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 2009  agosto 25 Martedì calendario

DOLOMITI DUECENTO ANNI DI SFIDE ALLE PARETI IMPOSSIBILI - è

una storia lunga più di duecento anni quella che festeggia questa mattina il presidente Giorgio Napolitano. L´appuntamento è ad Auronzo (Belluno) per la celebrazione delle Dolomiti, riconosciute dall´Unesco patrimonio naturale dell´umanità. La composizione di quelle rocce bianche, unica al mondo, fu scoperta alla fine del ´700, ma a metà ´800 salire lassù sembrava ancora impossibile. La conquista del Monte Bianco aveva 70 anni, anche l´invincibile Cervino era vicino alla sconfitta mentre sulle Dolomiti era tutto da fare. Per vincere le pareti verticali e le guglie vertiginose delle Dolomiti servivano coraggio, tecnica ma soprattutto menti nuove. Servivano alpinisti inglesi o meglio tedeschi e austriaci - più temerari degli anglosassoni - per realizzare quel sogno che per secoli i locali avevano liquidato come un´inutile follia.
Ci volevano teste nuove come quella di John Ball, ricco diplomatico irlandese con il pallino delle esplorazioni che nel 1857, dopo aver sposato una donna veneta e girato in lungo e in largo i Monti Pallidi si tolse la soddisfazione di salire in cima al Pelmo. Partì nel cuore della notte dal Cadore con la guida locale Giovan Battista Giacin e prima di mezzogiorno, lungo la cengia che ora porta il suo nome, strisciò pancia a terra con mezzo corpo esposto nel vuoto, per passare tra le rocce dove nessuno aveva mai pensato di passare. Infine - ignorando la guida che lo supplicava di non farlo - sir Ball salì lungo il "vallone" fino ai 3.168 metri del Pelmo e si godette il panorama prima di scendere a valle e fondare l´Alpine Club.
La conquista delle Dolomiti cominciò così, strisciando, quel 19 settembre del 1857 con quella che viene considerata la prima ascensione alpinistica. Ma per la realizzazione dell´impossibile bisogna attendere trent´anni durante i quali lo scalatore viennese Paul Grohmann, sempre scortato da guide locali per lo più ampezzane, firmò una lunga serie di prime dolomitiche in una campagna forsennata che lo portò dalla Tofana (1863) alla Marmolada (1864), dal Cristallo (1865) al Sassolungo (1869) passando per la Cima Grande di Lavaredo (1869). Poi arrivò un giovanotto bavarese dall´aspetto mite e mingherlino a spostare un po´ più in là i confini della realtà. Era il 1887 quando Georg Winkler, 17 anni appena, figlio di un macellaio, si presentò in val di Fassa divorato dalla febbre dell´ascesa. Per lui niente scarponi chiodati, ma leggere scarpette di tela con la suola di corda che gli consentivano una presa migliore sulle pareti di roccia. Piccolo di statura, quando la parete piegava indietro fino a strapiombare usava una tecnica agghiacciante: lanciava una corda nel vuoto sperando che un uncino legato all´estremità si ancorasse tra le rocce. Quindi tirava la corda e se la sentiva dura si sollevava a forza di braccia. Chissà se usò il suo uncino il 17 settembre del 1887 quando scalò, solo, la più orientale delle Torri del Vajolet, da allora in poi la Torre Winkler, inaugurando l´era dell´alpinismo acrobatico e delle scalate in solitaria. Lassù, dopo aver superato una difficile fessura che divenne il punto di riferimento per gli arrampicatori dell´epoca, il giovane bavarese costruì un ometto di pietre sopra un biglietto con il suo nome. L´anno dopo scomparve sul ghiacciaio del Weisshorn, in Svizzera, che solo nel 1956 ne restituì il corpo: lo riconobbero perché portava ancora addosso la bisaccia da cui il giovane tedesco non si separava mai.
Erano vie tortuose e complicate che salivano lungo cenge, fessure e camini sfruttando i punti deboli delle pareti dolomitiche invece di prenderle di petto, come avverrà più tardi. Non c´era ancora il mito della salita a goccia d´acqua, cioè lungo la verticale perfetta, costi quello che costi, come teorizzava negli anni del fascismo il triestino Emilio Comici. L´ultima grande vetta a cadere fu quella del Campanil Basso, un enorme obelisco di pietra nel gruppo di Brenta scalato nel 1899 da due giovani studenti di Innsbruck che riuscirono dove era fallita una cordata di trentini. Vennero gli anni dell´arrampicata artificiale: chiodi, scale di corda e trapani. E quindi il ritorno alle origini con Reinhold Messner che negli anni ´60 fu un protagonista dell´arrampicata libera proprio sulle Dolomiti, le sue montagne, prima di diventare il re dell´Himalaya. Le vie di arrampicata e le ferrate per salire le Dolomiti si contano ormai a migliaia, eppure gli esploratori della dimensione verticale, quando scendono dai ghiaioni e incrociano le occhiate incredule dei turisti, vengono guardati ancora come fossero marziani che mettono piede a terra.