Andrea Nicastro, Corriere della sera 20/8/2009, 20 agosto 2009
OTTO ANNI PER RICOSTRUIRE IL PAESE MA LA GUERRA RESTA L’AFFARE PRINCIPALE
Nella capitale ristoranti e supermercati. Eppure i bimbi sono analfabeti
KABUL – «Questo è il mio bel Paese, la terra dei miei avi, è come il paradiso e ha tutto il mio amore», cantava strascicando le parole Awal Mir più di trent’anni fa. Difficile credere alla sua voce romantica. L’Afghanistan che vede uno straniero è fatto di muraglioni anti-bomba, vetri blindati ed enclavi. Ma la polvere arriva comunque. «La polvere di Kabul – raccontò stupefatto nel 2002 un soldato italiano dell’unità contro gli attacchi Nbc (nucleari, chimici e batteriologici) – ha la stessa concentrazione di colibatteri fecali della fognatura di Roma». Un paradiso finito male. Anche e soprattutto per gli afghani.
Le macerie
I palazzi smozzicati dalla guerra civile stanno diminuendo. Al loro posto banche (per i proventi dell’oppio), centri commerciali (per riciclarli), ristoranti multipiano per i matrimoni (questi sì utili, con le loro feste da 4-500 invitati). Finalmente da qualche mese è arrivata a Kabul l’elettricità dall’Uzbekistan. Un lusso elettorale che più prima che poi presenterà una bolletta insostenibile. Eppure Ettore Mo potrebbe ripetere ciò che scrisse su questo giornale nel 1995: «Kabul è ridotta a uno scheletro, un ossario, il posto migliore per contemplare l’inizio della fine del mondo». Il 40% degli afghani non ha lavoro, due milioni di abitanti vivono nella capitale senza fognatura. Ci pensa il sole a disseccare e il vento a disperdere.
La «ricostruzione»
I fondi per la «ricostruzione» hanno oscillato dal 2001 attorno ai due miliardi l’anno, ma solo per tenere in piedi il Paese ne occorrono 1,3: stipendi e spesa pubblica. La ricostruzione è matematicamente una bufala quando c’è a malapena di che tirare avanti. Bastava leggere i solenni impegni della Conferenza di Londra del 2006: «Ridurre l’estrema povertà di chi vive con meno di un dollaro al giorno del 3% l’anno». Potevano anche dire: svuotiamo il mare con un cucchiaino.
Le scuole sono il 40% di quelle necessarie, l’analfabetismo galoppa tra i maschietti al 35% e tra le bimbe al 60%. La vita media non supera i 43 anni. La mortalità per parto è 160 volte più alta che in Italia. Se due miliardi è il regalo del mondo (spese militari escluse) altrettanto è il ricavo dal commercio dei papaveri da oppio. L’attrazione dell’economia della droga (coltivazione, convogli, contrabbando) è almeno pari a quella statale.
Il lavoro e la guerra
Nel 2003 il comandante pashtun Shingul (Verdefiore) che aveva combattuto accanto al tagiko Massud si lamentava del programma di disarmo delle milizie. «Vorrebbero rinunciassi alle mie armi in cambio di spiccioli. La prossima volta che vieni in Afghanistan, avrò la barba più lunga perché sarò talebano, loro sì che pagano bene».
La guerra resta il business più promettente. Solo Washington per mantenere qui i suoi soldati spende tra i 20 e i 30 miliardi l’anno. Il trend è quello di stornarne una parte verso l’addestramento di esercito e polizia locale. La chiamano «afghanizzazione del conflitto ». Ricorda terribilmente la «vietnamizzazione ». Allora andò malissimo.
Shingul non è ancora diventato talebano. A 49 anni si è concesso la «pensione». Lo mantiene il figlio promosso d’un tratto ufficiale di polizia. Shingul tira i fili dell’erede e continua a controllare territorio e miliziani. «Ho tenuto le armi – sorride Verdefiore ”. Mi sono fatto pagare solo le guaste».
