Adriano Sofri, La Repubblica 20/8/2009, 20 agosto 2009
BOLT, IL PARADOSSO DELLA VELOCIT
E volete discutere di secolarizzazione in un mondo in cui Achille il piè veloce sarebbe arrivato sì e no settimo nei quarti di finale?
Ora, per non mortificarci troppo, noi della razza di chi rimane a terra, si è trovata quella formula, di chiamarlo marziano, Usain Bolt, di dire: è di un altro pianeta. Eppure quello che è arrivato, staccatissimo, dopo di lui, il digrignante Tyson Gay, ha fatto il secondo tempo della storia. Cominciano a essere parecchi, questi marziani. Immigrazione extraplanetaria, bisognerà correre ai ripari. Correre... Non è più solo questione di sport agonistico. Usain Bolt spiega Hussein Obama, e viceversa. John F.Kennedy sembrava così giovane e bello: ma era ricchissimo di famiglia e aveva un gran mal di schiena. Questi sono davvero il mondo nuovo. E hanno dei modi. Sono allegri, scherzano ”perfino Asafa Powell che ha l´anima triste’ si fanno intervistare da un bambino nero in giacca e cravatta e fotografare in camicia bianca con la collega presidente provinciale dell´Aquila, e prima della partenza invece di concentrarsi e ipnotizzarsi tendono un arco immaginario e fanno le boccacce al pubblico. Come soffrivano i nostri velocisti, come si sacrificavano i nostri governanti. Questi arrivano e invece di rovinare al suolo rantolando continuano ballando. Somigliano a Josephine Baker, dice Emanuela Audisio. In effetti, si poteva capire tutto già guardando Josephine Baker. Sono leggeri e scanzonati come i ragazzi di un film inglese del ´68 (forse era "If"?) che corrono in strada su un letto a rotelle, e due dolci vecchiette li guardano intenerite dalla finestra e dicono: "Che belli! Uccidiamoli!". Noi siamo le vecchiette intenerite.
In uno dei 41 passi di Bolt, 2 metri e 67, noi della razza eccetera teniamo tre detenuti. Il gesto prediletto di Bolt è quel tendere l´arco e incoccare la freccia. Chissà se gli hanno detto, i filologi classici, che un abile tiratore antico poteva scoccare fino a dodici frecce al minuto. I filologi classici stanno all´altro capo della cosa, dopo le vecchiette. Solo che pensavano, finora, di essere i lenti eredi degli albori del mondo, non gli spettatori spiaggiati di un nuovo mondo fulmineo. E che fine fa allora la lentezza? Be´, Bolt è fin troppo condiscendente quando racconta di fare tutto il resto molto lentamente, mangiare, camminare, parlare, ballare, e anche l´amore. La lentezza nell´atletica velocista non esiste, è solo un gioco di parole, o l´allusione al fatto che dopotutto, fuori dalle piste, c´è anche una vita. Questa unilateralità bruciante consola noi, della razza di chi rimane a terra (è il verso ultimo di Montale, che invidia il tuffo di Esterina), e un´oretta prima dei cento di Berlino avevamo guardato il Palio di Siena. Solo un minuto e quindici secondi per i tre giri del Campo: ma tutta un´altra storia. Il Palio è la più meticolosa festa della lentezza che gli umani abbiano inventato e perfezionato. La sera dell´Assunta è trascorsa un´estenuante ora e dieci minuti prima della mossa valida. Già a luglio c´erano voluti cinquanta minuti. Certo, si è esagerato, e i senesi presentano il conto al traballante mossiere. Ma, esagerazione a parte, a chi capisce il Palio, ritardo e rallentamento sembrano preziosi. il legame fra quelli che si chiamano malamente preliminari e il compimento dell´amore. A giudicare dalle impazienze televisive, la gente non senese non ne fa abbastanza conto, di quel legame. La gente pensa che il tempo dell´attesa e della preparazione sia tempo perso. Alla fine, quando la carriera sarà stata corsa ormai all´imbrunire e dopo tre mosse false e un paio di cambi di canale, la gente penserà di aver perduto un´ora e un quarto per vedersi un minuto di corsa, e allora l´anno prossimo si guarderà il replay al telegiornale e buonanotte. quasi offesa, la gente, da questo oltraggio senese al suo tempo, che è denaro. Anche qualche senese cede alla pressione, e ipotizza di cambiare le regole, di abolire la rincorsa, di addestrare i mossieri al decisionismo. La piazza del Campo incitava alla mossa e fischiava il ritardo, ma non vi lasciate ingannare. Il ritardo fa crescere la tensione di cavalli e fantini e anche degli spettatori, fino all´esasperazione, ma ritardo ed esasperazione fanno parte del gioco, e preludono allo scioglimento che arriverà. Mentre gli addetti televisivi lamentavano le impellenze del palinsesto e il tramonto che calava sulla piazza, l´occhio imparava a conoscere i protagonisti e a farsi un´idea e un augurio sulla corsa imminente e sempre interrotta. Il fantino giallo dell´Aquila non sapeva (non voleva?) tenere in linea la sua Indira Bella, e riusciva a controllarla solo mettendola di traverso, e a ogni tentativo di affiancarla agli altri la cavalla riottosa scuoteva la bella testa avvertendo di non volerne sapere. Forse, ho pensato, Indira Bella è disadatta alla corsa, oppure è un tipo speciale, e non sopporta di stare nel gruppo. Ho pensato che se fossi stato il suo fantino - bravissimo, Luca Minisini, detto il Dè - dopo averla lanciata alla rincorsa della Civetta, come ha fatto, mi sarei disarcionato da me, senza aspettare di urtare e cadere, e avrei scommesso che l´orgogliosa Indira Bella vincesse da sola, scossa. Ha vinto la Civetta, era la "nonna", aspettava da trent´anni, tutta Siena (Leocorno a parte: noblesse oblige) ha festeggiato con lei.
Prima della chiamata e dell´allineamento dei cavalli si svolge a Siena il corteo storico che è immemorabilmente lungo, e non è affatto una sfilata di costumi e gonfaloni d´epoca, una cerimonia di intrattenimento prima di venire al fatto: è la sapiente introduzione alla tensione di quell´orgasmo bruciante. Non so quanti senesi, di quelli che stanno da ore dentro la conchiglia traboccante del Campo, quando la corsa comincia chiudono gli occhi, e li riaprono solo a corsa finita, per piangere di gioia o di disperazione. E il Palio dura l´anno intero, fra la commemorazione, festosa o penitente, delle due corse trascorse, e la preparazione di quelle a venire. Si permettono questo lusso, a Siena. Che è una gara di velocità, ma fino a un certo punto. Che i purosangue troppo veloci e troppo a rischio non li ammettono più. Che i fuoriclasse troppo forti ”quest´anno erano due, Già del Menhir e Fedora Saura’ li lasciano fuori. Che hanno tempo da perdere. Il mondo nuovo forse è questo, Siena e Giamaica, e c´è posto per tutti.