Angelo Aquaro, la Repubblica 22/8/2009, 22 agosto 2009
HOUSTON HA UN PROBLEMA (ECONOMICO)
Houston, questa volta abbiamo davvero un problema: non c´è più un centesimo. Norman Augustine non la vuole buttare in politica, lui di mestiere fa il manager, è stato anche il capoccia della Lockeed, e quindi pure abbastanza navigato, e non solo nello spazio: ma i piani che aveva trionfalisticamente annunciato George W. Bush, sulla Luna di nuovo nel 2020, su Marte entro il 2050, beh, ce li possiamo scordare. «Non c´è alcuna probabilità che la Nasa riesca a imbarcarsi in una qualche missione nello spazio più profondo prima del 2028. Anzi». La Nasa è finita, andate in pace.
Norman Augustine non è un esperto qualunque: è il capo del panel di becchini che da un momento all´altro dovrà salire alla Casa Bianca per annunciare la morte del progetto spaziale. E a seppellire quel sogno fatto balenare da John Fizgerald Kennedy («Prima che questo decennio finirà, un uomo arriverà sulla Luna e farà rientro sano e salvo», 25 maggio 1961) sarà proprio lui, Barack Obama, l´uomo della nuova speranza, "Hope", affossata dalla recessione.
Certo: tra un paio di giorni, nella notte americana tra lunedì e martedì, l´ennesimo Discovery partirà dal Kennedy Space Center di Orlando, Florida, per l´ennesima missione, due settimane di lavoro intorno alla Stazione Spaziale Internazionale. Ma preparate i fazzoletti: dopo 28 anni di carriera non sempre onorata, anzi macchiata da due tragedie come quella delle navicelle Challenger (1986) e Columbia (2003), sette morti in ciascuna missione, anche lo Shuttle è destinato ad andare in pensione proprio il prossimo anno. Sostituito da che cosa? Buio spaziale: prima che i lanci del nuovo sistema di trasporto, denominato Constellation, prendano quota, ci vorranno almeno altri quattro anni: e siamo al 2014.
Nessuna grande impresa prima del 2028. Mancano i soldi e la Nasa, a quarant´anni dalla conquista della Luna, rinvia i suoi progetti più ambiziosi. Ultima chance: un nuovo finanziamento della Casa Bianca Per non dire definitivamente addio alle missioni spaziali
Non si arrende l´ex direttore Griffin: "Siamo un simbolo della realizzazione dell´impossibile"
Nel frattempo, altro che Nasa: se un astronauta americano vorrà accomodarsi nello spazio (e dovrà farlo, se non altro per andare e tornare dalla Stazione Internazionale) dovrà chiedere la gentilezza di un passaggio agli ex nemici della Russia. O della Cina, che dopo aver lanciato il suo primo razzo sei anni fa prevede di far allunare un velivolo entro il 2012.
Ma che cosa è successo alla gloriosa National Aeronautics and Space Administration? Che cosa è successo all´agenzia che Dwight D. Eisenhower approntò in tutta fretta all´indomani del lancio russo dello Sputnik che imbarazzò l´America e l´Occidente? Bob Parks ci va terra terra: «La verità è che i voli umani nello spazio non ci dicono più nulla» giura a "Wired" l´esperto dell´università del Maryland, ex direttore dell´Istituto americano di fisica. «Tutto quello che possiamo fare, possiamo farlo meglio, più a buon mercato e più velocemente con i robot».
Addio allo spazio? La Commissione per la Revisione dei piani di volo umani nello spazio, rinominata per comodità con il nome del suo presidente, Augustine, è stata costituta nel maggio scorso con un obiettivo preciso: indicare gli obiettivi della Nasa prossima ventura. Le promesse di George W. Bush, anno 2004, seguirono le conclusioni dell´inchiesta sul disastro del Columbia, ma a quelle parole (fra l´altro le uniche spese sull´argomento) il presidente non fece mai seguire i fatti, intesi come un impegno finanziario preciso, e questo ben prima di quell´11 settembre dopo il quale nulla è stato più come prima. Il budget della Nasa non è mai stato stellare, fermo da una decina d´anni a quei 17 miliardi di dollari con cui, dicono gli esperti, non si va da nessuna parte. Solo per la pianificazione del dopo-Shuttle, quel progetto Constellation che prevede il lancio dei razzi di nuova generazione Ares (primo test previsto a ottobre) e delle navicelle Orion, servirebbero 81 miliardi di dollari, che però nessuno ha messo mai a bilancio. La commissione Augustine ha fatto le cose per bene, ha messo sotto la lente più di 3mila piani possibili, ha scremato tutto lo scremabile e ha finito per concentrarsi alla fine proprio sul programma Constellation. Ha detto all´"Houston Chronicle", un giornale che di queste cose è addentro, Sally Ride, ex astronauta e tra i dieci big del gruppo di studio: «Noi non abbiamo identificato un solo scenario che includa l´esplorazione umana come possibile».
