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 2009  agosto 18 Martedì calendario

«PER LA SVIZZERA LA SOLUZIONE SAR L’IMPOSTA ALLA FONTE»

«Sull’accordo Ubs negli Usa sono moderatamente ottimista, ma per un giudizio completo ora bisogna attendere davvero i dettagli. Per quel che riguarda il mantenimento del segreto bancario in futuro, la via c’è: imposta alla fonte non solo con i Paesi Ue, ma con tutti». Alfredo Gysi è uno dei banchieri elvetici più noti. ceo della Bsi, banca luganese che fa parte del Gruppo Generali, ed è presidente dell’Associazione banche estere in Svizzera.
La Bsi (già Banca della Svizzera Italiana) è all’interno di quel plotone di istituti elvetici di medie dimensioni che hanno attività centrate sul private banking e che tutto sommato hanno sin qui resistito agli effetti della recente crisi dei mercati finanziari. Nel primo semestre di quest’anno la banca ha registrato una flessione del 12%su base annua dell’utile netto, che è stato di 91,2 milioni di franchi. Ma i patrimoni in gestione sono saliti del 5,4% rispetto a fine 2008, a 82,5 miliardi di franchi.
Cifre che sono motivo di soddisfazione, seppur cauta, per il vertice della banca ticinese, che ha ormai integrato l’acquisita Banca del Gottardo. Ma Gysi segue, appunto, anche l’evoluzione dell’affaire Usa di Ubs, accusata dal fisco americano di aver favorito frodi ed evasioni fiscali. E, soprattutto, il banchiere cerca di definire nuove prospettive per quel che riguarda il segreto bancario e l’imposizione fiscale per gli investitori non residenti in Svizzera.
In attesa dei dettagli dell’accordo raggiunto tra Berna e Washington per quel che concerne la questione Ubs Gysi resta prudente su questo versante.
« stato non solo uno scontro tra Ubs e fisco Usa – dice – ma anche e soprattutto tra due sistemi legali diversi, con culture differenti della privacy. Spero comunque che il compromesso raggiunto sia soddisfacente per entrambi i Paesi».
Gysi ritiene che la Svizzera abbia fatto bene ad aderire, nel marzo scorso, agli standard dell’Ocse per la lotta all’evasione fiscale. stata una scelta criticata da alcuni nella Confederazione, ma secondo il ceo di Bsi si è trattato di una decisione tutto sommato accettabile per il segreto bancario elvetico. Gysi aggiunge però ora, con forza, che la Svizzera deve mantenere le sue posizioni. «L’importante – spiega Gysi – è che non vi sia uno scambio automatico di informazioni e che non venga riconosciuta la prassi delle "fishing expeditions", della pesca in liste di nomi da parte di autorità estere. Le autorità svizzere collaborano caso per caso e devono conservare la loro sovranità. Questo vale in generale e spero valga anche nello specifico dell’accordo raggiunto su Ubs negli Usa».
Ma il ceo di Bsi e presidente dell’Associazione banche estere cerca di guardare anche più in là. «Una volta regolata questa complessa vicenda americana di Ubs – sostiene Gysi – si porrà comunque il problema di chiarire che la Svizzera vuole mantenere il suo segreto bancario, come tutela dei diritti di privacy dei clienti e non come copertura di reati. Bisognerà dunque definire una soluzione che valga per tutti».
Ecco allora la proposta di Alfredo Gysi. «Facciamo un’imposta alla fonte – afferma il banchiere elvetico – negoziata dalla Svizzera con tutti gli Stati interessati. Gli stranieri non residenti che hanno patrimoni in Svizzera la pagherebbero al fisco dei Paesi di provenienza, attraverso le banche svizzere, e il segreto bancario a tutela della privacy legittima rimarrebbe». In pratica, si tratterebbe di un’estensione della attuale euroritenuta in vigore con i Paesi Ue, ma con alcune modifiche. L’imposta proposta da Gysi sarebbe ancora anonima e verrebbe ancora versata dalla Svizzera agli Stati di domicilio fiscale dei non residenti che hanno patrimoni nella Confederazione. Ma sarebbe negoziata bilateralmente da Berna con i vari Stati. E potrebbe valere anche per gli Usa e per altre aree del mondo.