Serena Denna, Il Sole-24 Ore 15/8/2009;, 15 agosto 2009
E JOHN LENNON, IL GURU, «BUC» L’EVENTO
Chissà se John Lennon ha mai avuto il rimpianto di non esserci stato. Quella mancata partecipazione a Woodstock, suggerita dalla compagna Yoko Ono (che aveva acconsentito solo a condizione di esibirsi anche lei insieme alla Plastic Ono Band), deve essergli tornata in sogno di notte... Lennon non era lo scontroso Bob Dylan che, costretto da un incidente in moto nella sua casa a pochi chilometri dal luogo del concerto, si disse infastidito dal caos degli arrivi; e neanche il paranoico Jim Morrison, che temeva di non farcela a cantare davanti a tanta gente, o lo «stonato» Tommy James che se ne pentì subito dopo.
John era un guru e a Woodstock c’era la sua gente. Non c’era al mondo, nel weekend di metà agosto del 1969, nessun luogo più adatto a lui di quel palco. Per urlare, davanti a 500mila corpi in estasi mistica, la liberazione dell’attivista-poeta John Sinclair ( come fece l’infervorato leader del movimento hippie Abbie Hoffman), cantare parole di pace e lanciare fiori. Riflettendoci ora, però, la mancata partecipazione del suo leader naturale è coerente con il fenomeno Woodstock: il festival dei paradossi. L’evento, alla faccia del peace and love,
nacque come un’operazione di venture capital. Ma quell’annuncio («Young men with unlimited capital looking for interesting, legitimate, investment opportunities and business ideas») pubblicato da John Roberts and Joel Rosenman, e il successivo colpo di fulmine con gli hippie Kornfeld e Lang, provocò l’evento anticapitalista per eccellenza.
In un’intervista rilasciata qualche mese dopo, Kornfeld dichiarò con un bel sorriso sulle labbra: « stato un disastro finanziario! ». Allo stesso modo, la tre giorni di cooperazione e gratuità al grido di «Turn on, Tune in, Drop Out!» (accenditi, sintonizzati, lasciati andare), diventò uno dei più grandi boom commerciali di tutti i tempi. «From free love to free market», ha scritto Peter Aspden sul Financial Times il 31 luglio scorso.
Cronache di quei giorni raccontano che le umanità diverse accorse a Bethel per il concerto, accomunate solo dal desiderio di un mondo diverso, cominciarono, ora dopo ora, a omologarsi nell’aspetto:via i vestiti, capelli sciolti, fiori dietro le orecchie e nastri colorati. Il passaggio dalla fattoria alle vetrine dei negozi fu solo una questione di mesi. Il «magnifico incidente», come lo definì il cantante folk Arlo Guthrie, si trasformò presto in un magnifico business.
I ragazzi che protestavano contro la guerra nel Vietnam, e facevano dell’antimilitarismo un caposaldo del neo sistema di valori nato nelle università e sulle strade d’America, furono salvati proprio dai militari americani. La fattoria del signor Max Yasgur era impreparata ad accogliere un numero tanto grande di persone, così, quando arrivò il temporale (subito dopo l’esibizione di Joe Cocker), tutte le norme di sicurezza, igiene e sopravvivenza saltarono. Fu grazie alle provviste e agli aiuti portati dai militari della National Guard che la tre giorni di musica e festa potè proseguire.
La gentilezza fu ricambiata: come scrisse il New York Times «nessun ragazzo in quei giorni chiamò "maiale" un poliziotto ». Artie Kornfeld, che aveva percorso gli Stati Uniti per promuovere l’evento tra i tantissimi gruppi che rientravano nel movimento per i diritti civili, dice delle Black Panther, la mitica organizzazione rivoluzionaria di afroamericani: «Arrivarono sulle loro motociclette e mi urlarono che nessun " fottuto bianco della middle class" poteva dire alle pantere dove parcheggiare. Io risposi di parcheggiare pure dove volevano e di passare una bella giornata».
Il festival, considerato un sicuro flop dai manager più intelligenti del mondo discografico di allora - al punto che quello di Joni Mitchell ritenne più utile far comparire la cantante in una trasmissione Tv piuttosto che sul palco di Woodstock, e quello dei Led Zeppelin si rifiutò di far esibire i suoi ragazzi come «un gruppo fra tanti» - fu l’evento più importante della storia della musica.
Come l’impresa,anche il mondo del giornalismo fu più cieco che miope: il primo giorno di festival era presente solo Barnard Collier del New York Times, mandato con l’obiettivo di raccontare gli orrori di una generazione allo sbando. Scrisse poi che quella generazione aveva prodotto «un fenomeno d’innocenza ». Erano gli anni dei mitomani e degli omicidi violenti (da Kennedy a Luther King). La settimana prima del concerto, la setta di Charles Manson uccise brutalmente Sharon Tate, moglie del regista Roman Polanski, incinta di 8 mesi. Tutti scommettevano che tra le 500mila teste, una sarebbe impazzita. E invece i «1.600 volontari della pace» aiutarono solo a far nascere due bambini.
La più «fatta» di tutti i cantanti, Janis Joplin, regalò la migliore versione mai realizzata di Summertime. E il più atteso di tutti, Jimi Hendrix, si esibì per ultimo davanti a sole 80mila persone. I disagi che ci furono durante il concerto sarebbero oggi intollerabili. E, invece, al festival dei paradossi di Woodstock, quando dopo la pioggia il terreno diventò palude, i ragazzi invece di urlare e scappare, si tolseroivestiti e cominciarono a fare l’amore nel fango. «Dai diamanti non nasce niente, cantava De André, dal letame nascono i fior».