Mimmo Candito, La stampa 19/8/2009, 19 agosto 2009
IL "SINDACO DI KABUL" DIVENTATO SINDACO GRAZIE A UN ELICOTTERO
Hamid Karzai è quello che si dice un uomo fortunato. O, comunque, se è vero che ognuno nasce con il proprio destino già stampato addosso, ne ha avuto uno che meglio non ce n’è. Perché la morte lui l’ha sentita a un solo passo, un giorno di fine novembre del 2001, con i taleban che gli sparavano da ogni parte. E invece lui riuscì a cavarsela ugualmente.
La storia è interessante, perché lo ha portato poi a diventare presidente dell’Afghanistan. Il vero presidente sarebbe dovuto essere suo cugino, il comandante Abdul Haq, uno dei più coraggiosi mujaheddin della lotta contro l’Armata Rossa (gli dedicarono perfino un libro e un film). Ma il destino decise diversamente.
Haq e Karzai, in quel novembre 2001, mentre gli americani bombardavano i taleban con i B-52, ebbero assegnata una missione dal comando Usa: si chiamava «Operazione Ritorno del Re», e prevedeva la riconquista dell’Afghanistan dal basso (non dai cieli soltanto) con poi una monarchia transitoria e la nomina di un presidente. Il comandante Haq, appunto. Ebbero 5 milioni di dollari ciascuno, due jeepponi, 7 uomini, e un compito che non pareva nemmeno difficile con la gente delle montagne: comprarsi la fedeltà delle tribù pashtun, sganciandole dai taleban. Partirono di notte, senza luna, senza fari e senza un suono.
Contavano di lavorare in clandestinità, con le loro sacche di dollari da far diventare sempre meno pesanti. Ma fu un’illusione che durò nemmeno 48 ore, perché - nonostante la loro abilità militare, la forza convincente dei bigliettoni, e il prestigio che entrambi avevano presso la gente, pashtun come loro - qualcuno fece la spia. Haq montò il suo satellitare e parlò con il suo «contatto» di Peshawar. «Circondato. Mandate subito un aiuto, in nome di Allah». Però il destino volle che non ci fosse un solo elicottero in giro; il «contatto» riuscì a trovare solo un Ac-130, una cannoniera volante, che tirò sventagliate verso la vallata. Non poteva far altro. Il comandante, uomo di fegato come pochi, nella confusione montò a cavallo, mise di traverso sulla sella due borsoni di dollari, e tentò di sfondare l’accerchiamento.
Ma lo presero. E il mattino dopo lo impiccarono a un palo di Kabul. Ora sta sotto un piccolo tumulo di terra, non lontano dalla sua villa, alla periferia di Jalalabad. Un tumulo spoglio, non da chi doveva diventare presidente.
Anche Karzai, lo circondarono i taleban dopo che qualcuno l’aveva venduto. Ma il suo destino era fortunato. Montò il satellitare e lanciò l’Sos. La sorte volle che ci fossero pronti due Chinoook carichi di uomini e armi; mentre uno sventagliava di fuoco la montagna, l’altro calò due funi con un cappio, fece appendere alla vita Karzai e se lo portò via. Facendolo il nuovo presidente.
Karzai è stato un combattente coraggioso anch’egli, nella guerra contro l’Urss, e si dice che prese Kandahar senza sparare un colpo, convincendo i sovietici a uscire prima d’essere massacrati. Fu anche un uomo degli americani nella lunga fase di transizione; parla un ottimo inglese e viaggiò a lungo negli Usa. Ma come presidente non è riuscito a far granchè: ha ceduto alle pressioni dei signori della guerra indebolito da un regime di corruzione che ha coinvolto la sua stessa famiglia. E’ un uomo elegante, anche raffinato, ma si dice che sostanzialmente è stato «il sindaco di Kabul»; fuori, contava niente. Il generale Dostum disse: «Se osa venire a Mazar-i-Sherif, lo prendo a calci in culo».