Gianni Romeo, La Stampa, 19/8/2009, 19 agosto 2009
PERCHE’ BOLT E’ COSI’ VELOCE?
I Mondiali di atletica sembrano tramutarsi nel festival della Giamaica. Si sono inventati una benzina super?
Questa benzina super esiste evidentemente da molti anni, visto che un giamaicano, Arthur Wint, vinse i 400 metri alle Olimpiadi di Londra 1948 e insieme ai connazionali Rhoden e McKenley diede vita a una staffetta leggendaria fino a Helsinky 1952. Più avanti troviamo Don Quarrie, campione olimpico dei 200 a Montreal 1976, poi Grace Jackson, seconda nei 200 a Seul 1988 e Merlene Ottey, che ha conquistato otto medaglie olimpiche. La tradizione dell’atletica era già ben radicata nei giamaicani, ma in effetti erano lampi, mentre oggi il fenomeno è diventato di massa. Se la domanda è maliziosa e intende porre il sospetto del doping si deve rispondere che oggi nello sport non si può mettere la mano sul fuoco per nessuno, ma sarebbe troppo semplicistico pensare che i giamaicani abbiano scoperto uno speciale elisir sconosciuto agli avversari.
Per vincere bisogna essere ormai dei giganti superdotati come Bolt (1.96 m), oppure Powell ( 1,90 m.)?
L’altezza aiuta, certo, perché le ampie falcate degli spinter mangiano più terreno. Ma non spiega tutto. La vincitrice dei 100, la Fraser, è alta soltanto 1,52 e però ha la capacità di muovere le gambe a ritmi vertiginosi.
Come si spiega il fenomeno in un Paese di 2,5 milioni di abitanti, la metà della popolazione del Piemonte?
Per cercare una spiegazione occorre partire molto da lontano, parlare di genetica. Sostengono gli studiosi della materia, il professor Carlo Vittori fra essi, che quando era in uso il commercio degli schiavi, fino al Settecento, le navi che arrivavano dall’Africa con il loro carico toccavano proprio la Giamaica come prima o seconda tappa del viaggio. I proprietari terrieri del tempo, fra gli schiavi da acquistare, avevano la possibilità della prima scelta, il meglio. E’ documentato dalle ricerche che nella razza nera esiste un principio attivo produttore di energia super, la «miocinasi» o «actina A», che fra i bianchi viene riscontrato in proporzioni molto minori. L’incrocio fra i neri e i caraibici nel tempo ha creato quindi delle fibre particolarmente pregiate, per correre velocemente.
Non basta essere neri per andare veloce come Bolt, Quali altri motivi ci sono alla base dell’exploit?
Un altro motivo, parziale ma non troppo secondario, si trova nel clima privilegiato di quell’area, che invita a vivere all’aria aperta, a muoversi ed esprimersi ed esaltare il corpo in tutte le forme possibili, basti pensare ai balli caraibici. Però è forse decisivo quanto stiamo per dire ora. Lo sport, in particolare l’atletica, da molto tempo è un elemento fondamentale nel progetto educativo giamaicano. Si gioca all’atletica fin dall’età di 3 anni, ci sono prove e competizioni all’interno di ogni scuola, si arriva alle finali cittadine, a quelle provinciali, poi nazionali. Praticamente tutti da giovani hanno la possibilità di masticare atletica e non c’è bisogno, soprattutto nelle prime fasi, di impianti particolari o di piste. Qualunque area è buona per sfidarsi sui 100.
Questa organizzazione capillare ha dei costi elevati. Come fa la Giamaica a sostenere il progetto?
I costi sono sempre stati un problema, ma oggi lo sono meno. Grazie ai successi dei suoi campioni le sponsorizzazioni all’atletica giamaicana arrivano e sono robuste. I grandi sponsor si legano al fenomeno, al Bolt del momento, ma sono lieti di sostenere tutto il movimento perché avranno poi una specie di «diritto di prelazione» sui talenti successivi. Bolt ad esempio incassa dalla Puma un milione e mezzo di dollari l’anno, ma molti di più arrivano alla federazione giamaicana. E così si sta ormai arginando un fenomeno che in passato era negativo, quello cioè dei più bravi che se ne andavano, soprattutto nei college statunitensi. Ora stanno a casa loro, con allenatori giamaicani, e diventano un traino formidabile, perché c’è la possibilità di elargire ai migliori delle robuste borse di studio.
L’atletica in Giamaica è come il calcio in Italia, lo sport nazionale?
Esattamente. I successi hanno innescato una spirale di orgoglio nazionale, moltissimi giovani vogliono inserirsi in questa catena umana. Proprio da studi approfonditi del professor Vittori, si evince che se non scattano nell’atleta motivazioni particolari, gli ormoni che danno la spinta alle prestazioni non vengono stimolati a sufficienza. In Giamaica questo non è più un problema.