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 2009  agosto 23 Domenica calendario

La storia Le strade del destino si sono spesso intrecciate con quelle dell’invidia e dei magheggi

La storia Le strade del destino si sono spesso intrecciate con quelle dell’invidia e dei magheggi. Poi arrivò il Totocalcio Quando 3 milioni di lire ci sembravano tanti Era il 7 maggio del 1933, prima lotteria del Regno. E subito si sospettò di un «accordo» ROMA – Cosa sono tre milioni (di lire) rispetto alla montagna alta 147 milioni (di euro) spuntata ieri a Bagnone? Un topolino, certo. Ep­pure è proprio da quei tre milioni che comincia la storia a tappe della fortuna italiana. Era il 7 maggio del 1933, giorno fatidico della prima lotteria del Regno. Estrazione abbi­nata non a Fantastico perché Pippo Baudo sarebbe nato solo tre anni dopo. Ma al Gran premio di Tripo­li, all’epoca suolo patrio. Biglietti venduti a dodici lire l’uno, non mol­to meno rispetto ai due euro che ie­ri hanno cambiato la vita del tosca­no più invidiato d’Italia. Tre milioni al primo biglietto, due al secondo, uno al terzo. Il Co­dacons non c’era ancora ma già in quel 1933 si comincia a parlare di estrazione con il trucco. Su Achille Varzi, vincitore su una Bugatti, e Ta­zio Nuvolari, secondo su Alfa Ro­meo, plana la classica accusa di bi­scotto. Si sono messi d’accordo, di­cono, per poi dividere il bottino con i possessori dei biglietti. Nessu­no riuscirà mai a dimostrarlo. Ma fin da allora la storia a tappe della fortuna italiana si intreccia con quella controversa dell’invidia, dei sospetti e dei magheggi. Arriva la guerra, si ritrova la pace. L’Italia prova a togliersi la polvere di dos­so e per ripartire pure il gioco si fa democratico. Non solo fortuna pu­ra ma anche un minimo di studio e ragionamento sia pure al bar dello sport. Il 5 maggio del 1946 nasce la schedina Sisal (sì, proprio quelli del Superenalotto) cioè il Totocal­cio. Giocata minima 30 lire, il «co­sto di un vermut» dice la pubblici­tà. Ma l’Italia del dopoguerra non è ancora pronta e non è difficile capi­re il perché. Vengono stampate 5 milioni di schedine, quelle giocate saranno solo 34 mila. Che fare di quella montagna di carta? Alla Sisal non si perdono d’animo: vengono distribuite ai barbieri, serviranno a pulire i rasoi e dureranno anni. A fare dodici, allora il punteggio mas­simo, è il signor Emilio Biaselli che incassa 463.146 lire. Tutto merito di quel pareggio fra Sampierdarene­se e Sestrese che pochissimi aveva­no puntato. Passa solo un anno e si torna a contare i milioni. Primavera 1947, mentre a Roma si dimette il terzo governo De Gasperi, a Treviso il si­gnor Aleotti Pietro cambia vita in­cassando 64 milioni. Lui non si era nemmeno accorto di aver vinto. Ma aveva messo cognome, nome e pro­fessione sul retro della schedina, in quello spazio bianco rimasto inuti­lizzato per anni (chi li sente poi pa­renti e amici che chiedono un pre­stito) e che adesso non c’è neanche più. «Aleotti Pietro artigiano del le­gno », aveva scritto. Costruiva bare. Il Totocalcio diventa il sogno alla portata di tutti. Per lo spoglio la Si­sal deve cambiare sede, la sala d’at­tesa di seconda classe alla stazione di Milano non basta più. Ma per la tappa successiva della fortuna italia­na si torna alla lotteria. il 1955, l’ingegner Ferruccio Quintavalle fonda l’Autobianchi che (come lo spazio sulla schedina) oggi non c’è più. Il premio della Lotteria di Mera­no è arrivato per la prima volta a 100 milioni. «Premio da nababbi» titolano i giornali e in quell’Italia in bianco e nero c’è già chi sostiene che siamo all’esagerazione. Come la Gazzetta del popolo che parla ad­dirittura di vincita «immorale». Ma arriva il boom degli anni Sessanta, si moltiplicano frigoriferi, 500, e in­sieme a loro anche il premio delle lotterie nazionali. Si sale a 200 mi­lioni, 300, 500, 750. Ma per aggiun­gere un altro zero bisogna saltare in­teri capitoli della storia d’Italia ed arrivare al 1986. Mentre a Palermo, nel maxi bunker dell’Ucciardone, sta per cominciare il maxi processo contro Cosa nostra, gli occhi degli italiani sono tutti su Napoli, addirit­tura per una corsa di cavalli. Gran premio lotteria di Agnano, vince William Casoli su Classy Rouge. Ma soprattutto c’è qualcuno che con quel biglietto vince un miliardo. Inutile cercarlo, sono finiti i tempi in cui Aleotti Pietro metteva cogno­me e nome sul retro della schedina. Oramai i montepremi sono così alti che chi vince fa finta di nulla. Oppu­re si trasferisce dall’altra parte del­l’oceano per sfuggire alle probabili richieste di parenti e affini. Quei miliardi crescono in fretta. Nella storia a tappe della fortuna, che ormai è diventata cronaca, si riaffaccia il Totocalcio: nel 1993 re­gala un tredici da 5 miliardi e mez­zo. Nel 2001 tocca ad un gioco nuo­vo, il Totogol. Nel bar tabacchi di via Fabriano, a Milano, viene gioca­ta una schedina che per la prima volta supera gli otto miliardi di li­re. Ma è il canto del cigno. Totocal­cio e Totogol sono ormai condanna­ti a morte. Già tre anni prima, a di­stribuire miliardi aveva cominciato un gioco nuovo chiamato Supere­nalotto. Era il 17 gennaio del 1998, l’Italia litigava sulla cura Di Bella, Massimo D’Alema e Giuliano Ferra­ra litigavano pure loro ma sulla Co­sa 2. A Poncarale, in provincia di Brescia, viene sfondato un altro tet­to: un sei da 11 miliardi e 800 milio­ni di lire. Si torna a discutere di vin­cita esagerata, immorale, così non si può continuare. Ma non si fa in tempo a trovare una soluzione che il 31 ottobre dello stesso anno a Pe­schici i miliardi diventano addirit­tura 63. Poi arriva l’euro, si torna a ragionare in milioni e per superare quota 100 bisogna aspettare il 2008, destinazione Catania. Cento milioni di euro con il Superenalot­to l’anno scorso. Cento milioni di lire alla lotteria nel 1955. Tra infla­zione e vecchio conio, anche la sto­ria a tappe della fortuna ha i suoi corsi e ricorsi. Lorenzo Salvia