Massimo Gramellini, La Stampa, 18/8/2009, 18 agosto 2009
IL SERIO FARFALLONE
Al giornale arrivano lettere molto serie firmate con giochi di parole (Dorina Vanti, Vanna Mazzati Piccoli e l’insuperabile romanesco Erminio Ottone) che sfidano il talento censorio di chi è preposto alla selezione. Per molto tempo ho pensato che una firma goliardica togliesse autorevolezza al pensiero dell’autore. Ma dopo aver visto Usain Bolt non ne sono più così sicuro. Usain Bolt, sì, quello che fa le smorfie e i passi di danza fino a un attimo prima del via: poi si sgranchisce le gambe e nove secondi e mezzo dopo è al traguardo che ricomincia a ballare. Mi hanno cresciuto con l’idea che per fare cose serie nella vita, per esempio il record del mondo dei cento metri, bisognasse essere per forza molto seri. I miei maestri si chiamavano Borzov o Carl Lewis: tutta gente che prima di una finale si avvicinava ai blocchi di partenza con lo sguardo di chi si accinge a spalancare il palato in faccia al trapano del dentista. Fra gli sportivi solo Muhammad Ali eccepiva alla regola, e infatti era Muhammad Ali. Ma Borg e Merckx non scherzavano nell’imminenza della prova: neppure Tomba e Maradona, che lontano dalla gara scherzavano su tutto.
Quest’idea che sotto pressione si possa mantenere il distacco da se stessi e dalle proprie paure è una lezione di cui siamo debitori all’uomo più veloce del mondo. Purché la leggerezza non sconfini nella spocchia. Altrimenti anziché Bolt si diventa Tiger Woods, il fenomeno del golf sconfitto per avere sbagliato un colpo da principiante che sarebbe riuscito persino a Erminio Ottone.