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 2009  agosto 19 Mercoledì calendario

IL COMPUTER ASSOLVE STASI


Alberto Stasi lo ha detto fin dal primo giorno: «Non ho ucciso Chiara. Mentre lei moriva ero a casa mia a scrivere la tesi di laurea al computer». Per verificare l’attendibilità del suo alibi, il giudice Stefano Vitelli, il 30 aprile scorso ha ordinato (attraverso una maxi-perizia) di rifare le indagini da lui stesso definite (...)

(...) «incomplete». Alla vigilia della data di scadenza per la consegna dei risultati degli esami peritali, indiscrezioni confermano che quanto dichiarato dall’imputato corrisponde a verità. Quel 13 agosto 2007, il biondo fidanzato di Chiara Poggi a processo per omicidio volontario, avrebbe lavorato tutto il tempo al computer. Dagli esiti delle analisi informatiche emerge infatti che c’è stata «interazione» per l’intera mattina fino alle 12 e 20 minuti. Alberto sarebbe stato dunque davanti alla tastiera del suo pc, come ha sempre sostenuto, mentre nella villetta di via Pascoli a Garlasco una mano misteriosa uccideva la sua ragazza.

A quell’ora: le 12 e 20, secondo i periti, ha terminato il lavoro e subito dopo ha telefonato a Chiara dall’utenza fissa della sua casa. Lo ha fatto chiamando sia sul cellulare di lei (ore 12 e 46) sia sull’apparecchio fisso, nonostante lei avesse già smesso di rispondere alle 10 e 47 della stessa mattina. L’ingegnere Roberto Porta e il dottor Daniele Occhetti, hanno messo a verbale le loro conclusioni. E sono pronti a depositarle al Tribunale di Vigevano. Sui risultati delle nuove risultanze investigative è stato imposto il silenzio, ma se le indiscrezioni che circolano insistentemente dovessero trovare conferma, il processo di Garlasco subirebbe una svolta. L’alibi di Alberto Stasi sarebbe definitivamente dimostrato.

L’impianto accusatorio costruito dal pm Rosa Muscio e dal Ris dei carabinieri, non aveva convinto il giudice: a suo avviso era insufficiente per motivare la condanna a trent’anni. Il massimo della pena possibile, nel processo secondo rito abbreviato. Perciò il magistrato ha azzerato tutto e ordinato di rivedere ogni passo dell’inchiesta, alla luce della maxi-perizia affidata a sette professionisti super partes. Ad essi sono stati affiancati i consulenti di accusa, difesa e parte civile. Una squadra di venti uomini fra scienziati, medici legali, ingegneri informatici, chimici molecolari e neurologi, dal 22 maggio è al lavoro nei laboratori degli Istituti di medicina legale di Pavia, Torino, Pisa e Milano per arrivare alla verità.

Ha ragione l’accusa nel ritenere che l’imputato quella mattina di sangue, fra le 10 e 30 e le 12, è andato in bicicletta a casa della fidanzata e l’ha ammazzata per poi ripulirsi e tornare sulla scena del delitto (in auto), senza però entrare e fingendo di averla trovata morta in fondo alla scala come proverebbero le suole delle sue Lacoste rimaste pulite? Oppure ha ragione la difesa nell’affermare che Alberto era a casa a scrivere la sua tesi di laurea mentre Chiara moriva, fra le 9 e le 10, come dimostrerebbero il suo pc, le telefonate, la sua bici che non risulta insanguinata e infine i testimoni che quel 13 agosto lo hanno visto uscire soltanto alle 13, come lui ha sempre riferito agli inquirenti? stata un’estate rovente per i periti e i consulenti del giallo di Garlasco. Il traguardo però è vicino: gli esperimenti sono conclusi ed entro il 30 settembre ognuno dovrà consegnare la relazione.

Il grosso del lavoro era cominciato il 22 maggio, con il sopralluogo del dottor Vitelli e della Polizia nella casa dell’omicidio, seguito da altre due ispezioni il 10 e il 27 giugno. Il magistrato è entrato nella villetta dove la famiglia Poggi è tornata ad abitare, per comprenderne di persona gli spazi e l’illuminazione. Niente è stato lasciato al caso, ogni angolo è diventato oggetto di un filmato che sarà esaminato in aula: la taverna e le scale per accedervi, dove Chiara è stata trovata senza vita, il bagno in cui l’assassino si sarebbe lavato le mani senza però lasciare il sangue della vittima, poi la cameretta della ragazza e il grande giardino col muretto che Alberto dice di avere scavalcato per entrare in soggiorno, dopo avere più volte telefonato a lei che non rispondeva. Il grande assente, durante i tre sopralluoghi, era proprio lui, la sua camminata è stata però studiata e filmata lo scorso 4 agosto all’Istituto don Gnocchi di Milano. Un esperimento importante e al quale lui ha accettato di sottoporsi nonostante il forte impatto emotivo: è stata ricostruita la scena del delitto. Alberto ha infilato la canottiera a righe arancioni, i pantaloncini e le scarpe identici a quelli che indossava quella mattina di morte. Bisognava analizzare la «strategia di evitamento», ovvero verificare se poteva davvero percorrere le stanze insanguinate omettendo di calpestare le macchie. Sei ore avanti e indietro lungo un percorso a ostacoli improvvisati e con tre grossi tappeti stesi sul lato sinistro del camerone per rievocare il sangue. Glielo hanno fatto ripetere trenta volte: al buio, con la luce, in penombra. Mentre le telecamere riprendevano. Conclusione: l’imputato per trenta volte ha evitato di calpestare le grosse ”macchie”, come ha detto di avere fatto quella mattina. Entro la fine di agosto, consulenti e periti si confronteranno per l’ultima volta. Il 21 ottobre si tornerà in aula per illustrare la perizia informatica sul pc, il 24 si analizzerà la camminata dell’imputato, il 4 novembre saranno di scena i medici legali che cercheranno di stabilire l’ora della morte, infine l’11 novembre parlerà il chimico che dovrà dimostrare se le Lacoste di Alberto potevano restare pulite. Dopo i periti la parola passerà di nuovo ad accusa, parte civile e difesa. Quindi il verdetto che il giudice non si era sentito di pronunciare il 30 aprile.