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 2009  agosto 18 Martedì calendario

TANTI ERRORI MA LA NATO PU ANCORA FARCELA

La guerra in Afghanistan non sta andando bene e non c’è da stupirsi che gli americani si sentano frustrati.Molti osservatori giustamente mettono l’accento sui segnali di progresso: la funzionalità di determinati ministeri e programmi pubblici,la lenta crescita dell’esercito nazionale afghano, la realizzazione di infrastrutture importanti e i miglioramenti dell’agricoltura. Questi successi, tuttavia, non hanno creato le condizioni che gli Stati Uniti puntavano a realizzare: uno stato afghano con un governo competente, giudicato legittimo dalla popolazione e in grado di difendersi, perché l’Afghanistan non sia più un santuario protetto per gruppi terroristici islamisti. Al contrario, come ha lasciato intendere recentemente Stanley McChrystal, il comandante delle forze della coalizione, la situazione mostra segnali di deterioramento: i gruppi nemici mantengono una forza considerevole e hanno esteso la loro area di operazioni. Gli attacchi contro le forze della coalizione sono in aumento. Perciò la domanda è: perché non stiamo vincendo?
Dopo molte ricerche e due visite in Afghanistan nel corso di quest’anno,ritengo che il motivo dell’inefficacia delle operazioni militari sia la mancanza di una strategia antiguerriglia unica, coerente. La campagna militare che i soldati americani e degli altri paesi della coalizione stanno conducendo quest’estate rappresenta un prosieguo delle malprogrammate operazioni del 2008. Ma un’inversione di rotta è necessaria, a cominciare dai punti deboli della strategia che vado ad elencare, e che McChrystal e la sua squadra hanno ereditato dai loro predecessori.
e Combattiamo nei posti sbagliati
Le forze Nato sono sparpagliate in tutto l’Afghanistan, anche nelle aree pashtun del sud e dell’est, invece di concentrarsi su una o due priorità. Una possibile eccezione è la provincia di Helmand, l’unica dove sono dispiegate due brigate, il contingente britannico e il corpo di spedizione della marina americana. In Iraq, invece, le forze Usa, quando hanno mandato i rinforzi per la surge predisposta dalla precedente amministrazione, hanno concentrato circa la metà delle loro forze a Baghdad e dintorni. Bagdhad era il centro gravitazionale del conflitto: se fossimo riusciti a metterla sotto controllo, avremmo vinto.
Non esiste un corrispettivo in Afghanistan. Qui gran parte della popolazione - e della guerriglia- è sparpagliata nelle zone rurali. Tuttavia, alcune aree, come Kandahar e i distretti circostanti, sono più importanti di altre. E nonostante questo solo in due dei distretti intorno alla città sono presenti in misura significativa soldati della coalizione, e sono totalmente assenti nella stessa Kandahar, presidiata solamente da un numero inadeguato di afghani. Ancora peggio: il rapporto tra soldati antiguerriglia e popolazione nei due distretti intorno a Kandahar è approssimativamente di 1 a 44, vicino ai requisiti minimi. Una valutazione adeguata delle nostre priorità in Afghanistan porterebbe a una distribuzione molto diversa, e più efficace, della coalizione.
