Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  agosto 22 Sabato calendario

IL TEMPO LIBERO GENERA MOSTRI


Si vede che questa volta aveva più tempo libero. Abbandonata la guida del Partito democratico e tradita la promessa di immolarsi al volontariato in Africa, Walter Veltroni ha potuto dedicarsi anima e occhiali alla sua grande passione: la letteratura. Il risultato è il suo nuovo romanzo intitolato Noi, edito da Rizzoli (euro 19), in libreria giovedì. La vera sorpresa è il numero di pagine: 348. La scoperta dell’alba (2006), il suo libro precedente, ne aveva soltanto 150. Andavano però sottratte quelle bianche all’inizio e tra un capitolo e l’altro. Non solo. La dimensione dei caratteri di stampa era l’ormai famigerato ”corpo Veltroni”, con le lettere appena più piccole di quelle che compaiono nei testi per ipovedenti. Risultato: all’allora sindaco di Roma bastava confezionare un racconto nemmeno troppo lungo per cavarne un romanzo. Stavolta però il corpo Veltroni è scomparso, forse dimenticato fra gli scatoloni nel loft del Pd. Noi appare molto diverso dai suoi predecessori (tra i quali Senza Patricio, del 2004, 124 pagine). lungo, ambizioso. La trama è più complessa.
L’Italia a capitoli

Inizia nel 1943, col quattordicenne Giovanni che assiste alla deportazione degli ebrei a Roma. La riflessione sulla Shoah tornerà spesso e Walter la risolve in questo dialogo padre-figlio: «Le camere a gas non dimostrano che Dio non c’è. Dimostrano che è stato sconfitto. La sua onnipotenza non arriva a fermare la mano dei criminali. Forse dopo Auschwitz dobbiamo sentirci ancora più in colpa con lui. E forse dobbiamo ripensare il concetto di onnipotenza. Anche Dio può perdere». Il secondo capitolo invece è ambientato nel 1963, nell’Italia del boom e del grande cinema che piace tanto a Walter (il quale vorrebbe rubacchiare un po’ d’atmosfera dal neorealismo). Si prosegue nel 1980, raccontando «l’anno terribile del terremoto in Irpinia, del terrorismo, dell’assassinio di John Lennon». Poi si vola direttamente nel futuro.

Ieri, sul Venerdì di Repubblica che ha dedicato la copertina al Veltroni scrittore, Curzio Maltese, introducendo un’intervista scomodissima (perché svolta interamente in ginocchio) spiegava che questo è il libro «più bello» fra quelli dell’ex segretario. Dobbiamo senz’altro trovarci di fronte a un capolavoro della letteratura, se il giornale fondato da Eugenio Scalfari dice che Noi è meglio dei precedenti. Perché, in apparenza, superare La scoperta dell’alba è un’impresa impossibile. Proprio su Repubblica Dacia Maraini spiegò che quel libro «breve e intenso» ricordava senz’altro il Pirandello del Fu Mattia Pascal, era ricco di atmosfere alla Joseph Conrad e talvolta si concedeva uno «zoom elegante alla Tarkovskij (penso al bellissimo Solaris)».

Il giallista di successo Giancarlo De Cataldo, sul Messaggero, aveva notato invece le tracce di «realismo magico» in puro stile García Márquez oltre alla «fulminante conclusione alla Borges». Il premio Strega Sandro Veronesi citò invece Ian McEwan, mentre Adriano Sofri arrischiò similitudini con Giacomo Leopardi e Andrea Camilleri si limitò a dire che Veltroni presentava «straordinaria qualità di narratore». L’unico che poteva rivaleggiare con Walter (si decidano e gli concedano il Nobel, una buona volta) era Dario Franceschini, anch’egli romanziere e politico, anch’egli paragonato a García Márquez e altri nomi altisonanti. Per un periodo, subito dopo il declino di Veltroni e le sue dimissioni, sembrò addirittura che la storia della letteratura mondiale fosse da riscrivere, spiegando che il nuovo segretario con la penna in mano era meglio del vecchio. Ora però la situazione si è di nuovo ribaltata: Franceschini cola e picco e Walter può tornare in auge.

Fare meglio di Borges, Tarkovskij, Conrad, McEwan, Márquez e Pirandello, in ogni caso, sembrerebbe cosa sovrumana, ma - dice Maltese - Veltroni ce la fa. Secondo Repubblica a Walter «riesce in forma di romanzo l’impresa fallita in tanti anni dalla politica di sinistra. Rappresentare un Paese diverso dal modello becero televisivo, comunicare l’idea e l’emozione di quello che l’Italia è stata e potrebbe essere». Già, perché Noi è «una specie di programma elettorale postumo, ma a differenza dei noiosissimi tomi politici, fatto di carne e sentimenti». In questo romanzo c’è, in sostanza, la descrizione di come «sarebbe stata l’Italia di Walter Veltroni».

