Alessandro Barbera, La stampa 18/8/2009, 18 agosto 2009
NON C’E’ SOLO MOSCA DIVERSIFICHIAMO LE FONTI
Ministro Scajola, nei giorni scorsi il premier è volato ad Ankara per partecipare alla firma dell’accordo con la Russia che permetterà il passaggio del gasdotto ”South Stream” sul territorio turco. Il progetto è alternativo a ”Nabucco”, sostenuto dagli Stati Uniti ed altri Paesi europei. Una inchiesta del nostro giornale ha appurato forti malumori all’interno dell’Amministrazione americana, perché ciò aumenterebbe la dipendenza energetica dalla Russia. Cosa risponde il governo?
«Rispondo che il governo punta ad acquisire più sicurezza nei rifornimenti che si ottiene diversificando il più possibile le aree di approvvigionamento: dunque non abbiamo preclusioni nei confronti di alcuno. Ma non ci sarà mai la dipendenza nei confronti di un solo Paese, tantomeno la Russia. I nostri progetti lo testimoniano».
A quali progetti si riferisce?
«Abbiamo già siglato un accordo con l’Algeria che ci porterà ad importare più gas algerino che russo. Nel 2010 aumenteremo l’import dalla Libia. Il nuovo rigassificatore di Rovigo - il primo dei quattro programmati - ci consente di importare dal Qatar gas pari al 10% dei consumi nazionali. Ma c’è soprattutto il nuovo gasdotto Itgi, che consentirà l’importazione diretta dall’Azerbaijan attraverso Turchia e Grecia. E’ un progetto al quale lavoriamo da quattro anni, ed è molto più avanti sia di South Stream che di Nabucco: non a caso la Commissione europea ci ha concesso un finanziamento da cento milioni di euro per il suo sviluppo. A ottobre avremo un incontro a Istanbul per concludere le trattative con i quattro Paesi interessati».
Dunque lei smentisce che la dipendenza italiana dal gas russo aumenterà?
«L’insieme di queste infrastrutture, certe nella loro realizzazione, ridurranno la dipendenza italiana dal gas russo, che oggi ammonta al 30% dei nostri consumi».
Eppure a Washington temono avvenga il contrario. Fra gli interlocutori citati dalla nostra inchiesta c’è addirittura chi parla di «interessi particolari» del premier nell’aumentare il legame energetico con Mosca.
«Non ci sono interessi particolari nei confronti di chicchessia. I fatti e i programmi dimostrano l’esatto contrario. Semmai si realizzeranno le condizioni in grado di valorizzare le capacità imprenditoriali del nostro Paese, a vantaggio dell’economia e dell’occupazione: South Stream ad esempio è un progetto che riguarda soprattutto l’Eni, coinvolta sia come costruttore che come utilizzatore dell’infrastruttura».
Se così stanno le cose, perché i dubbi dell’Amministrazione americana?
«Il problema non ci è stato posto. Per quanto ne so sono ottimi i rapporti fra Italia e Stati Uniti, così come quelli fra Berlusconi e Obama. All’ultimo G8 sull’Energia ho firmato con il mio omologo americano, il segretario di Stato Stephen Chu, un importante accordo di cooperazione sull’utilizzo del carbone pulito e sulla cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica. Non solo: a fine settembre sarò personalmente a Washington per firmare un protocollo italo-americano per la ricerca e lo sviluppo nel settore nucleare».
E cosa prevede?
«Darà la possibilità alle aziende americane di concorrere alla costruzione di una o più centrali fra le otto-dieci che il governo punta ad avere nei prossimi vent’anni».
Con tutti questi progetti non c’è il rischio di passare da una cronica sottocapacità alla «sovracapacità»? In sostanza, non rischiamo di trovarci a produrre fin troppa energia? Forse South Stream è un progetto tutto sommato non necessario?
«L’obiettivo del Governo è ottenere dal 2020 un mix di energia composto per il 25% da fonti rinnovabili, un altro 25% dal nucleare ed il restante da fonti tradizionali; oggi è l’83%. In questo quadro il consumo di gas è destinato a ridursi. Ma poiché vogliamo diventare l’hub energetico del Mediterraneo, l’obiettivo è anche quello di importare gas per promuovere scambi con altri Paesi del bacino: in Africa, Balcani, Europa centrale. In Italia c’è spazio sia per la produzione di energia nucleare, che per quella ottenuta dal gas. L’una non esclude l’altra. Non dimentichiamo che in Italia l’elettricità costa ancora circa il 30% in più del resto d’Europa».
Ministro, la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia è preoccupata per l’autunno e teme la chiusura di nuove aziende. Gli ultimi dati di Confcommercio confermano un clima ancora molto difficile. Cosa risponde?
«Non si può negare che la crisi abbia un’onda lunga. E che resta il rischio, per alcune aziende, di subire gli effetti della cattiva congiuntura di questi mesi. Ci sono però segnali i quali ci dicono che la risalita è forse già cominciata, penso in modo particolare al superindice dell’Ocse».
C’è lo spazio per nuovi interventi del governo?
«Il governo ha già fatto molto. Ma compatibilmente con la situazione dei conti, intensificheremo l’impegno per sostenere il sistema delle imprese e tutelare l’occupazione».