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 2009  agosto 19 Mercoledì calendario

KARZAI-FAHIM, TICKET DI NEMICI


Le teorie lombrosiane per fortuna sono alle nostre spalle. Ma nel vedere il il presidente afghano Hamid Karzai che nei manifesti elettorali campeggia insieme a Mohammed Fahim, aspirante vice-presidente, non si può evitare di provare una certa inquietudine. Che non deriva soltanto del contrasto tra il volto pulito e sorridente di Karzai, che tanto piace alla comunità internazionale, e quello meno affascinante, grasso, torvo e abbrutito del suo sodale, per lungo tempo il più potente signore della guerra del paese. Ma soprattutto dai risvolti della storia recente, che ha visto i due su strade opposte, apparentemente inconciliabili. Almeno per un certo periodo.
Nei primi anni Novanta, nel corso della guerra civile che avrebbe sconvolto il paese centro-asiatico, Karzai, di etnia pashtun, si trovò infatti isolato in un governo allora controllato dai tajiki comandati dal "leone del Panjshir" Ahmad Shah Massud, e presieduto dal panjshiro Burhanuddin Rabbani, presidente dell’Afghanistan dal 1992 al 1996. E venne arrestato proprio su ordine del generale Mohammed Fahim, allora ministro degli Interni, e dal capo dei servizi di intelligence di Massud, Mohammed Arif. Riuscendo poi scappare a Peshawar in modo rocambolesco, secondo quanto racconta il giornalista pachistano Ahmed Rashid nel suo Caos Asia. Qualche anno più tardi, però, grazie agli equilibri necessari per soddisfare le complesse alchimie della politica afghana, i due si sarebbero ritrovati fianco a fianco: durante il governo ad interim successivo all’intervento militare degli Stati Uniti, fu proprio Karzai a chiamare Fahim come ministro della Difesa, mentre a Mohammed Arif fu affidato l’incarico di dirigere l’Amanyar, il servizio di intelligence.
Le strade di Fahim e Karzai si sarebbero poi di nuovo separate, perché Fahim, poco incline a rispettare il dettato della nuova costituzione afghana che prevedeva un paese multietnico, avrebbe continuato a contornarsi al ministero della Difesa di personaggi di origine tajika. Rifiutando di mettere in atto la promessa riforma del ministero e finendo per essere liquidato dal presidente Karzai.
Ora, a quanto pare, Karzai ha di nuovo bisogno di lui. Nonostante le voci che circolano qui in Badakhshan, dove si dice che Fahim continui ad arricchirsi coi proventi del traffico della droga e delle pietre preziose. Anche se l’attenzione mediatica si concentra sulla turbolenta provincia dell’Helmand, nel sud dell’Afghanistan, quale principale produttrice di oppio e di talebani, anche il Badakhshan infatti fa la sua parte. E sebbene non possa vantare una numerosa presenza di taleb, essendo una delle province tradizionalmente ostili al movimento guidato dal mullah Omar, negli ultimi anni si è comunque guadagnata il secondo posto quanto a ettari coltivati ad oppio. Tanto che le piantagioni sono facilmente individuabili persino lungo la strada principale che collega Ishkashim, porta d’ingresso per il Wakhan, a Faizabad, capoluogo della provincia.
Karzai sembra dunque fare sul serio. E appare estremamente determinato a conquistare un secondo mandato. Proprio in quest’ottica andrebbero lette le dure posizioni assunte negli ultimi mesi nei confronti dei comandi militari stranieri, colpevoli di non prestare sufficiente attenzione ai civili, e della comunità internazionale, troppo incline a considerare l’Afghanistan uno stato fantoccio. Una determinazione che, secondo le accuse che gli muovono quasi quotidianamente i sui due principali concorrenti, Abdullah Abdullah, già ministro degli Esteri dal dicembre 2001 al marzo 2006, e Ashraf Ghani, ministro delle Finanze dal giugno 2002 al novembre 2004, lo avrebbe portato a usare mezzi illeciti.
Da qualche giorno, alle accuse dei due rivali di Karzai si è aggiunta anche quella dell’Onu. Che in un rapporto stilato in collaborazione con l’Afghanistan Independent Human Rights Commission, sostiene senza mezzi termini che il presidente uscente stia adoperando tutti i mezzi a sua disposizione come capo dello Stato per mantenere la più alta carica politica. E lo stesso rappresentante speciale dell’Onu per l’Afghanistan, Kai Eide, ha prima sostenuto che siano fondati i timori di elezioni non regolari, per poi ammettere, ragionevolmente, che sarebbe irrealistico aspettarsi in Afghanistan elezioni libere e trasparenti come in una democrazia consolidata. Karzai queste cose le sa bene. E sa altrettanto bene che in un paese come l’Afghanistan per vincere le elezioni si può anche chiedere l’aiuto di chi, non molto tempo fa, ti preferiva rinchiuso in prigione.