Michele Smargiassi, la Repubblica 23/8/2009, 23 agosto 2009
MICHELE SMARGIASSI
«faremo scorte», risponde aspro e desolato Piero Castiglioni, con la prontezza di chi si è già posto il problema. La domanda era: come farete, voi maghi della luce, senza le lampadine? Senza le vecchie tradizionali lampadine di Edison, in verità bisogna precisare, perché è evidente che l´Europa non resterà al buio dal prossimo settembre, quando più o meno in tutto il continente comincerà ad essere vietata la produzione e la vendita delle lampadine tradizionali a incandescenza: comincerà l´era della luce fredda, delle lampadine a fluorescenza, risparmiose, virtuose. E deprimenti, dicono i designer dell´arredo più impalpabile.
L´Italia s´è adeguata qualche settimana fa, dopo aver esitato molto, cancellando e ripristinando più volte l´articolo sul risparmio energetico della "Legge Sviluppo". Le prime a finire fuorilegge saranno le lampadine più potenti, ma entro il 2012 sarà la fine per tutte quante, anche per le umili 25-watt da abat-jour. Potremo tenerle fino a esaurimento, ma quando, esalando un tenue sfrigolio, renderanno la scintillante anima, dovremo rimpiazzarle con le loro tecnologiche nipoti a fluorescenza. E il mondo sarà più freddo, in tutti i sensi, lasciatelo dire a Castiglioni che con la luce lo dipinge da decenni. Ha illuminato il Centre Pompidou, Palazzo Grassi, il Musée d´Orsay, la Galleria di Milano. Utilizzando spesso le alogene, «che sono lampadine a incandescenza col turbo», ma senza mai tradire la luce che viene dal fuoco. «Il nostro occhio è abituato da millenni a un solo tipo di luce, quello prodotto da corpi che bruciano: il sole, il fuoco. il tipo di luminosità che riconosciamo come naturale, perché il suo spettro è continuo. Le fluorescenti hanno una gamma incompleta, con picchi di colori dominanti. Per un parcheggio sotterraneo vanno bene, ma mostrare un Van Gogh sotto una fluorescente sarebbe un crimine».
Faranno scorte anche i direttori di museo. Ma forse pure quelli dei ristoranti, perché perfino un filetto al sangue, sotto le radiazioni verdognole delle fluorescenti, rischia di assumere pallori imbarazzanti. E il maquillage delle donne? «Non oso pensare all´angolo trucco illuminato dalla luce fredda: per ravvivare la carnagione così sbiancata le nostre signore saranno indotte a esagerare col makeup», e usciranno di casa laccate come mobili cinesi. Fine di un mondo: «Ma ve lo immaginate un porticciolo greco senza le collane di lampadine appese?», piange il suo rimpianto sulla rivista Ottagono un´altra professionista della luce, Cinzia Ferrara. «Bisognerà organizzare il contrabbando», scherzano altri colleghi. Sì, la resistenza al proibizionismo del filamento incandescente si sta organizzando. «Lasciate che siano i professionisti a scegliere la luce giusta a seconda dell´uso», invoca l´Apil, che associa gli architetti dell´illuminotecnica. Tutto inutile: la procedura di eutanasia della lampadina è inesorabilmente avviata.
finita, per la luce che viene dal fuoco. Il dono che costò tanta fatica rubare agli dèi viene ora sdegnosamente gettato tra i rifiuti. Prometeo torna in catene. Condannato per malversazione energetica continuata e aggravata. La sentenza riporta il quantum delle sue colpe: continuare a rischiarare le nostre notti con la luce calda ci costerebbe il quadruplo di elettricità e 32 milioni di tonnellate l´anno di CO2 nell´atmosfera. Inutile obiettare che in Italia solo il sette per cento dell´elettricità se ne va in luce, anche se ha la colpa, sospira Castiglioni, «di essere l´unica energia il cui spreco si vede»; e che a sua volta l´elettricità è solo un decimo delle fonti d´energia che consumiamo. La sorte della lampadina a filamento si è probabilmente giocata su altri tavoli. La vecchia lampadina muore di umiltà: la sua tecnologia ormai banale ne minimizza il profitto, e consente ai soliti concorrenti asiatici di sfidare le produzioni delle multinazionali con prodotti a basso costo. La lampadina muore perché non sa più arricchire nessuno.
«Ha arricchito l´umanità!», protesta Giorgio Antonelli, sfogliando l´album dei ricordi che ha messo assieme con amore per decenni. Direttore della rivista Flare, ex dirigente di una multinazionale della luce, è il maggior collezionista italiano di memorabilia della lampadina. Il libro che la rende (quasi in articulo mortis) accessibile al pubblico, La ballata della luce, è un cantico di amore passionale per il «bulbo brillante» tra storia, arte e letteratura. «Una forma perfetta, lo riconobbe anche Adolf Loos: infatti non è mai sostanzialmente cambiata da quando Edison la inventò. Non ce n´era bisogno, è come se fosse nata dall´incavo della mano, è un complemento del corpo». Era il 21 dicembre del 1879, centotrenta anni or sono, quando il primo filamento, una fibra vegetale carbonizzata, bruciò nel suo palloncino di vetro per quaranta ore consecutive. Thomas Alva Edison l´aveva immaginata e realizzata in soli tredici mesi. Un portento. Bisogna leggere le memorie del neurologo Oliver Sacks per intuire quale suggestione emanavano quei primi palloncini trasparenti che suo zio Dave, «zio Tungsteno», gli creava davanti agli occhi come fiori magici.
