Paolo Madron, Il Sole-24 Ore 19/8/2009;, 19 agosto 2009
LIBERAL TRA BIOFOOD E OBAMACARE
Cosa succede se uno degli industriali più liberal d’America scrive su un giornale conservatore un articolo critico contro la riforma sanitaria di Barack Obama? Succede che qualcuno dice che ha fatto bene, che ha dato una bella prova di autonomia anche a costo di inimicarsi i suoi referenti politici. Ma succede anche che qualcuno si chieda chi mai gliel’ha fatto fare, nel bel mezzo di una epocale battaglia che costringe il presidente degli Stati Uniti a passare le vacanze tra un dibattito e l’altro nei più sperduti posti del paese, a uscirsene con osservazioni che, stando alle critiche, ammiccano agli argomenti dei repubblicani più incarogniti. La cosa potrebbe anche finire lì, se non fosse che il manager in questione è John Mackey, il gruppo di cui è fondatore e guida spirituale è Whole Foods, il giornale dove ha scritto cosa pensa è il Wall Street Journal, non proprio un campione di progressismo. Infatti non finisce lì, perché a una settimana dal suo intervento sul web il dibattito impazza.
Premessa della questione, occorre sapere che quando si fa la spesa tra gli scaffali delle merci esposte in bella mostra da Whole Foods in molti sorge spontanea una domanda: ma sono più organici - al Partito democratico - gli intellettuali che pensosamente vagano tra le corsie con i loro cesti o i prodotti che questa catena salutista seleziona con procedimenti bio-politicamente corretti? Se poi si visita il sito internet, si capisce che Whole Foods non è una semplice azienda, ma un mondo a parte, una categoria dello spirito, una filosofia di vita (assai cara, peraltro, come si evince dagli 8 miliardi di dollari di fatturato). Chi vi lavora non è un semplice worker, non solo per la paga oraria molto superiore alla media, ma un apostolo del-la sana nutrizione, un profeta della qualità totale, un crociato che combatte ogni tipo di sofisticazione alimentare. E il cliente, più che un normale cliente, è un adepto della fede salutista, uno che ha in sommo spregio la serialità alimentare delle multinazionali, così come le insane passioni dell’America retriva per il junk food più ipercalorico. Per non dire dei fornitori, gente del tipo di Dee e Philip Horst-Landis, la coppia di giovani contadini immortalati questa settimana sulla homepage del gruppo, che nella loro fattoria ecosostenibile in Pennsylvania nutrono bovini e suini della sola erba di pascolo.
Ora, se Mackey, il leader indiscusso del movimento, critica il presidente Obama, tra i suoi membri lo sconcerto è totale. Da quando, l’11 agosto, è apparso sul WSJ il suo intervento (ereticamente aperto con una citazione di Margaret Thatcher: "Il problema è che alla fine col socialismo si esauriscono i soldi degli altri"), il tam tam internettiano ha suonato l’inno di guerra: boicottiamo Whole Foods. In pochi giorni, Facebook ne ha raggruppati 13mila, e Twitter non è stato meno prodigo di sdegnati cinguettii. Accanto ai quali, ancorché largamente minoritari, hanno sfidato l’impopolarità alcuni difensori per i quali abbandonare il supermercato di culto solo perché il suo amministratore delegato ha osato smarcarsi da Obama è una vera e propria sciocchezza. Ma erano davvero così intollerabili per i tifosi della sanità obamiana le sue riflessioni? Quello di Mackey in realtà voleva essere un contributo al dibattito con la definizione di alcune linee guida. Si va dalla rimozione degli ostacoli che rallentano la creazione di piani sanitari deducibili, alla liberalizzazione della competizione tra società assicurative che hanno sede in stati diversi, alla ricerca di modo per evitare le migliaia di cause tra medici e compagnie che costano ai primi un sacco di soldi, all’invito perché i costi dei trattamenti sanitari siano enucleati in modo trasparente e comprensibile ai fruitori. Dove sta allora lo scandalo? In un passaggio, questo sì, che suona drasticamente critico. Scrive Mackey: «Se è vero che questo paese necessita di una riforma sanitaria, l’ultima cosa di cui ha bisogno è che la sua introduzione comporti centinaia di miliardi di dollari di deficit, così assomigliando di fatto a una statalizzazione del nostro sistema sanitario». E qui certamente la penna gli dev’essere scivolata, perché in effetti lo spettro della bancarotta evocato a proposito dell’estensione della copertura ai 47 milioni di americani che ne sono privi è il cavallo di battaglia dell’opposizione repubblicana. «Scusi signor Mackey » scrive un blogger «ma lei ha idea di che tipo di clientela frequenti i suoi supermercati? Tutta gente progressista, amante dell’ambiente e del cibo naturale, che è disposta a pagare anche tre dollari per un’arancia organica e che, incidentalmente, hanno fatto di lei un uomo molto ricco ». Gli fa eco un altro internauta: «C’è solo un argomento che mi induce a rifiutare il boicottaggio. E cioè che i suoi dipendenti siano offesi quanto me delle sue argomentazioni». «Signor Mackey », puntualizza tale Lisa riassumendo il pensiero di molti, «i malati sono persone reali, non li può trattare come fossero un concetto astratto. Vivono e muoiono nel mondo reale, non in quello ideale di Adam Smith». Siccome la discussione è il sale della democrazia, anche il sito di Whole Foods non si sottrae al fuoco di fila di chi vuole intervenire sull’argomento. Oltre 10mila post ( sinora) per dissentire, insultare, gridare al tradimento e boicottare. Ma anche difendere a spada tratta la libertà d’opinione. «Penso che spenderò più soldi nei vostri negozi» scrive uno che si firma Jacquemont «per rispondere al ridicolo oltraggio di chi ha invitato a boicottarvi. Penso che senza di loro il tasso di intelligenza della vostra clientela migliorerà notevolmente». Per la cronaca,il sontuoso Whole Foods che occupa l’intero piano interrato del Time Warner Center di Manhattan ieri era come al solito affollatissimo.