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 2009  agosto 20 Giovedì calendario

LA PAROLA E’ PIRATI


Pirata informatico. Pirata della strada. Pirata dell’etere. Il Pirata. Usi recenti di una parola divenuta inattuale all’inizio dell’Ottocento, quando la pirateria sembra scomparire come fenomeno sociale per risorgere, di lì a poco, come fenomeno letterario con L’isola del tesoro di Robert L. Stevenson (1883). lì, con figure come Long John Silver, che il pirata diventa quello che conosciamo, entrando nell’immaginario collettivo attraverso un modello che ritorna da Emilio Salgari a Peter Pan, fino al Jack Sparrow di Pirati dei Caraibi (2003). Un pirata non è mai buono, anche se è dotato, spesso, di un personale senso morale. Ha una menomazione (un uncino, una gamba di legno, un occhio offeso), beve rum, cerca un tesoro, è esotico nel vestire e negli animali che lo accompagnano. Ed è, soprattutto, un emblema di libertà, che vive sui mari e risponde a poche regole che si è dato lui stesso. Proprio questo amore per la libertà rende nobili, alla fine, anche le figure più meschine: un pirata è sempreunsignore, «a volte un bastardo a volte un buono», come cantava Julio Iglesias; e vive, come scriveva il guru della controcultura Hakim Bey, la sua utopia, costruendosi zone temporaneamente autonome estranee al controllo di qualsiasi potere costituito. In realtà, la pirateria non ha mai lasciato i mari, ma nonostante produca perdite annue di circa 15 miliardi di dollari, non riusciamo a evitare una certa indulgenza nei confronti dei pirati somali o indonesiani che compaiono, di tanto in tanto, sui giornali. Non dopo Capitan Uncino. Non dopo il Pirata Pantani, così chiamato per la sua bandana, la sua voglia di correre da solo e il suo grande cuore. Anche solo per questo, varrebbe la pena di ribattezzare coloro che, per paura, meschinità o cinismo, lasciano sulla strada i corpi che hanno appena travolto. Chiamiamoli codardi, idioti, criminali, ma non pirati. Anchel’espressione «pirati dell’etere» suona impropria. Più facile riconoscere lo stereotipo del pirata in chi vuole vivere lo stesso modello di libertà fra le maglie della Rete. Ma chi è il pirata? L’hacker buono o il criminale informatico? L’autore di software libero o l’utente abusivo di software proprietario? Chi usa gli strumenti di condivisione, chi li mette a disposizione o il movimento di opinione che sta alle spalle di entrambi? La questione rimane aperta, anche se chi crede che l’informazione deve essere libera non ha esitato a far proprio di un termine che gli era stato appioppato a scopo peggiorativo, e a costruirci sopra una mitologia che guarda a Stevenson ma anche a Matrix e al cyberpunk. Così, ecco comparire il Pirate Party al Parlamento Europeo, e la Pirate Embassy alla Biennale di Venezia. Perché, come riassume il Governatore Swann alla fine di Pirati dei Caraibi, «forse nelle rare occasioni in cui fare la cosa giusta richiede un atto di pirateria, la pirateria può essere la cosa giusta da fare».