Bruno Ventavoli, la Stampa, 25/8/2009, 25 agosto 2009
L’UOMO CHE SPREME IL DNA DAGLI ACINI
Un giorno, piccolissimo, sfuggì al padre e si infilò tra le viti. E fu una folgorazione, quei grappoli turgidi di colori e profumi, lo conquistarono alla cultura del vino. Non fu solo un ghiribizzo infantile. Perché Donato Lanati si è laureato in agraria e oggi è uno dei più famosi enologi del mondo. Sa cogliere i segreti del vino con naso e papille gustative ma anche leggere scientificamente nel dna dell’acino. E poi tradurre tutto questo in spiegazioni, progetti, diagrammi, come un ironico e dotto Bacco. E’ per questo che non solo consiglia i produttori tradizionali, ma traghetta alla cultura dell’uva neofiti finanzieri e star del cinema, come ha fatto con Carole Bouquet, diventata una stimata produttrice del passito «Sangue d’oro» a Pantelleria.
Il regno di Lanati è l’Enosis Meraviglia, il centro di consulenza e ricerca enologica di Fubine (Al) ospitato nella villa-cascina secentesca appartenuta un tempo ai conti Cacherano di Bricherasio, ristrutturata in maniera avveniristica («senza neanche un euro pubblico»), e trasformata nel più importante laboratorio europeo. Intorno ci sono dolci colli, all’interno computer, macchine vinificatrici, vetri e immagini di Mimmo Rotella, bottiglie e sculture d’arte contemporanea. E una trentina di tecnici, biologi, chimici, fisici al lavoro. «Qui dentro - dice Lanati - si studiano i vini di ieri, si perfezionano i vini di oggi, si creano i vini di domani. Analizzando i ”metaboliti secondari”, le molecole che esprimono gusti, colori, profumi, determiniamo i pregi dei vini. Sperimentiamo passaggi di vinificazioni innovativi, studiamo la fermentazione, verifichiamo la qualità».
Lanati da dodici anni spiega agli studenti di agraria che il vino è l’ultimo anello di una catena che comprende clima, terra, lavoro. Altre volte si mette a un tavolo sterminato, irto di boccettini, e compie 600 assaggi («senza essere positivo all’etilometro») in dodici ore filate, ricordando con ferrea memoria le sfumature da inserire nel computer. «Dei vini italiani si conoscono poco i dettagli - dice -, non si fa ricerca, non si tutela abbastanza la produzione, come ha dimostrato ”l’affaire Brunello”. L’enologia oggi è una scienza esatta, la chimica permette di cogliere l’istante preciso in cui il gene di una vite si esprime al meglio in un determinato ambiente. Ma è anche un’arte deliziosa. Non dimentico mai quello che mi ha spiegato Ceretto, un magnifico produttore, quando ero giovane. L’enologo, mi diceva, non ha inventato l’aspirina, il nostro è un bene voluttuoso, dobbiamo dare piacere».
Il piacere diventa industria. Commercio. Affari. Nel mondo si producono ogni anno 280 milioni di ettolitri di vino. Difficile ritagliarsi il proprio spazio, ma possibile. «Oggi il mercato del vino è pura competizione - dice Lanati -, ci si deve confrontare con l’omologazione del gusto globale, e per non essere fagocitati occorre garantire l’identità di un prodotto. I vini di un certo pregio devono esprimere i saperi, i valori, e la cultura della società contadina. Ma anche certificare la provenienza da un certo territorio. E con gli strumenti della scienza è possibile ”tracciare” con assoluta certezza la storia del prodotto, dall’acino alla bottiglia. Segnalarlo sull’etichetta è un marchio non solo di qualità ma anche di serietà. Il pubblico cerca questo».
Una delle ultime missioni di Lanati è stata l’organizzazione di una cantina in Georgia, con tecnologie avveniristiche e computer. Un atto d’amore, ma anche un viaggio a ritroso nel tempo, perché il vino è nato 8mila anni fa laggiù, dove Noè andò a incagliarsi con l’arca dopo il diluvio universale. In quelle terre, dove l’alfabeto ha la stessa grazia dei pampini, esistono 500 varietà di viti, le antenate di tutte le viti del mondo. C’è uva ovunque. E ci sono ancora le tracce dell’antico dio Badagoni, che s’è trasformato in Dioniso, in Bacco, man mano che si è spostato verso occidente, insieme alla civiltà e alla bevute.