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 2009  agosto 13 Giovedì calendario

TORINO TORNA AL COTONE, VIETATE LE BUSTE DI PLASTICA

(con scheda mondo) -

Vessillo dell’abbondanza nella società dei consumi, simbolo di tutti gli inquinamenti, maledetto dagli ecologisti, stramaledetto da boschi, fiumi, mari e da tutto quello che ci vive dentro: lui, il sacchetto di plastica del supermercato, l’oggetto fabbricato in maggior numero di esemplari nell’intera storia dell’umanità. Quello che a distruggersi impiega quattro secoli, ma si usa solo qualche ora, per poi trasformarsi, nel migliore dei casi, in un contenitore per l’immondizia.
La sua morte è sancita. Una direttiva europea ha stabilito che lo shopper di plastica dovrà sparire entro dicembre 2009. Al solito, falsa partenza per l’Italia con una proroga che grazia il Bel Paese e rinvia l’esecuzione al dicembre 2010.
Ma c’è qualcuno che vuole fare più in fretta. Che vuole accelerare i tempi e recepire una direttiva necessaria ben prima che diventi obbligatoria. Il sindaco di Torino - l’unica città in cui la coda per pagare le tasse si fa il primo giorno utile e non l’ultimo - anticipa di un anno la scadenza. L’idea è venuta al sindaco, Sergio Chiamparino, durante una passeggiata in bicicletta. Passino le cartacce per terra, ha pensato, ché tanto alla prima pioggia si disintegrano, ma la costellazione di ributtanti - ed eterni - sacchetti di polietilene tra prati e parchi deve sparire. La plastica, poi, vola, si impiglia tra i rami degli alberi, plana sulle rive del Po. « orrendo, è il simbolo del degrado ambientale». La riflessione ecologista del sindaco ha prodotto un effetto immediato: il Comune distribuirà attraverso l’Amiat, l’azienda municipale per la raccolta rifiuti, una sporta di cotone ad ogni famiglia. E’ deciso.
Intanto, nel resto del Paese, il polietilene vende cara la pelle. Condannato a morte per crimini contro l’ambiente la scampa anche questa volta. Eppure sembrava tutto fatto già nella Finanziaria 2007 del governo Prodi, che prevedeva il divieto della commercializzazione di sacchi non biodegradabili nel rispetto della direttiva comunitaria. Tutto inutile: i decreti attuativi che definiscono modalità e sanzioni non sono mai stati emanati.
A Torino, invece, nel giro di pochi mesi, da supermercati, negozi, centri commerciali e botteghe spariranno gli odiati sacchetti, per essere sostituti, nella peggiore delle ipotesi, da shopper riciclabili. Non solo bioplastica e materiali alternativi, che comunque hanno costi energetici enormi e tempi di smaltimento eccessivi: si torna dritti dritti all’antica sacca di tela o di rete, da utilizzare e riutilizzare pressoché all’infinito. «Si possono fare tutti i ragionamenti del mondo - dice Chiamparino -, ma quella che va incentivata è la consapevolezza ambientale: si devono cambiare la cultura e le abitudini». Così, lunedì, l’assessore all’ambiente, Roberto Tricarico, avrà un nuovo compito: aprire la pratica della condanna a morte del sacchetto di plastica, che porterà all’ordinanza comunale, in anticipo di un anno sul resto d’Italia. «Siamo convinti che sarà un provvedimento estremamente popolare, soprattutto in una città rigorosa e attenta come la nostra», dice sicuro l’assessore. E da lunedì s’inizierà con la campagna di sensibilizzazione e informazione, a partire dai commercianti fino ad arrivare ai clienti, assieme alle associazioni di categoria, Legambiente e Pro Natura. I torinesi, quelli che neanche la bioplastica la digeriscono, si dovranno attrezzare. Così come la grande, media e piccola distribuzione, che ha già intuito la potenzialità delle shopper di cotone griffate e decorate con scintillanti messaggi pubblicitari. Dopotutto, prima della rivoluzione dei supermercati, neanche trent’anni fa, a fare la spesa ci si andava con la sacca o la rete portata da casa, appallottolata in fondo alla borsa. Ora siamo arrivati a consumare 400 sacchetti a testa in un anno, ad usarli per pochi minuti, e ritrovarceli come rifiuti per un minimo di 20 anni fino a 400. Sproporzione terribile, sufficiente di per sé a brindare alla condanna a morte del sacchetto.

COSI’ NEL RESTO DEL MONDO-

La rivoluzione verde partita dall’Asia


India - 2000
La rivoluzione verde inizia nei Paesi asiatici, i maggiori esportatori di sacchetti di plastica. il 2000 quando l’indiana Mumbai li vieta. Dopo due anni il suo esempio contagia il Bangladesh, che nella capitale, Dhaka, impone un divieto totale su tutte le buste di plastica sottile, risultate la causa dei blocchi al sistema di drenaggio durante devastanti inondazioni. Il provvedimento innesca un rilancio della produzione locale di sacchi di iuta.

Sud Africa - 2003
A partire dal 2003 la lotta al polietilene dall’Asia sbarca in Africa. O meglio, in Sudafrica: vietato l’impiego dei sacchetti di plastica sottile. Lo stesso anno lo stop arriva anche a Taiwan. In Eritrea, Ruanda e Somalia, invece, le normative sul divieto alla plastica compaiono nel 2005. La Tanzania elimina i sacchetti nel 2006, mentre il Kenya e l’Uganda mettono fuori uso le busta di plastica a metà del 2007.