Maurizio Assalto, La stampa Tuttolibri 22/8/2009, 22 agosto 2009
IN PRINCIPIO ERA IL CORSARO NERO"
«C’è nel nostro tempo una grande richiesta di spiritualità al quale l’offerta religiosa tradizionale non riesce a rispondere. Il pensiero ufficiale cristiano oggi manca di una Weltanschauung adeguata. Cioè: si annuncia la salvezza, ma senza una visione dell’uomo e del mondo che sia in grado di reggere di fronte agli interrogativi della coscienza contemporanea. Quindi c’è un quadro senza più una cornice in grado di reggerlo alla parete: e il quadro, pum!, cade».
Vito Mancuso - 120 mila copie, due anni fa, con un libro come L’anima e il suo destino, in cui affrontava i temi classici della teologia dialogando con la filosofia e la scienza - riflette sulle ragioni di un inatteso successo editoriale dalla sua casa sulle colline del Monferrato, dove vive con la moglie e i due figli. Nato in Brianza, 46 anni fa, da genitori siciliani, cresciuto (indenne) in un ambiente dominato da Cl da una parte e dalla sinistra estrema dall’altra, dopo avere preso i voti ha capito che la sua vera vocazione era lo studio della teologia ma senza alcun vincolo sacerdotale.
Professor Mancuso, ci saranno delle letture che hanno ispirato questo percorso.
«Certamente. Partirei dall’infanzia, perché penso che la vita da adulto sia un portare al pensiero le intuizioni avute in quel periodo lì. Le esperienze fondamentali sono state due. I romanzi di Salgari, che per me hanno significato l’avventura e soprattutto la lotta contro l’ingiustizia. E l’enciclopedia Conoscere, quella della Fabbri, a quei tempi presente in molte case degli italiani: quando arrivava - un volume al mese - per me era una festa, tornavo da scuola e non volevo neanche mangiare. Quindi: l’amore per il sapere in ogni sua forma».
E gli autori che hanno ispirato la vocazione religiosa?
«Ricordo un libro che mi era stato consigliato da un professore di liceo, Saggezza greca e paradosso cristiano di Charles Moeller, edito da Morcelliana tanti anni fa. Ma uno degli autori decisivi per la scelta di entrare in seminario è stato Fëdor Dostoevskij. Tutto Dostoevskij, anche se I fratelli Karamazov è il romanzo che ho letto quattro, cinque volte... Ne emerge una fede che parte dalle grandi domande, che non rifugge dallo scandalo del male.
«Pure Jaspers ha significato molto, in particolare La fede filosofica davanti alla rivelazione. Ma il libro più importante è stato Dio esiste? di Hans Küng: ha determinato la mia visione della fede come sì complessivo verso una realtà intimamente razionale, perché io interpreto Dio come datore di senso, come fondamento razionale e eterno del mondo. E come fondamento della fiducia in una soluzione positiva: che Sandokan e il Corsaro Nero riescano davvero a vincere il nemico».
Si sente più filosofo o più teologo?
«Mah... Io ho il dottorato in teologia, però l’ho conseguito con una tesi su Hegel. Probabilmente mi sento più teologo quanto agli argomenti, ma più filosofo per quanto concerne la libertà intellettuale con cui li affronto. Ritengo che o la teologia si esercita in questa maniera, oppure diventerà sempre più un linguaggio autoreferenziale che riesce a parlare solo a poche persone già convinte. Karl Rahner, gesuita, uno dei più grandi teologi del XX secolo, all’inizio del Corso fondamentale sulla fede dice in maniera molto chiara che la teologia è chiamata a costruirsi come una filosofia, che non si possono più dare per scontate le questioni che un tempo si chiamavano i preambula fidei».
Ha letto tutta la Bibbia?
«Naturalmente sì, e più volte! Si scoprono sempre nuove cose, davvero c’è dentro di tutto. Io tento di esercitare una lettura il più possibile matura e disincantata, nel senso weberiano, che significa: uno, far emergere le contraddizioni senza nasconderle; e, due, cercare all’interno dei 73 libri biblici una gerarchia, un centro, e poi una zona adiacente al centro, e poi la periferia, e poi l’estrema periferia...».
Qual è il centro, e quali le contraddizioni?
«Il centro è la celebrazione della grande alleanza tra Dio e il mondo. Dove al posto dell’alleanza c’è l’opposizione, lì siamo alla periferia del tessuto biblico. Saper riconoscere le contraddizioni è decisivo, perché io credo che quanto più ci si avvicina alla verità tanto più queste appaiono chiare. Hegel, uno dei fari del mio argomentare, nella prima delle sue 10 tesi di abilitazione dell’agosto 1801 dice: ”Contraddictio est regula veri”. E perché la contraddizione è la regola della verità? Ma perché la vita stessa è contraddittoria, si muove mediante tesi e antitesi, affermazione e negazione».
