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 2009  agosto 17 Lunedì calendario

LA VIA LIBERALE PER IL SUD


I governi democrati­ci, tutti, vivono alla giornata. Le loro scelte sono condizio­nate da esigenze contin­genti, sono guidate da considerazioni di breve termine. Ma il «vivere al­la giornata» del governo Berlusconi nelle sue scel­te in materia di Sud, di Mezzogiorno d’Italia, po­trebbe contribuire a esa­sperare divisioni e conflit­ti fra le aree territoriali del Paese. Stretto fra le pressioni dell’esoso allea­to leghista, con i suoi gio­chi al rialzo, e le contro­pressioni del notabilato meridionale, il governo sbanda, cerca di accon­tentare tutti. E’ il contra­rio di ciò che servirebbe. E’ stato un grave errore, ad esempio, «mollare sol­di » al Sud senza preten­dere una contestuale revi­sione dei meccanismi lo­cali di distribuzione delle risorse pubbliche che producono sprechi e clientelismi. Lo si è fatto per paura di un possibile «Partito del Sud». Ma il Partito del Sud è un bluff. Il potere di ricatto è in mano a chi possiede le ri­sorse, non a chi le chie­de. I notabili meridionali non sono stupidi. Sanno che il Partito del Sud esa­spererebbe l’ostilità del Nord. Il Mezzogiorno e, alla fine, anche loro per­sonalmente ci rimettereb­bero.

Non è compito della Le­ga di Bossi avere una «vi­sione nazionale». La sua ragione sociale lo vieta. Ma è compito del pre­mier e dei suoi collabora­tori fare in modo che il ri­vendicazionismo nordi­sta e quello sudista trovi­no una sintesi che li supe­ri. E una sintesi, dato lo stato della questione me­ridionale, richiede la fan­tasia e il coraggio neces­sari per cambiare le rego­le del gioco. Per ora, ciò che si vede è solo un pa­sticcio, intellettuale e pra­tico. Da un lato, la «terra promessa» del federali­smo fiscale che dovrebbe imporre (ma perché poi?) comportamenti vir­tuosi anche alle ammini­strazioni più sprecone e inefficienti. Dall’altro la­to, data la situazione del Mezzogiorno, la solita ri­proposizione degli inter­venti statali straordinari (la nuova Cassa del Mez­zogiorno, la Banca del Sud, eccetera). Insomma: il «federalismo con i pre­fetti », il federalismo e il centralismo statale me­scolati insieme. Qualcu­no si aspetta davvero che una cosa simile possa funzionare? Si noti che se non funzionasse, l’insof­ferenza del Nord cresce­rebbe ancora e, con essa, la domanda nordista (an­cora sotto traccia ma non si sa per quanto) di divor­zio dal Sud.

Chi scrive è in linea di principio favorevole al fe­deralismo fiscale (ma se congegnato in modo da imporre comportamenti responsabili agli ammini­stratori) ma si è anche convinto che esso sia, al momento, una ricetta sbagliata per il Sud. Co­me lo sono state l’autono­mia regionale siciliana e quella sarda: l’autono­mia, infatti, è davvero ta­le se produci da te le ri­sorse finanziarie per nu­trirla. Altrimenti, è uno strumento in più per favo­rire usi irresponsabili del denaro che affluisce dal centro.

 un errore concettuale, prima ancora che pratico, assumere che ad aree diversissi­me del Paese debba essere imposta la stes­sa camicia istituzionale: il centralismo ieri, il federalismo domani. Invece, occorre ap­prontare camicie istituzionali differenti a seconda delle caratteristiche delle diverse aree. Ciò che è utile per il Nord non lo è, al momento, per il Sud. Occorrerebbe costrui­re un buon federalismo fiscale per il Nord e, contestualmente, ripensare le soluzioni istituzionali per il Sud.

La questione meridionale è sempre stata affrontata mescolando paternalismo (tocca alla comunità nazionale il compito di pro­muovere lo sviluppo del Mezzogiorno) e li­beralismo (la concessione di varie forme di autonomia perché i meridionali si facesse­ro carico del loro destino). Questo mix non ha funzionato. tempo di scegliere, con de­cisione e rigore, fra la via liberale e la via paternalista.

La via liberale, quella che chi scrive prefe­rirebbe (e che, nel lungo periodo, credo, sa­rebbe la carta vincente per il Sud) è quella che dice: solo i meridionali, e nessun altro, possono risolvere i loro problemi. Lo Stato, quindi, offre al Sud, come ha suggerito da tempo l’istituto Bruno Leoni, solo l’opportu­nità di trasformarsi in una grande notax

area interrompendo contestualmente i flus­si di trasferimento di risorse. Lo Stato reste­rebbe al Sud solo con gli apparati della for­za (per contrastare la criminalità) e i servizi pubblici essenziali. A quel punto, probabil­mente, si scatenerebbe un conflitto feroce fra le forze modernizzatrici del Sud (che ci sono) e quel «clientelismo senza risorse», fino ad oggi dominante, di cui ha parlato recentemente il presidente della Confindu­stria siciliana Ivan Lo Bello. Essendo cam­biate le condizioni del gioco, le forze mo­dernizzatrici avrebbero, per la prima volta, la possibilità di prevalere.

Solo quando, dopo qualche tempo, si fos­se messo in moto un processo di sviluppo auto-sostenuto (con il miglioramento del capitale umano, con una maggiore efficien­za delle amministrazioni pubbliche, con una raggiunta capacità di attirare capitali) le varie regioni del Sud passerebbero pro­gressivamente, anche del punto di vista fi­scale e istituzionale, nella fascia A, quella delle regioni sviluppate.

Oppure, si può seguire la via paternali­sta, la quale assume che i meridionali non siano capaci di cambiare le condizioni del Sud. Ma se la si sceglie, bisogna seguirla fi­no in fondo, coerentemente. In questo ca­so, è il centro che deve decidere tutto e a tutto sovrintendere. Anche con soluzioni istituzionali drastiche: fine di ogni autono­mia regionale (Sanità in testa) e locale, azze­ramento delle classi dirigenti colpevoli di sprechi, eccetera. Il problema è impedire che gli interventi modernizzatori del centro vengano distorti e le risorse centrali «cattu­rate » da classi dirigenti locali interessate a sfamare clientele. Come accadde alla vec­chia Cassa del Mezzogiorno e come accadrà di nuovo se si mescoleranno ancora centra­lismo e autonomia, paternalismo e liberali­smo. Anche in questo caso, dovrebbe vale­re l’impegno secondo cui le regioni meri­dionali nelle quali si riuscisse a generare sviluppo, passerebbero progressivamente nella fascia A, approderebbero alla terra promessa del federalismo fiscale (ma senza più compensazioni e trasferimenti).

Se al Sud non si innescherà al più presto un circuito virtuoso di sviluppo auto-soste­nuto giorno verrà che l’unità del Paese sarà a rischio. Le soluzioni pasticciate e improv­visate non aiutano.