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 2009  agosto 22 Sabato calendario

IL PUBBLICO SCANDALO DEI DERIVATI LOCALI


Regioni, Province e Comuni hanno accumulato 110 miliardi di debiti, il 6,8% del Pil

Con il "caso Milano", i derivati degli enti locali sono diventati pubblico scandalo. Il problema è grave per dimensioni - 3 miliardi di perdite stimate a fine marzo a fronte di un valore nozionale di 25 - e per diffusione: 13 regioni, 28 province, 440 comuni, 3 comunità montane coinvolte. All´origine non c´è solo una regolamentazione illogica e carente, ma anche la possibilità di indebitarsi concessa agli enti locali, a fine anni ´90. Gli enti hanno accumulato 110 miliardi di debiti (6,8% del Pil): un quarto sono obbligazioni, emesse prevalentemente all´estero, spesso accompagnate da derivati stipulati con una banca. L´estate scorsa il ministero dell´Economia ha bloccato tutte le operazioni di indebitamento con derivati in attesa di un nuovo regolamento, che ancora non c´è. l´occasione per ripensare il problema, fare tabula rasa e imporre una via di uscita trasparente e uguale per tutti.
Prima di occuparsi dei derivati, è doveroso chiedersi se sia logico permettere l´accesso al mercato dei capitali a enti che, di fatto, non hanno la responsabilità del rimborso del debito: in teoria il loro debito non è garantito dallo Stato, ma in pratica Milano non è Chicago dove, se finiscono i soldi come successo, chiudono gli uffici e lasciano a casa gli impiegati. Inoltre gli enti non hanno la capacità di sostenerne autonomamente l´onere: solo in quattro degli ultimi 10 anni hanno avuto un avanzo primario; e nel 2008 non si è andati oltre lo 0,1% del Pil. Il debito non è neppure servito all´obiettivo di migliorare le opportunità di investimento, che non paiono correlate con la dinamica effettiva dell´indebitamento: nel Mezzogiorno, il rapporto debito/Pil locale è doppio che nel Nord-est.
Problema aggravato dai derivati. Dato il divieto di emettere le normali obbligazioni con rimborso del capitale alla scadenza, gli enti hanno sottoscritto degli swap: una banca si fa carico del rimborso del capitale e, in cambio, riceve le rate di ammortamento che investe, a sua discrezione, in un proprio fondo, che però l´ente copre contro i rischi di default. Manna per le banche. Anche nei casi più semplici, i derivati comportano sempre l´assunzione di un rischio, e quindi la capacità di valutarlo. Se per esempio un ente emette un semplice bond a tasso variabile, e vuole "proteggersi" dal rischio di rialzo dei tassi a breve, può farlo con uno swap in cui paga lo spread col tasso fisso per la durata del bond. Ma se il rialzo non si verifica, lo swap si traduce in un aggravio di oneri finanziari: quindi, anche in questo caso, un derivato è di fatto una scommessa sul rialzo dei tassi, e presuppone la capacità di prevederne l´andamento. Che non è il mestiere degli amministratori locali.
In compenso, debito e derivati hanno generato un mare di commissioni per le banche, spesso occultate in valutazioni artificiose degli strumenti, in quanto non negoziati in mercati regolamentati. Tre gruppi bancari risultano controparti del 70% di questi derivati.
Sarebbe auspicabile un taglio netto col passato: vietare ai singoli enti l´emissione di titoli e derivati; ma richiedere che finanzino i loro investimenti (anche in pool) attraverso bond liquidi emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti, che si copre dal rischio richiedendo agli enti finanziati di alimentare un fondo di ammortamento, investito in titoli di stato. Per limitare i rischi finanziari, la struttura delle obbligazioni dovrebbe rispecchiare il più possibile i flussi generati dagli investimenti che finanzia. Quanto al pregresso, tutte le posizioni in derivati dovrebbero essere liquidate, e l´onere finanziario posto temporaneamente a carico della Cassa Depositi e Prestiti, in cambio di immobili, attività o crediti dati in garanzia dagli enti locali, con l´obbligo di alienarli, o cartolarizzarli, entro una data precisa.
E per le banche coinvolte, azioni di risarcimento nel caso si dimostri, come pare plausibile, la circonvenzione di incapace. O peggio.