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 2009  agosto 24 Lunedì calendario

”SEMENYA UMILIATA DA UNO SPORT INDEGNO”


Andreas Krieger in un’altra vita si chiamava Heidi. Lanciava il peso per la Germania Est, ha vinto anche un Europeo e per farlo arrivare a quella medaglia lo hanno riempito di steroidi. Quando ha smesso si è ritrovato i connotati da uomo e ha deciso di assecondarli. Un cambio netto, nome diverso e nuova identità. Ha lasciato Berlino e si è trasferito a Magdeburgo, dove vive con la moglie Ute Krause, ex nuotatrice della Ddr. Le gare del mondiale non le ha guardate, ma la storia di Caster Semenya, la ragazza sudafricana sospettata di essere un maschio, la conosce bene.
Lei ha vissuto un’esperienza simile, cosa pensa del caso di Semenya?
«E’ così triste e schifoso. Non avrebbero dovuto arrivare a tanto. Il problema andava risolto prima. E’ evidente che quella ragazza abbia un corpo mascolino, credevano che nessuno se ne accorgesse? Dovevano proteggerla e l’hanno mandata al macello».
Quindi lei è convinto che sia un uomo?
«Lo sembra e non dovevano portarla ai Mondiali se oggi sono ancora qui ancora a dire "stiamo facendo dei test". In questo modo l’hanno buttata in pasto all’opinione pubblica. Vi immaginate che significa camminare per la strada e sentire la gente che ti chiede: sei uomo o donna?».
Pensa che non le siano già capitate esperienze così?
«Ha un nome da donna, è cresciuta come donna e si sente tale. Ha 18 anni e fino a ora è rimasta nel suo ambiente, in Sud Africa, dove non doveva affrontare la curiosità morbosa. E non avrebbe dovuto farlo mai. Hanno sbagliato tutti, gli allenatori e le federazioni».
Cosa avrebbe fatto al suo posto?
«Non so immaginare l’umiliazione. Io ho sofferto, ma ho gestito in privato il mio travaglio. Capisco che non abbia voluto parlare perché affrontare le domande maligne del mondo intero sarebbe stato impossibile. Mi è sembrata coraggiosa. Puoi anche non uscirne più da un’esperienza così terrificante, ha bisogno di appoggio e visto che lo sport si è comportato in questo modo indegno spero che trovi aiuto nella famiglia».
La sua storia è molto diversa però anche lei ha affrontato la gente che si chiedeva se era un uomo o una donna. Come ha reagito?
«Sono fuggito, ho passato anni solitari. Non andavo in piscina, non andavo a ballare e in realtà non vivevo. Mi rintanavo sempre di più per evitare i posti dove mi sarei dovuto rivelare. Così ho eliminato ogni forma di socialità. Per questo ho fatto la scelta estrema di cambiare sesso. In quel modo non potevo andare avanti».
Ha avuto l’appoggio della sua famiglia?
«No. Mio padre non c’era più e mia madre mi è stata molto vicina fino a che ero Heidi. Oggi non abbiamo più contatti e non gliene faccio una colpa. Per lei è inconcepibile che io mi chiami Andrea e sia un uomo. Io non voglio forzarla ad accettare qualcosa che, so bene, non può considerare».
Semeneya le ha ricordato il suo passato?
«No, se possibile quella ragazza sta vivendo una situazione persino peggiore. E’ disgustoso vederla indifesa al centro di un’attenzione malata».
Ha visto la finale degli 800 metri?
«Non ho voluto guardare nulla. Faccio anche parte dell’associazione "vittime del doping di Stato" e sto alla larga dallo sport».
Non crede che sia cambiato dai tempi della Ddr?
«Penso che il doping ci sia ancora, facevamo grandi risultati con l’aiuto di sostanze che ci massacravano il fisico e non mi pare che le prestazioni siano cambiate quindi significa che è sempre tutto marcio».
Crede che i record di Bolt siano dopati?
«Tutti record lo sono. E non solo quelli dell’atletica».
Non può esistere un fenomeno capace di realizzare quei tempi ed essere pulito?
«Ho i miei dubbi. Potrei sbagliare, è ovvio che non ho nessuna prova però sono scettico. So come funziona, so che ci drogavano e che le misure non sono scese e i tempi non sono saliti, anzi».
Ma Bolt ha fatto sempre tutti i test antidoping ed è sempre risultato negativo.
«Io non so nulla su Bolt, è che non credo nel sistema»