Rizzoli non utilizza toni meno altisonanti nella presentazione, spiegando che ci troviamo davanti al «più struggente e intenso tra i libri di Walter Veltroni». Noi sarebbe «il racconto di quello che siamo stati e di quello che diventeremo; è un apologo etico sul senso della comunità; è il romanzo popolare dell’Italia che ha pagato il prezzo dei suoi sogni». Anche la campagna promozionale si annuncia pomposa. Dal 26 agosto sarà online il sito www.walterveltroninoi.it, dove si potranno leggere estratti del libro, «ascoltare integralmente una quindicina di canzoni citate e osservare dall’alto, con Google Maps, i luoghi dove i personaggi vivono le loro vite».
Verso la dittatura

A parere dell’ex segretario del Pd quello in cui viviamo adesso è un luogo atroce, sprofondato nelle tenebre della reazione. Il romanzo si apre infatti con una citazione di Hannah Arendt da L’umanità nei tempi oscuri. E nella parte finale offre un quadro di quello che il futuro ci riserva. L’ultimo capitolo, dicevamo, è un’incursione nella fantascienza. L’anno è il 2025 e in Italia domina la dittatura dell’individualismo. Il governo proietta sui grandi schermi presenti in ogni casa «un giovanotto vestito da joker» che canta un motivetto inquietante: «Vivi ora, vivi per te». Si tratta di una campagna per stimolare l’ego delle persone, bambini compresi. Per spingerle a slegarsi dalla società. In questo mondo del futuro sono proibiti gli eventi pubblici e le manifestazioni collettive. Agli italiani è impedito «andare a concerti (...), partecipare a incontri, dibattiti, manifestazioni». Un povero ragazzetto si lamenta: «Mio nonno mi ha raccontato che nel secolo scorso c’era un posto chiamato Woodstock dove centinaia di migliaia di giovani si sono riuniti per sentire la musica che anche noi amiamo. Jimi Hendrix che suonava l’inno americano!».

Ecco dove ci porterà, secondo Veltroni, il governo di centrodestra. «L’Io è più comodo, il Noi fa paura», ha spiegato il Walter scrittore a Curzio Maltese. «La scomparsa del Noi è la vera tragedia italiana. Di Berlusconi e del berlusconismo si possono dire tante cose, raccontarne lo scandalo, ma l’essenza di quanto è avvenuto in Italia negli ultimi anni sta nel trionfo nell’individualismo e nella cancellazione dell’idea stessa di interesse e progetto collettivo (...). Senza il Noi un Paese è finito. L’Io identitario è una truffa, un’invenzione». Sorge un dubbio, però. Veltroni racconta la storia d’Italia secondo la meglio gioventù di sinistra (non a caso Noi ricorda molto il film di Marco Tullio Giordana, anche solo per la divisione dei capitoli) e sostiene che Silvio ci porterà dritti alla dittatura. Ma allora perché, parlando con Repubblica, dice che Berlusconi è al tramonto, che «quella del berlusconismo» è una «fine culturale»? Se il Cavaliere è destinato a perdere presto il potere, chi ci condurrà verso il futuro terribile descritto nel romanzo? Bersani o D’Alema?
Woodstock e rock

E poi: qual è la ricetta di Walter per uscire dal guado? Il solito miscuglio di figli dei fiori, buonismo, Kennedy e concerti rock. Con una pacca sulle spalle ai precari e (nelle sei-pagine-sei di ringraziamenti) ai «funzionari di talento» che spingono il Paese: bello spot elettorale. Senza dimenticare la lezione di Vittorio Foa (a cui è dedicato il romanzo) e Tonino Guerra, quello che pubblicizzava l’Unieuro: «L’ottimismo è il profumo della vita… Gianni!». Spiega infatti Walter a Repubblica: «Il pessimismo è sempre conservatore. Foa è stato l’Omero del nostro Novecento, era giusto ricordarlo qui». Già, se il Fu Mattia Veltroni è Pirandello, Foa può anche essere Omero o magari Dante.

Piccola curiosità: il romanzo di Walter ha in comune il titolo (e qualche tema) con un capolavoro della letteratura fantascientifica. Si tratta di Noi, scritto tra 1920 e il 1921 dal russo Evgénij Zamjatin (autore amatissimo, tra gli altri, da Tom Wolfe), il quale descriveva i pericoli di una società in cui la collettività trionfa sull’individuo. Magari, se continuerà a restare lontano dalle scene, il politico-romanziere potrà sfogliarlo.

Il problema, però, è proprio il tempo libero: si mormora che Walter sarà il candidato del Pd per la poltrona di governatore del Lazio. Dovesse presentarsi alle elezioni e vincere, ci toccherà sopportarlo come amministratore. Dovesse perdere, potrebbe sfornare un altro libro, magari ancora più lungo. La scelta tra i due mali è difficile. Ci sarebbe sempre l’ipotesi Africa. Basta che dal Continente nero non si metta in testa di scrivere racconti ”alla Hemingway”.