Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  agosto 19 Mercoledì calendario

MA VALE LA PENA MORIRE PER KARZAI?


La seconda è sempre la migliore, sostiene un allusivo luogo comune. E per l’Afghanistan domani è la seconda. Sono passati cinque anni dal primo voto in un Paese formalmente liberato, sia pur solo dal punto di vista istituzionale, dalle follie talebane. E il protagonista è ancora lui, Hamid Karzai. Nel 2004 diventò il primo presidente democraticamente eletto, vincendo in 21 delle 24 province. Soprattutto grazie all’appoggio degli americani, che due anni prima avevano cacciato i barbuti e odiosi fondamentalisti. E sul sempre elegante Hamid, fascinoso 52enne che col suo bel cappello di astrakan tanta ammirazione suscitava nei ricevimenti diplomatici, avevano puntato senza remore. In realtà, la sua autorità non è riuscita a estendersi al di fuori della capitale, qualcuno l’ha ironicamente ribattezzato ”il sindaco di Kabul”. Ma, soprattutto, non sempre - anzi, quasi mai - è riuscito a trasformare in realtà le speranze di rinnovamento. E questo pur considerando la complicata condizione di un Paese dall’anima arcaica e conservatrice, dilaniato da divisioni etniche e obnubilato da burqa e tribunali tribali.

Ed è sempre antipatico fare il conto di costi e benefìci, quando si tratta di una battaglia di libertà. Ma la guerra - perché tale è quella afgana, al di là della retorica sulle ”missioni di pace” - la guerra è sempre tragedia. E il raggiungimento dell’obiettivo è necessario per dare senso al sacrificio e sopportare le cicatrici. Cicatrici che dolgono: nei sei anni di missione internazionale, sono quattordici i militari italiani che fra le montagne afgane ci hanno lasciato la pelle. Oggi il contingente distribuito fra Kabul e Herat conta 2.800 uomini, ma per le elezioni ne sono arrivati 400 di rinforzo. Non è improbabile che restino.
Soldati e aiuti

E poi ci sono i soldi, ché la politica anche di quelli deve tener conto. Il governo italiano ha da subito sostenuto, sia pur non operando direttamente nelle operazioni, l’intervento americano del 2001 seguito alla strage delle Torri Gemelle. Poi, con l’avvio della missione internazionale seguita alla risoluzione delle Nazioni Unite, sono cominciate le vere e proprie spedizioni militari. Con relative spese. Che sono andate crescendo nel tempo. Decine di milioni di euro all’anno, poi centinaia. Fino all’esplosione degli ultimi anni: 279 milioni nel 2006, 336 nel 2007, 350 nel 2008. Per i primi sei mesi del 2009 sono stati stanziati 242 milioni, a fine anno è probabile si raggiungano i 500. Complessivamente, la missione italiana in Afghanistan è finora costata un miliardo e 659 milioni di euro.

Soldi, questi, relativi solo alla missione Isaf, dunque quella militare. Poi ci sono gli aiuti umanitari e civili, il sostegno a profughi e rifugiati, i progetti di cooperazione e quant’altro. Un contributo essenziale, intendiamoci. Che dal 2001 a oggi è costato 356 milioni di euro. In tutto, dunque, l’Italia ha finora speso per aiutare l’Afghanistan due miliardi di euro.

E per che cosa? Cioè, per che cosa lo si sapeva. Ma a che punto siamo, con l’esportazione della democrazia? Quanta emozione aveva suscitato l’approvazione della nuova Costituzione, all’inizio del 2004, dopo mesi e mesi di litigi e compromessi. L’Afghanistan pareva finalmente avviato a un inarrestabile futuro di emancipazione. Un sistema di governo forte, il Parlamento bicamerale. Nessun riferimento diretto alla sharia, nella Carta, ma quella frase ambigua, ”nessuna legge potrà mai essere contraria ai sacri princìpi dell’islam”. Con Karzai, avviato all’inevitabile elezione, che tranquillizzava coloro che il bicchiere proprio non riuscivano a vederlo mezzo pieno.
sharia travestita

E invece, la tragica delusione. Certo, nessuno sognava fosse semplice e veloce cambiare consuetudini secolari, anche se ormai intollerabili. Ma Karzai, dell’Occidente, pare abbia iniettato nella politica afgana soprattutto i guasti. Tanto da alienarsi persino la simpatia americana, nonostante il rinnovato sforzo militare voluto da Obama, che recentemente gli ha chiesto conto della corruzione dilagante.

E poi, l’aspirazione contenuta nella Carta stessa a ispirarsi alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo s’è ridotta a un passaggio retorico. Karzai, soprattutto negli ultimi mesi, ha cercato di arrivare al voto anche con l’appoggio degli ambienti più islamicamente retrivi. E dunque, ecco il codice di diritto di famiglia che in sostanza legittima lo stupro coniugale e di fatto impedisce alle donne l’accesso al lavoro e persino la libera circolazione, e poco convincente è stata la sospensione delle norme arrivata dopo le proteste internazionali. E poi la condanna a morte del giornalista colpevole di blasfemìa, ”ha offeso l’islam e il Corano”, pena poi commutata in vent’anni di galera, una galera afgana. E i signori locali che continuano a bussare a palazzo, per garantire voti in cambio di spazi d’impunità e potere. E la produzione d’oppio che non accenna a calare. E Karzai che non riesce a far valere la sua autorità al di là delle formalità. E non è che si vuol semplificare, ma l’impressione è che nemmeno abbia così tanta voglia, di imporre un vero accenno di modernizzazione. Non prima delle elezioni di domani. E non certo per blandire i talebani, quelli nemmeno prendono in considerazione l’ipotesi di andare a votare. Ma gli ambienti islamicamente conservatori possono invece risultare determinanti. Gli analisti prevedono una sua vittoria, anche se non schiacciante come la precedente.

In ogni caso l’Italia, e con lei il mondo, ha speso tanto per dare una speranza all’Afghanistan. E certo, continuerà a farlo. Però adesso un bel cappello di astrakan non basta più, per ripagare lo sforzo. E questo sì, Karzai deve metterselo in testa.