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 2009  agosto 18 Martedì calendario

«LA VITTORIA PI BELLA DOPO I SACRIFICI COS DIMENTICO L’ADDIO DI DIECI ANNI FA»


ROMA - Dopo dieci anni di lavoro duro, e di successi, Antonio Iavarone, dal suo ufficio della Columbia University a Manhattan, saluta il successo della sua scoperta.
«Solo con questi risultati si dimentica l´amarezza di quello che è successo».
Se ne era andato con la moglie dopo lunghe polemiche, articoli sui giornali, ricorsi al Tar, querele e controquerele. «Una storia lunga e dolorosa, per fortuna adesso il mio lavoro mi ripaga di tutte quelle amarezze». Ma non c´è solo spazio per le polemiche, Iavarone pensa al futuro della scienza nel nostro Paese.
Dice: «Sì, non mi interessa riaccendere vecchie polemiche personali. Visto da qui il problema grave è che l´Italia non ha un sistema-ricerca in grado di attrarre i famosi "cervelli", quale che sia la nazione in cui sono nati».
Eppure dai laboratori italiani escono scoperte importanti.
«Certo, nella penisola, perlopiù al nord, non mancano centri di eccellenza. Ma non bastano per competere al livello internazionale nella corsa all´innovazione in atto tra i paesi avanzati e a cui stanno partecipando validamente anche alcuni emergenti. Nel campionato mondiale della scienza l´Italia neanche partecipa perché, a differenza di quello che fa nel calcio, non facciamo acquisti all´estero. E, a peggiorare la situazione, regaliamo anche i nostri campioni alla concorrenza».
Il problema quindi non si risolve col rientro dei cervelli italiani all´estero?
«La patria di un ricercatore, sin dalla nascita della scienza, che avvenne in Italia nel Rinascimento, è sempre stato il mondo. Nel senso che uno scienziato va dove trova le condizioni migliori per sviluppare le sue indagini, in qualunque luogo del pianeta si trovi. E queste non sono solo un guadagno adeguato e soldi per le sue ricerche. Altrettanto importanti è il livello dei ricercatori con cui può lavorare: più sono bravi e più proficuo sarà lo scambio di informazioni che avrà e stimolante la competizione. In Italia invece si tende ad appiattire l´eccellenza e a stroncare la competizione col diffusissimo metodo di non riconoscere il merito».
Eppure, dopo ogni caso come il vostro, vi è un fiorire di dichiarazioni sdegnate e di proposte per facilitare il rientro dei "cervelli".
«A cui però non segue nulla che vada realmente ad incidere sul sistema-ricerca italiano. La Spagna era nelle stesse nostre condizioni. Negli anni Novanta iniziò la processione dei primi ministri, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, negli Stati Uniti. Venivano per incontrare gli scienziati spagnoli che avevano avuto successo qui. Volevano sapere come funzionava il sistema ricerca americano, su quali elementi si basava e come adattarli alla cultura spagnola. I risultati ora si vedono e la Spagna ci ha superato prima come livello scientifico e tra poco come sviluppo economico».
E quali sono questi segreti?
«Sono vecchi come la scienza, non vi è nulla da scoprire. Il segreto principale si chiama "merito" e si sa benissimo come misurarlo, senza troppi equivoci. Il ricercatore stila un progetto di ricerca. Se si riconosce che ha un senso, che vale la pena di tentare, gli si danno i soldi per lavorare. Poi si verifica i risultati che ha prodotto. Se ha fatto scoperte, e queste poi accendono altri progetti di ricerca altrettanto interessanti, quel ricercatore continuerà a ricevere finanziamenti».
Detto così sembra facile...
«Certo, è semplice, intuitivo. Ma per funzionare il merito deve essere una catena che lega tutti i livelli. Anche chi valuta e decide a chi dare i finanziamenti poi deve rispondere delle sue scelte. Qui un capo dipartimento ha tutto l´interesse a reclutare i migliori. Se il suo laboratorio non produce risultati se ne va a casa».