r Combattiamo nei modi sbagliati
Un altro problema è che le forze della Nato descrivono la dottrina antiguerriglia meglio di come la mettono in pratica. Nelle aree pashtun sostengono di proteggere la popolazione impegnandosi in una sequenza di operazioni militari nota come "shape, clear, hold and build" (preparare le condizioni, combattere fino a bonificare il territorio dalla guerriglia, stabilizzare la situazione garantendo una sicurezza prolungata alla popolazione e infine costruire le infrastrutture). Ma la sequenza si svolge in tempi troppo rapidi. In base alle recenti esperienze in Iraq, per preparare le condizioni ci vogliono dai 30 ai 45 giorni, per eliminare la resistenza dai tre ai sei mesi e per stabilizzare la situazione tempi ancora più lunghi. Le forze Nato in Afghanistan, tranne pochissime eccezioni, non hanno mai operato rispettando questa tempistica. Il risultato è che raramente riescono ad acquisire un controllo permanente dell’area. Il nemico semplicemente scompare e poi ritorna. C’è di più: la coalizione e le forze afghane si preoccupano troppo di garantire le linee di approvvigionamento e di contenere la minaccia rappresentata dagli ordigni improvvisati ricorrendo a sforzi tattici invece di mettere in campo un’azione di contrasto alla guerriglia. La conseguenza è che molte forze - in particolare dell’esercito afghano-sono distribuite lungo il corridoio stradale che corre tutto intorno al paese. Posizioni statiche come queste sono uno spreco. Ovviamente le nostre forze devono poter manovrare lungo i corridoi strategici, ma il modo migliore per farlo è mettere in sicurezza le aree popolate e spostare le truppe dalla Ring road alle zone dove il nemico si rifugia e trova supporto, per sconfiggerlo.
t Combattiamo sulla base dei presupposti sbagliati
Troppo spesso le operazioni shape, clear, hold and build della coalizione sono tarate sulla prospettiva di realizzare progetti di sviluppo, non sull’esigenza di garantire la sicurezza della popolazione. Ad esempio, le principali operazioni di combattimento nell’area controllata dalle forze britanniche a Helmand sono state condotte nell’otticadi agevolare lo sviluppo economico. La concentrazione di forze nella provincia, e in generale nel sud, è stata trainata dalla realizzazione della diga di Kajaki e della zona di sviluppo agricolo vicino a Lashkar Gah. Nell’Afghanistan orientale le forze Usa hanno condotto operazioni militari per poter realizzare strade, come quella che porta da Khost al passo di Gardez. Questi progetti sono importanti per lo sviluppo sul lungo termine, ma solo occasionalmente sono importanti anche per il conseguimento dei nostri obiettivi militari e non si dovrebbe lasciare che condizionino l’impiego delle scarse risorse militari disponibili. Gli effetti dimostrativi non basteranno a sconfiggere la guerriglia. O una località è sicura e ha un’amministrazione operativa, oppure no. Un buon piano di contrasto alla guerriglia ha successo se genera sinergie fra progetti validi e localizzati, non se individua mille punti di luce e spera che si trasformino in una rete elettrica.
u Combattiamo efficacemente? Usare parametri adeguati è importante, ma altrettanto importante è non usare parametri inadeguati. Gli attacchi contro l’Isaf, ad esempio, non sono un indicatore affidabile del successo della missione. Se non altro perché, come in Iraq,possono aumentare all’inizio di una controffensiva per riconquistare il controllo di aree presidiate dal nemico. La totale assenza di attacchi, per contro, può significare che un’area è sotto il completo controllo del nemico.
i Possiamo vincere? Possiamo vincere in Afghanistan, ma solo riorganizzando la campagna militare e fornendola di risorse adeguate. Aggiungere ulteriori risorse allo sforzo militare così come è stato condotto negli ultimi anni, senza modificarne radicalmente la concezione, il progetto e l’esecuzione servirebbe a poco. Era così anche in Iraq prima della surge, e il cambiamento di strategia e il nuovo piano militare che è seguito sono stati fondamentali quanto le risorse aggiuntive messe in campo per il successo della campagna. Ecco perché forse McChrystal adotterà un piano militare differente, magari con la richiesta di risorse aggiuntive, quando presenterà la sua valutazioneufficiale al segretario alla Difesa del governo degli Stati Uniti e al segretario generale della Nato, dopo le elezioni in Afghanistan.
Il fatto che negli ultimi anni non abbiamo fatto le cose giuste in Afghanistan in realtà è una buona notizia, perché vuol dire che a fallire non è stata una strategia antiguerriglia valida e fornita di risorse adeguate, che non è mai stata tentata. Ci sono ragioni valide, pertanto, per ritenere che una strategia di questo tipo ora possa avere successo. Ma bisogna muoversi rapidamente, perché, come succede spesso in questo tipo di guerra, se non stai vincendo vuol dire che stai perdendo.
(traduzione di Gaia Seller)