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 2009  agosto 20 Giovedì calendario

LODE AL RACCONTO, FORMA BREVE CHE NARRA QUEST’ITALIA A PEZZI


Non partecipano ai premi. Non entrano in classifica. Ma trovano di nuovo spazio in libreria. I racconti, forma di cui il ”900 ha dato esempi magnifici, hanno vinto contro il luogo comune che diceva: «non vendono». Fino a qualche anno fa era molto frequente il rifiuto degli editori di pubblicare libri di racconti: si diceva che i racconti non vendono e che il pubblico preferisce la forma del romanzo; e si giungeva anche al paradosso che delle raccolte venivano mascherate subdolamente sotto l’etichetta di «romanzo». Questo nonostante il fatto che in Italia il racconto abbia avuto nel secolo passato una vitalità eccezionale (magari cominciamo dalle Novelle per un anno di Pirandello; e che dire di Savinio, di Brancati, di Calvino, di Parise, ecc.?).Ora le cose sembranounpo’ cambiate: è vero che solo i romanzi aspirano al ruolo di best seller; è vero che i grandi premi vanno soltanto ai romanzi (anche se romanziche talinon sono,come lo Stabat mater che ha vinto lo Strega: ma che titolo!),ma gli editori danno più spazio a testi che sono un po’ al crocevia tra il racconto, l’aforisma, la divagazione, il ricordo frammentario, ecc.
PECORARO E PERMUNIAN Negli ultimi mesi la forma breve ha dato le migliori prove di sé in libri che avrebbero meritato maggiore attenzione, come quelli di Francesco Pecoraro (Questa e altre preistorie, Le Lettere, ottobre 2008) e di Francesco Permunian (Dalla stiva diunanave blasfema, Diabasis, marzo 2009). Di fronte al rilievo che hanno assunto libri di racconti come gli ultimi di Vassalli, di Debenedetti, della Grasso, della Parrella, questa forma sembra peraltro essersi rivelata come una delle più adatte a narrare l’Italia attuale, la sua lacerazione, i suoi conflitti (ma, per carità, ciò non a nulla a che fare con l’epica!), e molti editori hanno messo su raccolte collettive, legate spesso a tematiche predefinite, a cui in realtà non sempre i singoli scritti corrispondono: dai 7 testi di Padri dell’editore Elliot (maggio 2009) possiamo risalire indietro agli 11 di Lavoro da morire (Einaudi, febbraio 2009), ai 12 di Questo terribile intricato mondo (Einaudi, novembre 2008), agli altrettanti di A occhi aperti (Mondadori, settembre 2008), ai 10 de I confini della realtà (Mondadori, marzo 2008), come di Ho visto cose…(BUR, gennaio 2008), e così via. Intanto è uscito anche un volume di saggi, fitto di interventi critici e storici, su Testi brevi (a cura di M.Dardano, G.Frenguelli, E. de Roberto, Aracne, dicembre 2008). Questi libri collettivi possono essere a volte deludenti; si avverte spesso che la formazione degli autori non è omogenea, che molti hannoscritto quasi contro voglia, per esserci o «parer di esserci». Rispetto a queste raccolte eterogenee, risultati più essenziali sono dati dai libri di singoli autori, dove l’insieme dei testi conduce a dare immagini del mondo a più facce che tra loro convergono: la relativa brevità dei racconti rispecchia in fondo lo spezzettarsi della realtà che oggi ci è dato, i frammenti in cui ci viene incontro quella «complessità» che tutti evocano, mache nessuno riesce ad afferrare. Proprio nel suo proiettare a livelli diversi questi frantumi (citando La terra desolata di Eliot: «questi frammenti su cui ho puntellato le mie rovine ») il racconto può valere oggi come risposta critica allo zapping della comunicazione e alla sua apparente continuità e scorrevolezza, all’aggressione sistematica della televisione e della pubblicità; al racconto si affida la residua possibilità dello stile e della ricerca linguistica, cose che non hanno ormai più spazio nel romanzo, che spesso, stimolato dalla rapidità e dalla scorrevolezza della scrittura informatica, raggiunge dimensioni fluviali, dando quasi sempre immagini illusorie, fittizie, mistificatrici di una complessità che gli sfugge (cosa fanno davvero i lettori con questi romanzoni di mille pagine, ciascuno dei quali pretende di prendere tempo e spazio tutto per sé? Nell’inflazione di messaggi che costipano il mondo, non si tratta in fondo di atti terroristici?). Oggi, a quasi cento anni dalla Teoria del romanzo di Lukács, sarebbe il tempo di una Teoria del racconto. Intanto merita particolare attenzione un libro di racconti di Andrea Carraro, Il gioco della verità (Hacca editore, febbraio 2009, ł 14,00): frammenti della Roma di oggi, di una Roma che non ha nulla di colorato e splendente, maè come sommersa da una cappa di grigia ostilità e indifferenza, dove tutto ciò che succede è segnato dauna sorda estraneità, dove ciascuno è concentrato dentro di sé, senza mai cercare di confrontarsi col mondo e con gli altri: e ciò può avere esiti diversi ed opposti, dalla violenza più torva, al rifiuto di vedere la sofferenza altrui, alle proiezioni sugli altri dei propri desideri e dei propri appetiti, al sentimentalismo più superficiale, alle ostinazioni insensate con cui si reagisce ad eventi imprevisti, alla cieca subalternità a quello che viene proposto dai più manipolatori. Carraro ci mostra come il tempo della comunicazione si risolva paradossalmente nel risolversi di ogni rapporto tra gli esseri umaniin estraneità disgregante (ben peggiore dell’«incomunicabilità» di tempi andati): e ne rende conto in un linguaggio che nega recisamente ogni «aura » e ogni compiacimento: davvero grado zero della lingua.
COME «BELLISSIMA» Ricordo soltanto il tremendo La madre, dramma della sciocchezza di una donna che conduce la figlia a Torvaianica ad una selezione per piccole cantanti: crudele come la Bellissima di Visconti, ma senza catarsi, può essere preso come emblema di questa Italia, il cui il supremo comunicatore in questi giorni ci invita (per uscire dalla crisi) a «riprendere le nostre abitudini di vita e di consumo il più presto possibile».