Elvira Serra, Corriere della Sera,25/8/2009, 25 agosto 2009
GUIDA AI COMPITI D’ESTATE SPRINT FINALE SENZA GENITORI
MILANO – Chiedetelo a loro, se tre mesi vi sembran tanti. Poveretti, dopo un’estate volata scorrazzando come selvaggi, tra tuffi, escursioni, corsi di tennis, viaggi e campeggi, al rientro in città non possono più rinviare l’appuntamento rimosso con i compiti delle vacanze. Con l’aggravante che il calice amaro tocca pure ai genitori. Ai quali spetta pungolare gli sfaticati con le buone e con le cattive. Fino alla resa, quando le notti scorrono su I viaggi di Gulliver per aiutare l’asinello con il riassunto. Molto male, secondo gli esperti: i ragazzini farebbero meglio a cavarsela da soli.
«L’ansia da rientro a scuola? solo di mamma e papà, che temono il danno pubblico per il figlio inadempiente. A me non sembra una tragedia pianificare i compiti in tre mesi. Se l’alunno non l’ha fatto, tanto peggio. Andare a scuola è un privilegio, non una condanna. Con un po’ di esercizio quotidiano, i figli si preparano a diventare adulti capaci di fare le cose per tempo». Lo psicoterapeuta Fulvio Scaparro non è indulgente verso i rimorsi didattici. Lo studente, per lui, è come l’atleta. «Non interrompe mai completamente l’attività. Magari stacca per un breve periodo, però poi va avanti con l’allenamento. Certo, gli insegnanti dovrebbero avere la saggezza di preparare il materiale con questo criterio: mantenere il motore degli allievi un po’ caldo, non bollente». Maestri e professori, insomma, devono metterci del loro. E il pedagogista Cesare Scurati non ha dubbi: «Darne troppi è controproducente. Non può valere il principio: mi avete fatto impazzire durante l’anno e io vi rovino le vacanze». Lui trova interessante suggellare un’intesa tra insegnanti e genitori: «I compiti devono essere spalmati lungo tutto il periodo di stacco e padri e madri si dovrebbero impegnare a far seguire il programma ». Il genitore va coinvolto, sì. «Ma nel senso che deve accompagnare il figlio a visitare un museo».
Vai a spiegare ad alcuni prof che i compiti non sono aspirine. «Non possono curare ogni male, perderebbero il loro significato pedagogico e nessuno mai li farebbe», sentenzia Giuseppe Bertagna, già consulente nella stesura della Riforma Moratti e adesso direttore del Centro di ateneo per la Qualità dell’insegnamento a Bergamo. «I compiti vanno personalizzati, giocati sulle esperienze singole degli studenti, mai espiatori».
Chi li ha fatti subito si è levato il pensiero. «Ma chi li ha lasciati alla fine non ha fatto male», interviene la psicologa dell’età evolutiva Anna Oliverio Ferraris, dell’idea che ha senso un periodo di digiuno: «Bastano i viaggi: una gita con la famiglia in Portogallo è fonte di apprendimento importante per la storia e la geografia. Rimettere mano ai libri è utile due-tre settimane prima, per riabituarsi. Senza perdere il sonno: gli insegnanti non si aspettano che i compiti vengano fatti tutti».
E se proprio lo studente si rifiuta di metter mano ai testi prima che suoni la campanella? «Beh, si assuma le sue responsabilità», chiude Ferraris. Scurati, al riguardo, è lapidario: «Il ragazzino non ha il diritto di rifiutarsi, se si ragiona così siamo fuori dal controllo pedagogico».
In definitiva, cosa suggerire a quei poveri genitori alle prese con temi e tabelline? «Semplice: non devono mai sostituirsi ai figli. La premessa, però, è che a luglio e agosto ai ragazzi basterebbe metabolizzare quanto imparato in classe. Chi poi vuole fare i compiti, va premiato. E pazienza per gli altri», dice Gianni Nicolì, responsabile nazionale ufficio scuola dell’Age, l’Associazione genitori, docente di Didattica all’Università cattolica di Brescia. Mentre Donatella Poselli, presidente dell’Unione italiana genitori, è ancora più tenera: «Come si fa a fermare quei genitori... Non dico che li giustifico. Ma in alcuni casi gli insegnanti riversano sulle vacanze la parte del programma che non sono riusciti a svolgere durante l’anno. E questo non è giusto!».