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 2009  agosto 25 Martedì calendario

Il genio oscuro di Lloyd Wright - Narciso, schiavista, erotomane: ritratto inedito dell’autore del Guggenheim - Che cosa rende un uomo irre­sistibile alle donne? La sua passione e, se è un artista, il talento che lo rende inaffer­rabile e, se è un intellettuale, il sex ap­peal del suo cervello

Il genio oscuro di Lloyd Wright - Narciso, schiavista, erotomane: ritratto inedito dell’autore del Guggenheim - Che cosa rende un uomo irre­sistibile alle donne? La sua passione e, se è un artista, il talento che lo rende inaffer­rabile e, se è un intellettuale, il sex ap­peal del suo cervello. Tutti elementi presenti in quantità nella personalità di un genio dell’architettura come Frank Lloyd Wright, le cui qualità narci­sistiche, erotiche e visionarie sono og­gi celebrate negli Stati Uniti da due ro­manzi e da una grande retrospettiva al Guggenheim Museum di New York, che festeggia il cinquantenario del­l’inaugurazione avvenuta nell’ottobre del 1959 alla presenza di un direttore ostile, in una New York stupefatta e da­vanti a una stampa orripilata. Allora, il critico del «New York Times» John Ca­naday definì il pioniere di tutti i musei artistici a venire l’espressione di «una guerra tra l’architettura e la pittura da cui entrambe le discipline escono gra­vemente mutilate». Come in tutte le leggende che si rispettino, il protagoni­sta di quella memorabile giornata man­cò l’appuntamento. Lloyd Wright era morto sei mesi prima a novantun anni. Frank Lloyd Wright ha scritto di se stesso: «Nella vita ho dovuto scegliere presto tra l’arroganza sincera e l’umiltà ipocrita; ho scelto l’arroganza». E non a caso uno scrittore brillante e sarcasti­co come Thomas Coraghessan Boyle, che ha romanzato la vita del sessuolo­go Ken Kesey e quella dell’inventore dei corn flakes John Harvey Kellogg, ha identificato in Wright l’interprete idea­le di una storia sul lato in ombra del Sogno Americano. Il che spiega il ta­glio che Boyle ha voluto dare al roman­zo che uscirà da Einaudi quest’autun­no col titolo Le donne : non l’avventura intellettuale dell’architetto che ha sfida­to la forza dell’acqua con la Casa sulla cascata a Bear Run in Pennsylvania, ma il groviglio di amori, odii, vessazioni, tradimenti, gesti grandiosi e meschini di un uomo che ha vissuto lo stermina­to arco di tempo compreso tra la fine della Guerra civile americana e l’inizio dell’era spaziale. Un uomo fedele al principio di non permettere a niente e a nessuno di ostacolare il proprio suc­cesso. «Wright aveva la classica personali­tà narcisistica» ha detto Boyle in un’in­tervista. «Era il tipo di persona a cui non interessa quello che vogliono gli altri, o chi siano, e non riesce nemme­no a immaginare che possano avere emozioni e desideri propri. Gli altri per lui esistevano soltanto come mezzi per soddisfare le proprie necessità». Gli altri, qui, sarebbero i clienti sod­disfatti o traditi, i creditori non pagati, le donne amate e gli assistenti schiaviz­zati come Tadashi Sato, la voce narran­te del romanzo, un giovane giappone­se che nel 1932 inizia un apprendistato col maestro a Taliesin (la grande casa che Wright aveva costruito per sé nel Wisconsin) e diventa il suo schiavo. Sato racconta a ritroso la storia degli amori del suo maestro sorvolando sul ruolo della prima moglie Kitty Tobin che, pure avendogli dato sei figli, rima­ne una figura opaca, indifferente an­che al pubblico fino al momento in cui fu sostituita dalla moglie femminista di un cliente di Wright, Mamah Che­ney, che nel 1903 divenne la sua aman­te con tale scandalo da indurre l’archi­tetto a costruire Taliesin per tenerla lontana dagli sguardi dei curiosi. Undi­ci anni dopo, mentre Wright era assen­te per lavoro, Mamah Cheney veniva uc­cisa a colpi di accetta insieme con due dei suoi figli e altre quattro persone da un domestico impazzito che dopo la strage diede fuoco alla casa. Il perché non è mai stato chiarito. L’ipotesi di Boyle è che la donna abbia cercato di educare il domestico al femminismo e al libero amore e, avendo scoperto che picchiava la moglie, lo abbia licenziato provocandone il furore. Quali che siano stati i veri motivi del­la strage, la stampa scandalistica ci an­dò a nozze. Ispirando una sconosciuta di nome Maude Miriam Noel a scrivere lettere a Wright in cui gli offriva la sua consolazione. Lui ci cascò. Maude era una primadonna e una pazza e, tra le altre cose, una morfinomane. Si trasfe­rì a Taliesin nel 1914 e sposò Wright nel 1922. Dopodiché lo lasciò. Ma quando lui s’innamorò della danzatrice monte­negrina Ogilvanna Lazovich Milanoff, diventò la loro persecutrice. Gli attacchi e le incursioni di Maude arrivavano all’improvviso: «E di nuovo Wright e Ogilvanna dovevano fuggire da Taliesin così precipitosamente da lasciare i letti sfatti e i vestiti sul pavi­mento e la colazione sul tavolo da pranzo ad attirare le mosche, mentre il giardino veniva abbandonato ai cor­vi e a orde di insetti pulsanti con le lo­ro mandibole instancabili e le loro boc­che infinite». E se questo vi pare materiale da me­lodramma, nulla è in confronto allo sce­nario in cui si svolge il secondo roman­zo ispirato a Wright in questi giorni, in cui l’ottuagenaria primadonna di New York Gloria Vanderbilt, non paga di ave­re amato o sposato grandi uomini co­me Marlon Brando, Frank Sinatra e Howard Hugues, si è dilettata a scrivere una Histoire d’O alla maniera di Pauli­ne Reage intitolata Obsession . Nel suo romanzo, la vedova di un grande archi­tetto del tutto somigliante a Wright sco­pre dopo la morte del marito un pac­chetto di lettere di un’amante misterio­sa che racconta di fruste, attrezzi eroti­ci, corde di seta, copricapezzoli d’oro e di una casa di piacere a Brooklyn dove si svolgono orge furiose. Di fronte a tutto questo, che qualcu­no oggi ricordi come cinquant’anni fa l’allora direttore del Guggenheim Ja­mes Johnson Sweeney abbia litigato con Wright su ogni singolo dettaglio del suo progetto museale incluso il co­lore della pareti (Wright le voleva avo­rio, Sweeney bianche), non scandaliz­za nessuno. Con buona pace delle sue donne, ci si chiede piuttosto come Wri­ght abbia trovato il tempo di lavorare in mezzo al fuoco incrociato di tante passioni. Per non parlare della lucidità di mente di immaginare un museo, non come una spirale, come siamo abi­tuati a sentirlo descrivere, ma nelle sua visione assai più precisa e poetica, co­me «la curva di un’onda che non fran­ge mai » .