Toccherà rivedere perfino gli impegni assunti per il mantenimento della Stazione Spaziale Internazionale, un altro scherzo da 100 miliardi di dollari: sarà completata tra un anno, la Nasa vorrebbe chiuderla già nel 2016, un bel tuffo nel Pacifico e non se ne parla più. Russia, Giappone e Unione Europa non ci stanno: teniamola aperta almeno fino al 2020. Sulla stazione, come nelle barzellette di una volta, ci sono un americano, due russi, un giapponese, un canadese e un belga. E perché gli Usa nicchiano? Spiega Jim Dooley (Pacific Northwest National Laboratory) che negli ultimi trent´anni le spese militari e sanitarie si sono mangiate l´80 per cento dei fondi federali per lo sviluppo e la ricerca: agli inizi degli anni Sessanta la proporzione era inversa. Chiaro, no? La fine della guerra fredda ha cambiato tutto. E non è un caso che i Paesi all´avanguardia spaziale oggi siano quelli in cerca di rivalsa geopolitca. Dice un rapporto del Mit di Boston ("Il futuro dei voli spaziali") che «gli obiettivi di Russia e Cina prevedono lo sbarco dell´uomo sulla Luna nei prossimi vent´anni. L´India ha già un razzo capace di spedire nello spazio una navicella per trasportare l´uomo. Il Giappone aspira a fare lo stesso. Nel 2007 per la prima volta un malese è volato nello spazio, seguito l´anno scorso da un sudcoreano, entrambi su capsule russe». E la Nasa?
Al declino non si arrende l´ex direttore Michael Griffin. «Siamo stati un simbolo della realizzazione dell´impossibile, siamo andati sulla Luna coronando un decennio di infaticabile costruzione. Se lo spazio è una frontiera gli Stati Uniti devono essere la sua punta più avanzata». Belle parole. Che però il buon Griffin può pronunciare, come gli è appunto successo qualche sera fa, davanti a un consesso nobile ma politicamente ininfluente come il Rotary Club di Tuscaloosa, Alabama, dove è stato invitato a pontificare. Vero è che lo stesso accorato appello, Griffin, che ha diretto l´ente spaziale per cinque anni, dal 2005 a oggi, l´ha affidato alle colonne del "Washington Post". Ma il personaggio è particolare, di lui hanno fatto discutere alcune prese di posizione non proprio politicamente corrette sul global worming, e chiacchieratissimo è stato perfino il via libera che avrebbe dato alla missione di uno Shuttle (Discovery, luglio 2006) malgrado le resistenze del caposicurezza Bryan O´ Connor.
Poca dietrologia: da luglio sulla sua poltrona siede Charlie Bolden, ex generale di Marina, ma soprattutto ex astronauta protagonista della prima, storica missione congiunta russa-americana, anno 1994. Vuoi vedere che toccherà proprio a lui, l´ex socio dei russi, il primo capo nero dell´ente spaziale, tirare giù la claire di Cape Canaveral e mettere il cartello di chiuso per bancarotta?
Nell´attesa non resta che sintonizzarsi, stasera, sulla Cbs, dove Buzz Aldrin, il secondo astronauta che mise piede sulla Luna, riceverà l´Emmy Award che l´Accademia nazionale per la tv, nel quarantennale dello sbarco, ha assegnato alla Nasa «per le innovazioni che hanno permesso le trasmissioni televisive dal vivo». Così va il mondo: l´ente che lanciava i suoi migliori uomini nello spazio, oggi al massimo li spedisce ai Telegatti.