Mario Sechi, Libero 20/8/2009, 20 agosto 2009
IL SUPERENALOTTO L’HA GIA’ VINTO LA SICILIA: 40 MILIONI DI EURO
La secessione del Superenalotto è già stata realizzata, primo passo del federalismo che verrà, data di partenza dell’era della civiltà fiscale. E non sarà la Lega Lombarda a rivendicare il primato storico, ma il Lombardo (Raffaele) presidente della Sicilia. La Regione ha già fatto ”sei” da tempo grazie a una legge del 1993 ribadita da un decreto del giugno 2009 e può incassare il 12,25% del totale delle giocate nell’isola. Una schedina che negli ultimi tre anni ha fruttato già 42 milioni nel solo Superenalotto e quasi 90 milioni se sommiamo il resto delle lotterie e dei giochi. il nobile principio dell’autonomia applicato alle scommesse. Sale il jackpot, s’impenna la febbre da vincita, vola il sistemone e il bilancio siciliano gode.
Il miracolo legislativo appena citato è la punta di un iceberg da tenere d’occhio. Perché occuparsi di inni, dialetti e bandiere regionali può regalare un titolo sui giornali, ma intanto la Sicilia - e altre regioni del Sud che dovrebbero dare segni di responsabilità - continuano a passare all’incasso avanzando pretese su mille altri tributi e trasferimenti dello Stato con la sicurezza di chi sa di avere potere, influenza e una certa intangibilità. dall’inizio degli anni Novanta che si parla di Italia a due velocità e invece le Italie sono almeno tre, perchè la Sicilia non è il Mezzogiorno. un mondo a parte regolato da uno Statuto adottato nel 1946, non a caso prima della nascita della Repubblica italiana. Mentre la Padania è poco più di una metafora, la Sicilia è un dato reale della geopolitica italiana e il partito del Sud, di cui Lombardo e Gianfranco Miccichè agitavano la bandiera mentre battevano cassa a Palazzo Chigi, è un intreccio trasversale di interessi economici e politici. L’isola non è un luogo remoto dimenticato da tutti e la sua classe dirigente non abita la periferia del potere. In Parlamento e al governo la lingua più diffusa non è il lumbard ma il siciliano. Giusto per fare un esempio: il presidente del Senato, il capogruppo del Partito Democratico, il presidente della Commissione Affari Costituzionali, sono siciliani. Maggioranza e opposizione dell’isola sono ai vertici. Alla Camera la musica è la stessa. E al governo idem. Basta bussare e si entra nella stanza dei bottoni. I presunti opinionisti che hanno scambiato la protesta di Lombardo e dei suoi alleati per il solito coro dei piagnoni non hanno capito niente: quello era il ruggito di chi sa di poter usare il suo peso politico per drenare una montagna di soldi pubblici e tenere sotto scacco il governo. Fondi che spesso vengono utilizzati con una disinvoltura tale da far pronunciare a Giovanni Coppola, procuratore generale d’appello della Corte dei Conti siciliana queste parole: «I ladri di beni privati passano la vita in carcere, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori». Libero non pensa che questa sia la foto di tutta la Sicilia, ci mancherebbe. E la stessa giunta Lombardo ha dato segni di cambiamento rispetto al passato. Però non si può neppure far finta che non esista un serio problema di quantità (abnorme) e qualità (pessima) della spesa pubblica in Sicilia e nell’intero Mezzogiorno. Pensare di arrivare all’attuazione del federalismo fiscale continuando a sostenere i privilegi, gli sprechi e i pateracchi di sempre – di cui i lettori di Libero avranno un saggio con un’inchiesta a puntate che oggi cominciamo a pubblicare - è una cattiva idea. Pensare di avviare un serio dibattito sull’unità d’Italia, sulle celebrazioni del 2011, la cornice culturale e le opere da realizzare, sorvolando sugli eccessi della politica meridionalista è un diabolico perseverare nell’errore e nell’orrore. il modo più rapido per far proliferare localismi, partiti del Nord e del Sud, indebolire i meccanismi economici e sociali che regolano la solidarietà nazionale. Non ce lo possiamo più permettere.