«Il primo elettrodomestico della storia», la benedice Antonelli. Tuttavia alla porta delle case borghesi non si presentò col grembiule della serva, ma con la tunica di una dea. Concordi, le réclame della sua folgorante apparizione l´associano a un qualche Olimpo, mitologico o modernista: Vulcano o il Progresso. I francesi le danno il nomignolo alchemico-liturgico di ampoule, gli anglosassoni quello vitalistico di bulb. I suoi nomi propri richiamano potenze ultraterrene: Mazda è un dio persiano, la Siemens pesca nelle saghe nibelungiche il marchio Wotan, e perfino Osram (in realtà acronimo di osmio e wolframio) sembra mimare il nome di qualche divinità egizia. la fée electrique a fare di Parigi la ville lumière. Ma è anche la luce per le masse, il sole tascabile dell´avvenire che fa fremere Majakowski e Aragon, che Lenin addita ai proletari come l´incarnazione visibile del socialismo. Eppure è nei templi della borghesia che squarcia per la prima volta le tenebre: la motonave di lusso Columbia, l´Opéra di Parigi. Patrizia e plebea assieme, la lampadina è stata forse il mito più interclassista del Novecento. La prova del suo successo è la rapidità con cui finisce nell´oblio il suo grande concorrente, il becco a gas, che contrariamente a quanto si immagina non scomparve dalla circolazione quando la cugina di vetro apparve all´orizzonte, ma ingaggiò con lei una lunga battaglia nel corso della quale spesso sembrò avere la meglio, ad esempio quando la scienziato austriaco Carl Auer brevettò, nel 1885, la reticella ossidata che quintuplicava il potere illuminante del gas facendo, letteralmente, impallidire le lampadine dell´epoca.
Ma il gas non aveva la stessa potenza epica. Era un prodotto delle viscere della terra, mentre l´elettricità ha la sostanza eterea del sole. Potenza ctonia contro potenza celeste. D´accordo, alla fine è l´ecologia domestica (niente fumo, odore, pericolo d´incendio) a far pendere la bilancia, ma lasciateci pensare che le mitologie abbiano una piccola parte. Comunque sia, negli anni Trenta metà delle case italiane si rischiara di sera con i bulbi brillanti. Le années lumière sembrano non avere più fine. Come prodotto seriale, la lampadina è il laboratorio della prima globalizzazione: l´attacco a vite, nelle sue tre misure ancora oggi immutate, è il primo standard industriale ad affermarsi su scala mondiale (solo i francesi, bastian contrari come sempre, preferirono l´attacco a baionetta). Madre dell´elettronica (la valvola è una lampadina intelligente), sembrava destinata a rinnovarsi senza mai invecchiare.
Invece, ecco le rivali. Giovani e brillanti, ambiziose e gelide come si conviene a un feuillleton passionale. La focosa lampadina, che disperde in calore il novantacinque per cento dell´energia che beve, di colpo appare inefficiente, vecchia. Curiosa vendetta postuma del gas: nei tubi di vetro opalino, come una lucciola gigante, è il neon che brilla a freddo. «La lampada a fluorescenza è del 1937, ma non riuscì a uccidere la lampadina a incandescenza», insiste l´ottimismo di Antonelli. Sì, ma oggi s´è rifatta il look: per entrare nei nostri lampadari domestici l´antiestetico tubicino si raggomitola su se stesso oppure (l´ipocrita!) si nasconde dentro un altro involucro di vetro che simula quello della sua avversaria. Come una sirena, parla alla coscienza e al portafoglio: ti costo di più, ma duro otto volte di più, comprami, ti conviene, e sono anche politicamente corretta (ma è meglio non affrontare il problema dello smaltimento di quei quattro grammi di mercurio che contengo...).
Qualcuno s´è già accorto che le nuove lampadine non sono compatibili, materialmente o esteticamente, con le lampade d´autore che hanno fatto la storia del design italiano: Artemide, Flex, Fontana Arte... Qualcuna forse si riadatterà all´alogena che, pur essendo in fondo una lampadina a incandescenza, chissà come ha schivato i rigori del proibizionismo ecologista. Per le altre, pazienza. Anche i candelabri barocchi di bronzo sono andati in pensione. Tout passe. Toccherà presto anche alla pallida nuova arrivata. Si fa già il nome di chi la scalzerà: il led, minuscolo punto luce che si presenta a grappoli, quasi indistruttibile e capace di dipingere il mondo a tinte calde, mischiando le sue tessere colorate come un mosaico. E anche la forma della lampadina, allora, sarà dimenticata.
Solo da un cantuccio dell´immaginario sarà impossibile scacciare i filamenti bollenti: dai fumetti. Quando Archimede Pitagorico ha un´idea brillante, sopra la sua testa si accende una lampadina con la sua evidente matassina arricciata. Sbaglieremo, ma non ci pare che il pigro tubicino fluo, che si prende il suo tempo per brillare appieno, farà la stessa funzione simbolica. con l´aspetto di una lampadina di Edison che continueremo a immaginarci l´intelligenza. Non si può abolire per legge una metafora secolare.