Maurizio Tropeano, La Stampa 23/8/2009, 23 agosto 2009
MAURIZIO TROPEANO
La Coldiretti del Piemonte ha chiesto alla Regione lo stato di crisi per il settore delle pesche. E’ l’ultimo atto di quello che si potrebbe definire l’anno horribilis del settore, peggiore anche del biennio 2004/205. Ecco perché di fronte al ripetersi ciclico della crisi Paolo Bruni, presidente di Fedagri-Confcooperative, chiede di «stabilire per legge il divieto di immissione sul mercato e di commercializzare la frutta di seconda categoria, quella di bassa qualità». Il motivo? «In una situazione di ingolfamento del mercato per salvare la produzione di qualità occorre togliere dal commercio quella peggiore».
La proposta di stoppare il commercio delle pesche di scarto dovrebbe diventare operativa solo in caso di crisi conclamata ed è destinata probabilmente a scatenare una forte reazione tra i produttori. Bruni, però, si dice convinto della necessità di «scelte coraggiose perché gli interventi chirurgici o le toppe messe alla fine dei raccolti non hanno risolto e non risolveranno la crisi». Aggiunge: «I sistemi di autoregolamentazione non si sono dimostrati efficaci. Alla fine c’è sempre qualche furbetto che si mette a vendere prodotti di seconda categoria che non eccellono per qualità. A queste condizioni è più conveniente non raccogliere le pesche».
Perché? Basta dare un’occhiata ai prezzi. Al produttore vengono pagati meno di 20 centesimi al chilo mentre i costi di produzione sono tra i 35 e i 40 centesimi. Da qui la proposta di un intervento di regolamentazione: «Riuniamo i tavoli interprofessionali e scriviamo le nuove regole del settore da applicare in uno stato di crisi cioè quando la domanda e l’offerta non sono in grado di trovare una situazione di equilibrio. Poi passiamo la palla al governo che emana norme vincolanti con sanzioni per chi non le applica». Senza dimenticare la necessità di un intervento per permettere la defiscalizzazione degli oneri sociali: «Rispetto alla Spagna c’è 1 euro di differenza in più che pesa sul costo del lavoro».
E il problema che oltre alle pesche la crisi dei consumi si estende anche al resto della frutta e delle verdure estive. Secondo la Confederazione Italiana degli Agricoltori «si dovrebbe registrare una contrazione in quantità vicina al 3%, rispetto allo stesso periodo del 2008». Meno angurie, meloni, prugne, pesche, pomodori e insalate nella busta della spesa degli italiani, che dal 1984 ad oggi hanno costantemente ridotto i quantitativi acquistati. Senza dimenticare che «i produttori agricoli hanno venduto ai prezzi del 2002 mentre i consumatori hanno pagato ai prezzi del 2008».
Insomma, prosegue la crisi dell’ortofrutta italiana, tra calo dei consumi, importazioni massicce, scarsa competitività con le produzioni estere e regole di mercato penalizzanti. Ma secondo la Cia c’è un problema che riguarda anche i consumatori: «Mentre il dato sulla diminuzione di consumi di frutta e verdura è, sostanzialmente, omogeneo nei Paesi europei, i consumatori italiani rimangono gli europei più penalizzati per quanto concerne i prezzi». Secondo la Cia «in Spagna e Grecia, infatti, frutta e verdura costano, in media, il 25% in meno, il venti in Portogallo. Anche in Germania e Francia si paga di meno».
In questo contesto la proposta della Confagricoltura di creare un fondo nazionale anti-crisi potrebbe diventare «un volano continuo di risorse pronte ad essere attivate di fronte all’emergenza di qualsiasi comparto agricolo», spiega il presidente, Federico Vecchioni. L’idea di Confagricoltura è costituire un fondo privato che avrà come protagonisti imprese e soggetti finanziari. Spiega Vecchioni: «Non chiediamo aiuti, ma una politica che ci alleggerisca dai vincoli burocratici e confermi il peso dell’agricoltura nelle scelte economiche e politiche del Paese». Insomma non si chiedono forme di assistenzialismo ma «solo gli strumenti per competere ad armi pari con la concorrenza internazionale».
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