­sante dell’economia italiana, fossero a corto di braccia.

Eppure, a giudicare almeno dai ri­sultati di una inchiesta della Confarti­gianato sul fabbisogno di manodope­ra condotta in base ai dati dei primi sei mesi dell’anno, è proprio quello che sta accadendo. L’organizzazione presieduta da Giorgio Guerrini stima che nel 2009, nonostante la crisi, il si­stema delle piccole imprese e dell’arti­gianato potrà creare 94.670 posti di la­voro. Quasi un terzo di questi, tutta­via, rischia di restare vacante: per quanto si cerchino persone in grado di occuparli, semplicemente non si trovano.

Una emergenza al contrario, tanto più paradossale perché con l’immi­nenza dell’autunno si addensano nu­bi sempre più minacciose sul mondo del lavoro. Da Nord a Sud. In Piemon­te ci sono 512 aziende in crisi, con 25 mila dipendenti in cassa integrazio­ne. Anche in Emilia-Romagna i cassin­tegrati sono più di 20 mila nelle sole aziende metalmeccaniche. La Sicilia è in apprensione per lo stabilimento Fiat di Termini Imerese. Nel Lazio i po­sti a rischio sarebbero 70 mila. E nelle Marche sono quasi 8 mila i lavoratori messi in mobilità nei primi sei mesi di quest’anno.

Soprattutto, però, le conclusioni dell’indagine sembrano stridere aper­tamente con i timori di quanti sono convinti che gli immigrati tolgano il lavoro agli italiani. Un luogo comune che trova conforto prevalentemente negli ambienti politici di fede leghi­sta, ma che i risultati di uno studio della Banca d’Italia reso noto martedì sembrano invece smentire categorica­mente.

All’appello, secondo la Confartigia­nato, mancano 30.750 persone. Per avere un’idea della dimensione di questo fenomeno basta considerare che si tratta di un numero addirittura superiore a quello dei lavoratori (cir­ca 30 mila) che al giugno scorso in tutta la Lombardia, prendendo per buoni i dati della Cgil, avevano avuto accesso alla cassa integrazione in de­roga.

I dati elaborati dall’ufficio studi del­l’organizzazione degli artigiani infor­mano che la carenza maggiore è quel­la dei falegnami o comunque di perso­ne esperte nella lavorazione del le­gno. A fronte di un fabbisogno di 2.690 addetti, le piccole imprese ne cercano inutilmente 1.390, ovvero quasi il 52% del totale. Per non parla­re poi dei parrucchieri e degli esteti­sti. In questo caso i posti di lavoro de­stinati con ogni probabilità a restare vuoti sono il 49% circa: ben 3.210. in assoluto il buco numericamente maggiore fra tutti i comparti presi in esame dall’indagine. Ancora più gros­so di quello che la Confartigianato de­nuncia per gli elettricisti. Rispetto alle esigenze dichiarate (9.850) ne man­cherebbero infatti 2.840, pari al 28,8% del totale.

Pesante risulterebbe anche la situa­zione delle officine per la riparazione delle auto, con un deficit di 1.640 meccanici. Problema di dimensioni più o meno simili a quello che viene accusato dalle piccole imprese infor­matiche (1.740) e dagli idraulici (ne mancano 1.560): mestiere, quest’ulti­mo, che ha fama di essere anche parti­colarmente redditizio una volta supe­rata la fase dell’apprendistato. Soffre perfino l’edilizia, in assoluto il regno della flessibilità. Stando sempre ai da­ti della Confartigianato le piccole im­prese sono riuscite a reclutare 3.160 carpentieri sui 4.500 che sarebbero necessari. Degli altri 1.340 ancora nes­suna traccia. Ma anche il numero dei disegnatori industriali disponibili è inferiore al fabbisogno di ben 1.110 unità.

La medaglia della crisi economica ha tuttavia una doppia faccia. Se nelle piccole imprese un posto su tre rima­ne vuoto perché non si trova chi lo possa (o voglia) occupare, e nonostan­te sopravviva ancora il mito del posto fisso, nell’ultimo anno c’è pure chi ha reagito alle difficoltà economiche con una scelta opposta: mettendosi in pro­prio. Sintomo del fatto che, trovando­si di fronte all’alternativa fra andare a lavorare alle dipendenze in una picco­la impresa, magari con un contratto da precario, e rischiare invece in pri­ma persona, qualcuno sceglie questa seconda strada.

Non moltissimi, per la verità: nel­l’annus horribilis per il Prodotto inter­no lordo la stessa Confartigianato ne ha censiti 8.134. Ma con situazioni davvero curiose. Mentre infatti i par­rucchieri cercavano inutilmente 3.210 dipendenti da avviare al lavoro, nei dodici mesi compresi fra la fine di giugno 2008 e la fine di giugno 2009 il numero dei barbieri e degli estetisti aumentava di 1.696 unità. Una cresci­ta inferiore soltanto a quella del nu­mero di quanti si sono buttati nella co­siddetta green economy (2.559) non­ché del numero dei gelatai, dei panet­tieri e dei pasticcieri (2.082). Il bello è che alle gelaterie, alle pasticcerie e ai panifici artigianali mancano 1.140 di­pendenti.

C’è poi chi ha tentato l’avventura nell’informatica (462) o nei servizi di trasporto (800), oppure nelle piccole attività di restauro (104), o ancora nel­la tinteggiatura (681). I più creativi hanno scelto invece la strada della pubblicità e del design (119). E un pu­gno di temerari (39) ha messo la pro­pria passione per gli animali al servi­zio del prossimo. Del resto, con questi chiari di luna tutto fa brodo.