P. Ra., Corriere della sera 18/8/2009, 18 agosto 2009
COSTI RIDOTTI E PROFUGHI I VANTAGGI E I DANNI DELL’ENERGIA DALL’ACQUA (+
scheda)-
Abbattute 75 città, più di un milione di sfollati (diga delle Tre Gole sul Fiume Azzurro, in Cina). E inoltre: settemila famiglie evacuate, disastri ecologici (sbarramento sul Rio Paranà, in Paraguay). E poi: oltre 170 mila morti, milioni di sfollati (crolli nel sistema di dighe a Banqiao, Cina meridionale, nel 1975). E ancora: quasi 2.000 vittime (frana di un pezzo di montagna nell’invaso veneto del Vajont, Italia, nel 1963). In attesa di sapere con maggiore precisione cosa è successo in Russia e perché, questi numeri ci fanno capire che le centrali idroelettriche, pur basate su energie rinnovabili, sicuramente meno inquinanti di quelle termoelettriche in termini di gas serra e meno pericolose di quelle nucleari in caso di incidente, possono avere costi umani e ambientali altissimi.
Il motivo è semplice, basta pensare a come funzionano. Schematicamente: l’acqua viene di solito fatta cadere da grande altezza attraverso condotte forzate e fa girare le turbine che trasformano, attraverso un alternatore, l’energia meccanica in energia elettrica. Ciò presuppone una grande riserva d’acqua, quasi sempre ottenuta con una diga. Ma una diga, creando un lago artificiale e portando l’acqua dove non c’è mai stata, di solito comporta l’evacuazione di ampie zone di territorio, con la trasformazione in profughi di migliaia (a volte milioni) di persone (per lo più contadini) e lo stravolgimento degli ecosistemi (tipici esempi la scomparsa dei salmoni che non possono più risalire i fiumi per riprodursi o il regime di piene del Nilo stravolto dal grande sbarramento egiziano di Assuan voluto da Nasser). Se poi la diga per qualche motivo crolla oppure, come è successo a Longarone nel ”63, la geologia si vendica dell’imprevidenza dell’uomo, i disastri possono raggiungere dimensioni bibliche.
Non è detto, naturalmente, che ciò succeda: ci sono impianti che funzionano da decenni senza grandi problemi, come quella di Mechanicville, nello Stato di New York, Usa, sette unità da 750 kilowatt ciascuna, che produce energia dal 1898. Ma le centrali recenti, tutte da oltre 2.000 megawatt (ossia i grandi impianti, secondo la classificazione universalmente accettata), hanno sempre comportato qualche problema: tanto è vero che i cinesi, dopo aver costruito, in 60 anni di comunismo, 86 mila impianti con lo sradicamento di 12 milioni di persone, ci stanno ripensando e hanno deciso di fermare le nuove costruzioni ( Corriere della Sera , 6 luglio 2009).
Certo i vantaggi sono notevoli: economici, perché si eliminano i costi del petrolio e del carbone (quando non li si ha in casa); lunga vita operativa; ridotto impiego di personale (spesso sono completamente automatizzate); effetto serra quasi nullo (non del tutto, perché se nel bacino artificiale restano a marcire un gran numero di piante, come accade nelle zone tropicali e subtropicali dell’America Latina, si sprigionano metano e biossido di carbonio in grande quantità). In un mondo sempre più affamato di energia e spaventato dai cambiamenti climatici, sono vantaggi che mettono in ombra i pericoli.
La scheda
L’evoluzione in cifre
Nel 1973, la produzione di energia idroelettrica nel mondo si attestava sui 1.295 Terawatt/ora (un Terawatt è pari a un milione di milioni di watt). Nel 2006, il totale era più che raddoppiato, raggiungendo i 2.121 TWh I produttori emergenti
Negli anni 70, i Paesi dell’Ocse erano i principali produttori, con il 71,6% del totale; seguiva, con il 9,4%, l’Unione sovietica. Nel 2006 la percentuale dei Paesi Ocse si è ridotta al 43,6%, l’America latina si aggiudica il 21%, la Cina da sola il 14%. I Paesi dell’ex Unione sovietica si attestano sul 7,9%, l’Asia – escluso appunto il colosso cinese – segue a ruota con il 7,8% del totale