Etnia e religione
Tagiki, uzbeki e hazara, minoranze etniche che insieme fanno il 60% dei 30 milioni di abitanti, ripetono: «Non tutti i pashtun sono talebani, ma tutti i talebani sono pashtun». I pashtun sono spesso imponenti, con il naso largo, le barbe selvagge. Gli hazara sono piccoli, con gli occhi affilati dei cavalieri di Gengis Khan dai quali discendono. I tagiki sono magri, con il naso adunco dei persiani. Gli uzbeki tarchiati anche loro con tratti asiatici. Lo stereotipo dice che i pashtun comandano, gli hazara servono, i tagiki complottano, gli uzbeki guadagnano. Il problema è che non basta aver letto Il cacciatore di aquiloni per decifrare l’intreccio etnico del Paese. Dipende da un’infinità di variabili.
Neppure la religione unisce più di tanto. Musulmani sì, ma gli hazara sono sciiti, gli altri sunniti. I pashtun poi aggiungono alla sharia un codice tribale rigido e pervasivo. L’Islam oscurantista inventato dai talebani poggia più sul «pashtun wali» (codice pashtun) che sul Corano. Proprio pochi giorni fa, gli hazara sono riusciti a far passare una legge che vale solo per loro e che, tanto per cambiare, penalizza le donne.
Famiglie e fortini
Una patata a Kabul si lessa in due, tre ore. E prima bisogna portare l’acqua in casa. Siccome non c’è elettricità 24 ore su 24, non ci sono frigoriferi e ogni alimento va acquistato fresco. Nelle campagne è ancora peggio. Le patate devono crescere. I rapporti tra donne e uomini diventano così, per necessità, quelli arcaici di dipendenza reciproca e, talvolta, di sottomissione femminile. Le donne lavorano, gli uomini le difendono oppure se le accaparrano come schiave e forza lavoro. Non c’entra la religione, è questione di sopravvivenza. Le case nelle campagne sono costruite come fortini. Chi vive in condomini ricrea il muro di cinta da un pianerottolo all’altro. Il marito non c’è? I vicini mandano le figlie a dormire da lei, così tutti si fanno garanti della sicurezza di quella casa. Troppe armi, troppa fame. Possedere una donna significa avere almeno una minestra la sera. Avere un marito significa non essere violentata dal primo che passa.
Mujaheddin, talebani, Al Qaeda
I «guerrieri di Allah», mujaheddin, sono stati armati dagli Usa per sfiancare l’impero ateo dell’Urss. Gli «studenti del Corano», talebani, nati da una costola dei mujaheddin, sono stati alimentati dal Pakistan per mettere in sicurezza le retrovie della guerra all’India. Osama Bin Laden è stato ospite dei talebani durante l’attacco alle Torri Gemelle e ora Al Qaeda influenza alcuni comandanti talebani. I mujaeddin lottavano per una Repubblica Islamica, i talebani per un Emirato e Al Qaeda per un Califfato mondiale. C’è sempre qualcuno più puro che ti epura.
Ma quali sono, se ci sono, le differenze ideologiche? Il mujaheddin Rasul Sayaff è un integralista di stampo salafita. Difficile immaginare dispute teologiche tra lui e il capo dei talebani, il mullah Omar, sarebbe tutto uno scavalcarsi a destra. Eppure Sayaff ha combattuto i talebani (pashtun come lui) a fianco del tagiko Massud, si è fatto eleggere nel parlamento dell’Afghanistan «filo- occidentale» e ora appoggia il «democratico » presidente Karzai. Professore, gli chiesi nel 2007, perché accetta deputate donna? «Dipende dalla situazione. Il Profeta ha detto: se hai il potere di fermare il munkar – il male ”, fallo. Se non ce la fai, denuncialo. Se non puoi denunciarlo, ricordatelo. Capisce straniero? Dipende».