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 2009  agosto 19 Mercoledì calendario

TRE PREMI NOBEL E LE CLASSIFICHE DEI MAESTRI


"Non su tutti i nomi c´è unanimità, ma la maggior parte di questi resteranno nella storia anche per le generazioni future"
"Il problema dell´autore del Capitale è che è stato più interessante come storico della filosofia e come sociologo"

A volte qualche fortunata circostanza può portare a trovarsi in situazioni fuori del comune. Ad esempio, a sedersi a un tavolo di ristorante, in occasione di un congresso, con tre premi Nobel per l´economia: Robert Mundell, John Nash e Thomas Schelling, rispettivamente vincitori nel 1999, nel 1994 e nel 2005. Il primo è colui che ha sviluppato la teoria delle aree monetarie ottimali, culminata con l´introduzione dell´euro nella Comunità Europea e il tramonto delle monete locali come la nostra lira. Il secondo è il famoso protagonista del film a Beautiful mind, e insieme al terzo è uno degli esponenti storici della teoria dei giochi.
In una situazione da limbo dantesco, con tre esponenti della «bella scola» vicino ai quali non ci si poteva sentir altro che «quarto fra cotanto senno», la conversazione è scivolata sui protagonisti della storia economica dal Settecento a oggi. Non abbiamo resistito alla tentazione di registrarla e riportarla, fissando così a futura memoria il giudizio che tre grandi del presente stavano emettendo sui grandi del passato.
Professor Mundell, so che lei ha stilato una lista di una dozzina dei maggiori economisti. Anzitutto, è possibile fare una cosa del genere in maniera oggettiva?
«Come premessa, vorrei ricordare che tradizionalmente l´economia non veniva considerata una scienza, ma piuttosto una branca della filosofia naturale. Negli Stati Uniti, ad esempio, fino all´Ottocento faceva parte delle cosiddette «scienze sociali», insieme a scienze politiche, sociologia, antropologia e psicologia. A lungo la si è chiamata «economia politica», e perché diventasse semplicemente «economia» si è dovuta attendere l´influenza dei Principi di economia, il capolavoro del grande economista inglese Alfred Marshall, pubblicato nel 1890 e rimasto il testo di riferimento per quarant´anni.
A partire dal Novecento, però, l´economia è diventata estremamente matematizzata e oggi la si può a buon diritto considerare una scienza. Ora, uno dei sintomi della scientificità di una disciplina è proprio il fatto che ci sia un grande accordo su chi siano stati i grandi nomi del campo, un coerente consenso su chi siano i migliori. Naturalmente non ci può essere una vera unanimità, e ci saranno sempre controversie, ma basta domandare ai colleghi di enumerare la dozzina dei migliori, e sono pronto a scommettere che almeno metà delle persone saranno nominate dalla maggior parte della gente. E questo è appunto un test della scienza matura.
Bene. Allora, qual è la sua lista per l´economia?
«Io direi, più o meno in ordine storico: David Hume (1711-1776), Adam Smith (1723-1790), David Ricardo (1772-1823), Augustin Cournot (1801-1877), Karl Marx (1818-1883), Stanley Jevons (1835-1882), Léon Walras (1834-1910), Carl Menger (1840-1921), Alfred Marshall (1842-1924), Irving Fisher (1867-1947), John Maynard Keynes (1883-1946), Joseph Schumpeter (1883-1950), Paul Samuelson (1915) e John Nash (1928). Sentiamo che ne dicono i miei colleghi: io, avendola messa giù, ho fatto la mia parte e mi taccio, lasciando che siano loro a commentare».
Vediamo, allora. Cominciamo da lei, professor Nash: che ne dice?
«Credo che se io non fossi qui, magari la lista di Mundell sarebbe stata diversa».
Nel senso che il suo nome non ci sarebbe stato?
«Forse no».
Lei mi sembra troppo modesto: in fondo, Schelling è qui, ma non è nella lista. A parte i presenti, però, come reagisce a questa lista?
«Vedo che ci sono quattordici nomi: un numero strano, dodici più due. E vedo che c´è Paul Samuelson, ma non Bob Solow, che è stato il suo collega al M. I. T. per molti anni. E vedo che c´è Karl Marx, benché Mundell sia di destra. Tutte cose interessanti da notare».
Lei cosa pensa di Marx?
«Ho letto le lettere che si scambiò con Engels al tempo della guerra civile americana: scritte direttamente in inglese, benché loro fossero entrambi tedeschi in esilio in Inghilterra».
La sento un po´ reticente. O diplomatico, se preferisce.
«E´meglio esserlo, nella vita».
Sentiamo allora lei, professor Schelling.
«Io noto anzitutto che solo due degli economisti della lista sono viventi, entrambi premi Nobel: uno è qui con noi, e l´altro è Samuelson, che ha vinto nel lontano 1970 e ha felicemente compiuto da poco novantaquattro anni. Dunque, si tratta di una lista storica, costruita in base a chi ha lasciato un´impressione duratura».
Lei Marx ce l´avrebbe messo?
«Io direi che chiunque, in economia, lo prende seriamente come economista. Ma è come storico della filosofia che è stato veramente avvincente, e sicuramente è più interessante come filosofo o sociologo, che come economista».
Chi altri avrebbe aggiunto?
«Per quanto mi riguarda, dalla lista manca Simon Kuznetz (1901-1985), che sottolineò l´importanza del «prodotto interno lordo», e vinse il premio Nobel nel 1971. O Vassily Leontief (1905-1999), inventore dell´analisi input-output e pure lui premio Nobel nel 1973. Ma direi che anche Milton Friedman (1912-2006), che fu il padre dei cosiddetti Chicago boys e prese il Nobel nel 1976, dovrebbe stare insieme a Samuelson. E se facessimo una lista di venti, potremmo anche includere economisti della seconda metà del Novecento. Credo che Mundell abbia voluto evitare controversie».
E´ così, professor Mundell?
«A dire il vero, pensavo di aver fatto proprio il contrario».
Che risponde, professor Schelling?
«Mi riferivo al fatto di aver voluto evitare i viventi. A parte Nash, che è famoso per tanti motivi, e certo non solo perché è qui. E Samuelson, che non è affatto controverso, essendo considerato il più importante economista vivente, o almeno il più importante in attività nell´ultimo mezzo secolo».
E degli altri, che ci dice?
«Naturalmente, oggi non molta gente legge Cournot o Walras, ma tutti conoscono i loro nomi, e sanno che ebbero idee profonde e un´influenza duratura: in particolare, sono entrambi noti perché, come poi anche Nash, hanno studiato il concetto di equilibrio».
Chi si legge ancora, invece?
«Sicuramente Keynes, e anche Adam Smith. Probabilmente non Fisher, mentre Ricardo lo leggono ancora gli storici dell´economia, ma non i teorici».
Io trovo un po´ sorprendente il nome di Hume, se posso dire.
«Effettivamente, anch´io non avrei pensato a lui come un economista».
E mi stupisco un po´ che non abbiamo ancora nominato Arrow, premio Nobel nel 1972, ad esempio.
«Oh, io l´avrei sicuramente incluso nei primi venti, per la sua teoria delle scelte sociali. Così come avrei incluso Solow, premio Nobel nel 1987, come ha detto Nash. E Jim Tobin, inventore della tassa che porta il suo nome e premio Nobel nel 1981. Questi sono i nomi che ricorderemo tra cinquanta o cent´anni, e in tutta onestà posso dire che credo che una lista del futuro includerà Nash, ma non me».
Lei, professor Nash, concorda?
«Non saprei: ci sono molte nuvole nella sfera di cristallo».