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 2009  agosto 22 Sabato calendario

PER WALTER LA STORIA SIAMO "NOI"


Si intitola Noi il nuovo romanzo di Walter Veltroni. Titolo semplice ma ambizioso perché l’autore affianca al racconto popolare della sua Italia un apologo etico sul senso della comunità. Non c’è quindi nessun divertissement per il politico in veste di scrittore. Nessuna escursione fantastica o giallistica. La scelta, visti anche i suoi precedenti libri sempre generazionali, col timbro del senso del dovere verso le grandi stagioni della Storia, non poteva essere diversa: largo quindi al genere per eccellenza per un politico, cioè la memorialistica. Che in questo caso unisce ricordi personali a materiali altrui, come si legge nei lunghi ringraziamenti finali (da Shlomo Venezia a Vincenzo Mollica), e mescola la tragedia della guerra, la Shoah, il terrorismo e gli assassini delle icone anni Sessanta come Kennedy e Lennon, con il melodramma.
Veltroni narra le vicende di quattro generazioni della stessa famiglia, dalla caduta del fascismo al futuro targato 2025 dell’ultima discendente, ma il termine è da intendersi in senso letterale perché non c’è nulla di aristocratico. La famiglia da cui partono le vicende di Noi è una realtà umile, composta da una bidella e da un maggiordomo di un gerarca.
L’Italia di Veltroni parla una lingua ostinatamente gentile, anche in tempi di guerra, di borsa nera, di coprifuoco e di «taci, il nemico ci ascolta» perché gentile è la gente che la popola. Mai solitaria, mai rude, la comunità raccontata dello scrittore non intende mai lasciarsi andare alla disperazione degli eventi. La Storia siamo noi, ribadisce implicitamente Veltroni, e infatti nel libro non c’è neanche un disertore. Il romanzo Noi è un viaggio nella memoria scandito dalla vita di quattro ragazzi, colti sempre in un punto di svolta della propria vita. In questo senso Veltroni prova a tessere un romanzo di formazione per i suoi protagonisti che assistono alla scoperta della morte che proviene dalla distruzione, come nella lunga attesa del bombardamento alleato di San Lorenzo a Roma nel luglio del 1943.
O quando affrontano la delicata depressione di una madre di nome Giuditta, sopravvissuta alla deportazione e che in silenzio si arena quando tutto il Paese sembra ripartire di slancio. Ma c’è il tempo anche per entrare dentro la separazione di una giovane coppia post 68, proprio quando Noi potrebbe uscire per un momento dal melodramma, ricadendoci col naufragio di due giovani, già reduci da un tempo in cui erano liberi e belli: «Io cerco i clienti. Pianifico gli spazi degli spot, vado a cena con quelli dei cravattini per dare a te la possibilità di fare l’aedo della rivoluzione che non c’è. Buffo no? Con i soldi dei palazzinari tu vuoi cambiare il mondo».
Ma al romanzo subentra presto l’apologo etico. Noi paga dazio alle passioni dell’autore, prima fra tutte il cinema, poi le canzoni, ma sarebbe inesatto chiamarle ossessioni perché con le ossessioni la convivenza è sempre difficile. Qui invece i suoi luoghi comuni di Veltroni, cioè quelli più frequentati dal suo immaginario, sono utilizzati quasi pacificamente, più che generare dubbi sono fonti di moniti. Se da una parte fa effetto vedere le citazioni dirette e indirette messe in fila dentro un intero romanzo (e di riflesso, immaginare il Veltroni romanziere) dall’altra la retorica a cui attinge Noi (e che conosciamo da tempo) perde lo smalto in più di un episodio.
Da subito vengono evocati i toni, gli ambienti e il sentimentalismo del cinema popolare degli anni quaranta come sfondo: «A pagare era la povera gente e non quel puzzone che la guerra lì aveva voluta e la stava perdendo». Uno sfondo che non farà altro che evolversi, mai distaccandosi da quell’idea di un’Italia gentile, con gli occhi fissi al dramma ma mai veramente disperata, anche fuori dalla guerra, anche nel boom, anche negli anni 70.
Ecco il vero capostipite di Noi, il bambino Giovanni che gioca accontendantosi con cose piccole e preziose- una bicicletta, una matita, dei fogli dove poter disegnare in continuazione, il Meccano regalato dal gerarca al padre maggiordomo della villa al quartiere Coppedè- mentre i due fratelli gemelli si alzano all’alba per andare a fare i facchini ai mercati generali.
Sulle molte giornate «nitide, luminose, certe» di Giovanni e i suoi amici cala un risvolto «confuso, livido, provvisorio» che per Veltroni annuncia il bombardamento su Roma, ma che si protrae per tutto il libro, dove la spensieratezza è sempre frustrata dall’ingresso della Storia, proprio da quel Noi. C’è sempre dietro l’angolo Germania anno zero. Ma siamo dalle parti del melò più che di Rossellini.