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 2009  agosto 18 Martedì calendario

EUROPA SPACCATA AL BALLO DEI GASDOTTI


«Attenti a Putin, potrebbe mettervi in trappola rendendovi dipendenti dalle forniture russe di gas». E’ perplesso, il diplomatico britannico che al telefono chiede l’anonimato: la partecipazione italiana al gasdotto «South Stream», voluto da Mosca a scapito dell’adesione al consorzio «Nabucco» che scavalca la Russia - sostiene - «rischia di mettere l’Italia in una condizione di debolezza», di fronte a un Paese che non ha ancora superato la sua storica diffidenza nei confronti dell’Occidente. Come dire che l’adesione al progetto sul quale Mosca punta per garantirsi il semi-monopolio dei rifornimenti energetici europei è un modo, forse inconsapevole ma miope, di consegnarsi a possibili ricatti della «superpotenza energetica»?
Il diplomatico non risponde. Preferisce sottolineare che «sarebbe un errore credere che l’integrazione delle compagnie russe nella rete energetica europea possa garantire un’influenza sulle decisioni prese a Mosca». Ma la sua osservazione conferma che l’Europa è divisa di fronte alla scelta italiana e, più in generale, alle strategie alle quali affidare una politica energetica comune, della quale a Bruxelles si parla invano da anni. La Gran Bretagna, va notato, dipende soltanto per il 2 per cento dal gas russo grazie ai pozzi nel Mare del Nord (che continuano però a impoverirsi, secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia: dai 6,6 milioni di barili del 2002 la produzione scenderà a 4,8 milioni nel 2010 e a 2,2 milioni nel 2030). Ma, obietta l’interlocutore d’Oltremanica, Gazprom punta a controllare il 20 per cento del mercato britannico entro il 2015: già oggi, dopo aver raddoppiato in due anni i volumi di vendita, possiede il 10 per cento del gasdotto Bacton-Zeebugge, il secondo in ordine di grandezza in Gran Bretagna.
La diffidenza britannica per l’«abbraccio russo» ha riscontro soprattutto fra i membri orientali dell’Unione europea. A cominciare dalla Polonia, che vede nella «prepotenza energetica di Putin» la radice del «patto Molotov-Ribbentrop dell’energia», come a Varsavia si definisce l’accordo russo-tedesco per «North Stream», il gasdotto che garantirà rifornimenti diretti alla Germania scavalcando Bielorussia, Polonia e Paesi Baltici. Ma la Polonia dipende dalla Russia per oltre l’80 per cento dei suoi approvvigionamenti di energia (anche per questo avrebbe voluto partecipare a North Stream con la garanzia del partner tedesco): a Varsavia la diffidenza storica e ideologica nei confronti dell’ingombrante vicino, per 40 anni vero «padrone di casa» in Polonia, si somma a un’obiettiva debolezza.
Diversa la situazione francese. Parigi, silenziosa di fronte alla presenza italiana in «South Stream», acquisterà gas russo attraverso «North Stream». Da trent’anni inoltre ha ottimi rapporti con Mosca, dal punto di vista degli approvvigionamenti energetici: ma la Francia può contare su una abbondante produzione nucleare, in grado di soddisfare fino al 70 per cento del fabbisogno interno. Anche la Spagna si è smarcata da Mosca, garantendosi rifornimenti alternativi e intensificando la realizzazione di rigassificatori, impianti che consentono di saltare gli oleodotti: il gas viene liquefatto sul luogo di estrazione e trasportato per nave nei Paesi di consumo, dove viene riportato allo stato gassoso. Soltanto la Germania si trova in una situazione paragonabile a quella italiana: la nostra adesione a «South Stream», attraverso l’Eni, fa il pari con quella tedesca a «North Stream», una joint venture fra Gazprom e Basf. Senza contare che Berlino dipende per il 32 per cento dal gas russo, a fronte del 30 per cento dell’Italia. Forse per questo entrambi i Paesi tengono a separare, nelle relazioni con Mosca, le ragioni della politica da quelle dell’economia. «In passato si sono realizzate importanti iniziative economico-industriali comuni mentre erano in atto forti conflitti fra i due blocchi», avverte un diplomatico tedesco: «Mai fare confusione».

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