Francesca Cafferi, La Repubblica 19/8/2009, 19 agosto 2009
E DUBAI PERDE LO SCETTRO NON E’ PIU’ L’ELDORADO ARABO
Le prime gru hanno cominciato a fermarsi alla fine della scorsa estate. Sparute, all´inizio. Poi sempre più numerose. A novembre i cantieri bloccati erano già decine e sui palazzi appena completati i cartelli che pubblicizzavano la vendita di spazi diventavano sempre più grandi: una novità assoluta nella terra dove, fino a pochi mesi prima, appartamenti e uffici sparivano dal mercato in pochi giorni. Il segnale ultimo però è arrivato dalle auto: quando all´aeroporto hanno cominciato a comparire Suv e macchine sportive abbandonate con le chiavi nel cruscotto, è stato chiaro a tutti che il sogno di Dubai era finito.
C´era una volta l´emirato nel deserto che non aveva nulla: non il petrolio di Abu Dhabi, non il gas del Qatar. Ma che aveva scommesso di diventare capitale del business e del divertimento del mondo arabo. E c´era riuscito. Dal luogo semi-sconosciuto che era alla fine degli anni ´80, Dubai si è affacciata al nuovo secolo come un hub finanziario e turistico conosciuto in tutto il mondo. Uomini d´affari sauditi e americani. Miliardari russi in cerca di stravaganze. Appassionati di sport desiderosi di giocare a golf nel deserto o di assistere ad una partita nel campo sospeso nel vuoto del Burj al Dubai, l´albergo più lussuoso del mondo. Star di Hollywood e sportivi: fino a qualche mese fa tutti si incontravano a Dubai.
Oggi di questa popolazione così eterogenea non c´è quasi più traccia: le immagini dei telegiornali raccontano di strade vuote, sulla pista da sci artificiale del Mall of the Emirates non c´è più fila e per dormire vicino ai delfini e agli squali del grande acquario dell´hotel Atlantis ci sono offerte speciali. « semplicemente l´economia più colpita dalla crisi al mondo», sintetizza Christopher Davidson, docente della Durham University e autore di un libro sulla storia recente di Dubai.
Per capire cosa abbia spento le luci occorre prima di tutto scavare dietro le quinte di quella che Davidson definisce "l´economia spugna": l´emirato guidato dallo sceicco Rashid bin Said Al Maktoum è un paese che negli ultimi anni, complici le scarse tasse, la manodopera a basso costo importata dall´Asia e incentivi per gli investitori, è riuscito ad attirare capitali da tutto il mondo e a moltiplicarli come in un gioco di specchi. I soldi incassati con la vendita di appartamenti usati per costruire altri complessi prima ancora di finire i primi. Gli hotel sempre più strani e costosi. La promessa di vivere in un Eldorado ricco e sicuro: tutto questo ha fatto crescere Dubai. Poi la grande bolla finanziaria è esplosa e la tempesta nel giro di qualche mese l´ha raggiunta. Travolgendola.
Messi alle strette dalle pressioni di investitori e banche internazionali, lo sceicco e i suoi collaboratori sono stati costretti a svelare - in parte - i meccanismi che avevano alimentato la crescita: ed è venuto fuori che il governo e le società principali, tutte più o meno controllate dallo Stato, hanno un debito pari a 80 miliardi di dollari, di poco inferiore al Pil dello Stato. Di conseguenza i ratings delle agenzie di valutazione - già negativi - sono precipitati: a febbraio solo la decisione dei vicini di Abu Dhabi di finanziare la nuova emissione di debito ha salvato Dubai dalla bancarotta.
Dalla alte sfere della finanza, la catastrofe è arrivata nel giro di poco alla strada: uno dopo l´altro i cantieri si sono fermati. Gli stranieri hanno iniziato a partire, la borsa ad andare sempre più giù (a ieri, la perdita rispetto allo stesso periodo del 2008 era del 63,79%), i mall a svuotarsi. E un architetto è arrivato a proporre qualcosa di impensabile fino a qualche mese fa: trasformare le costruzioni periferiche dove vivevano stipati i lavoratori stranieri in alloggi a basso costo per chi non può più permettersi lussuosi appartamenti. «La crisi investe anche i panini - scriveva ironico due giorni fa un blogger da Dubai - sono più piccoli e costano di più. E nessuno dice niente. Tipico di un luogo senza regole».
Ora che i primi venti di ripresa cominciano a soffiare in Asia e in Europa, la domanda che tutti si fanno guardando Dubai è una sola: riuscirà a risollevarsi? Le grandi banche ne dubitano: i loro outlooks sono sempre negativi e Davidson è d´accordo con loro. «Dubai non ha imparato la lezione - spiega - tutti dicono che ci sarà una ripresa, come è sempre avvenuto in passato. Ma io non credo che gli investitori potranno dimenticare l´assenza di regole, la speculazione selvaggia e la pessima gestione della crisi».
Chi non si risolleverà di certo sono quel milione di lavoratori stranieri - soprattutto pachistani, indiani, cingalesi e nepalesi - che in questi anni hanno letteralmente costruito Dubai: della crisi dell´emirato dei sogni sono state loro le prime vittime. Molti sono stati licenziati e hanno perso di conseguenza il diritto di rimanere a Dubai, senza però avere i soldi per poter tornare a casa. Altri sono stati "impacchettati" su voli economici e rispediti in patria, senza che avessero il tempo di ripagare il debito contratto per raggiungere quella che, fino a qualche mese fa, sembrava una terra promessa. «è una situazione ancora più drammatica dell´assenza di regole e garanzie che denunciavamo qualche mese fa - dice Nicholas McGeenan, ricercatore e fondatore di Mafiwasta, (letteralmente "senza connessioni") associazione che si batte per i diritti dei lavoratori negli Emirati arabi uniti - sappiamo di moltissimi suicidi fra i lavoratori rimpatriati dagli Emirati. gente disperata, di cui nessuno si occupa: sfruttati prima e abbandonati nelle mani di aguzzini poi». Per loro le luci di Dubai non si sono mai accese.