Di nuovo Hegel. Ma quali sono i teologi che hanno ispirato questo approccio critico?
«Il primo che mi viene in mente è Pavel Florenskij, sacerdote, ma soprattutto matematico, nonché ingegnere. Venne fatto fucilare da Stalin l’8 dicembre 1937, dopo 5 anni di gulag, semplicemente per il fatto di essere un cristiano. stato lui a farmi vedere, contro ogni tentazione ”concordistica”, che se la Bibbia ci appare antinomica questo non è qualche cosa di cui avere paura, ma al contrario è l’espressione stessa della vita come eterna rivelazione.
«Il secondo è Dietrich Bonhoeffer, alla base della mia vocazione teologica nel senso più stretto. Ucciso anche lui, su ordine di Hitler. Per me sono imprescindibili le sue lettere dal carcere, raccolte nel volume Resistenza e resa, dove emerge in maniera formidabile come il cristianesimo debba sempre più tradursi in una immersione nel mondo: tanto più si ama il mondo in tutti i suoi aspetti, a partire da quelli naturali, tanto più si è vicini a Dio. Non c’è alcun dualismo Dio/mondo, come era quello agostiniano delle due città. Tant’è che la vera figura del cristiano, per Bonhoeffer, è quella di chi lotta per la giustizia terrena: come lui stesso, che per questo diede la vita.
«Poi, certo, c’è Pierre Teilhard de Chardin, l’evoluzionista, il gesuita proibito, che venne perseguitato, mandato in esilio.
«Florenskij, Bonhoeffer e Teilhard, uno all’interno del mondo ortodosso, gli altri all’interno del mondo protestante e del mondo cattolico: sono questi i miei tre eroi teologici, i riferimenti continui».
E tra i teologi viventi?
«Tutti quelli che hanno lottato contro il contemptus mondi, il disprezzo del mondo: oltre a Hans Küng, in ambito cattolico, Raimon Panikkar - anche se il suo è un cattolicesimo un po’ particolare».
Agostino non le piace troppo...
«In realtà sono convinto che esistano due Agostini. C’è un Agostino neoplatonico, ”cattolico”, il filosofo del De vera religione, dei primi anni dopo la conversione, che pone la verità all’interno dell’uomo stesso: questo mi piace eccome perché è esattamente nella linea dell’ottimismo nei confronti della natura umana. Ma c’è anche un Agostino ”protestante”, l’Agostino agostiniano, di cui Lutero diceva ”totus meus Augustinus”, l’antiumanista, il padre di quella che io chiamo visione oppositiva, secondo la quale si può giungere a Dio solo negando il mondo: rappresenta una posizione teologica da superare».
Meglio Tommaso d’Aquino?
«Tommaso lo sento molto vicino, essendo uno degli ispiratori della visione analogica per cui Dio uomo e mondo sono in un certo senso sulla stessa linea ed è solo una questione di profondità dell’essere. Del resto la grande operazione che lo ha contraddistinto si può comprendere unicamente in quella prospettiva. Qual è la grande operazione? Il fatto di aver preso un filosofo pagano, Aristotele, e di averlo posto alla base di tutto il sapere teologico cristiano. E ciò con la forte opposizione degli agostiniani del tempo, come Bonaventura. Non è un caso che Ratzinger, agostiniano di scuola bonaventurista, nei confronti di Tommaso d’Aquino confessi un senso di freddezza».
Dai suoi libri traspaiono anche frequentazioni scientifiche, Einstein, la fisica atomica, l’evoluzionismo...
«Avere sposato una donna che è ingegnere mi è servito per aprire la mente. Una comunione effettiva con il proprio tempo comporta necessariamente un confronto con la scienza, anche perché oggi obiettivamente non si può ragionare sull’essere, come pretendono di fare la filosofia e la teologia, senza comprendere ciò che dell’essere ha detto Einstein, cioè che tutto è riducibile a energia, e ciò che ha detto Darwin (e prima di lui Lamarque) in termini di natura continuamente sottoposta all’evoluzione. Naturalmente mi sono limitato ai testi divulgativi: Paul Davies, per esempio, un astrofisico britannico di cui ho letto titoli come La mente di Dio, Dio e la nuova fisica, Da dove viene la vita. Ma leggo pure la parte avversa: qui in libreria vedo Richard Dawkins, Il gene egoista, Il fiume della vita. Io ho sempre vissuto un cristianesimo di dialogo anche con le posizioni diverse dalle mie, anzi le ho cercate come qualche cosa di cui rendere ragione a me stesso. Non ho mai mai sentito una posiziona ”altra” come nemica».