Lorenzo Mondo, La stampa 14/8/2009, 14 agosto 2009
LA GHIGLIOTTINA UNA VEDOVA ALLEGRA MA NON TROPPO
Un medico le ha dato il nome
Il 10 ottobre 1789, agli albori della Rivoluzione, il medico Joseph-Ignace Guillotin consegnò al Presidente dell’Assemblea costituente un articolato disegno di legge per la riforma del codice penale. Proponeva tra l’altro che a ogni crimine dovesse corrispondere una stessa punizione, indipendentemente dal rango del responsabile e che, in caso di condanna a morte, per evitare inutili sofferenze, «il reo sarà decapitato; e questo sarà fatto unicamente per mezzo di un meccanismo semplice». Appaiono evidenti le motivazioni egualitarie e filantropiche della proposta, che derivano dalla filosofia dei Lumi, e segnatamente dall’aureo trattato di Cesare Beccaria. Si trattava però di chiarire quale fosse il meccanismo che la proclamata semplicità rendeva quasi inoffensivo e il buon Guillotin ne descrisse sommariamente i particolari. Trascinato dall’entusiasmo, si rivolse ai Costituenti, facendoli partecipi della sua invenzione: «Signori, con la mia macchina vi farò saltare la testa in un batter d’occhio e non soffrirete affatto! La lama piomba come un fulmine, la testa vola via, il sangue sgorga, l’uomo non è più. A malapena percepisce un soffio d’aria fresca sulla nuca». Non era dato prevedere che l’apostrofe retorica stava configurando per molti dei presenti quella che sarebbe diventata una sgradevole realtà.
L’idea fu per il momento accantonata e prese forza con il contributo di un chirurgo, Antoine Louis, che diede al progetto una tecnica concretezza, e di Tobias Schmidt, un fabbricante di clavicembali, che costruì ad arte la «macchina decollatrice». A questa restò tuttavia impresso il nome del suo primo ideatore, nonostante il disagio e il pentimento che lo accompagneranno per tutta la vita. La ghigliottina, verniciata di rosso, fu inaugurata il 25 aprile 1792 a place de Grève e la cavia - cosa per noi stupefacente - fu un ladruncolo recidivo. Era l’avvio di una pratica nefanda che, a ritmo sempre più sostenuto, si estese dalla criminalità comune ai nemici veri o presunti della Rivoluzione, alle semplici vittime di delazioni e sospetti. La «vedova» (uno dei tanti appellativi dovuto al fatto che si ergeva isolata sul patibolo, «altera come una donna sola») avrebbe provocato, in un crescendo di odio parossistico, una cifra oscillante tra i 15 e i 25 mila morti. Veniva così disonorata la Rivoluzione, contraddetta la nobiltà originaria dei suoi principi e oscurati i suoi indiscutibili benefici. Fino a quando la mostruosa, fulminea efficienza della repressione provocò nausea e ripudio, ritorcendosi contro i più radicali fautori.
E’ una vicenda che ci viene raccontata da Antonio Castronuovo in un libro apprezzabile per la puntuale, doviziosa informazione e il risentimento civile: La vedova allegra. Storia della ghigliottina (Stampa alternativa, 248 pagine, 14 euro). Non c’è aspetto dell’argomento che venga trascurato: la meccanica del congegno, i luoghi deputati all’esecuzione, i particolari orrendi e mefitici del sangue stagnante, il sadico furore di masse cannibalizzate, lo sconforto ma anche la dignità di personaggi illustri sulla soglia del patibolo (incluso il garbo di Maria Antonietta che si scusò con il boia per avere calpestato inavvertitamente il suo piede). Seguendo la sopravvivenza in Francia della ghigliottina anche in tempi più miti e civili, fino al 1981 quando fu abolita la pena di morte.
Castronuovo registra fra le altre singolarità il pedagogismo indotto dallo strumento infernale. Il Consiglio Generale di Arras, fu costretto a sequestrare dei macabri giocattoli con cui i bambini mozzavano le teste di passeri e topi. E ci furono dame che ghigliottinavano pupazzetti con il volto aborrito di Robespierre e di Fouquier-Tinville, dai quali colava un sangue fittizio e profumato, buono per umettare il fazzoletto e il collo delle gentili esecutrici. Sorprendente poi la lunga disputa sorta in ambito accademico sul comportamento delle teste mozzate, se continuassero momentaneamente a vivere, se i condannati avessero la percezione di assistere alla propria morte. Affiora in queste pagine crudamente espositive un animus tra l’ironico e l’appassionato, che imputa anzitutto alla Rivoluzione il peccato originale di non avere cancellato la pena di morte. «L’intera storia della ghigliottina - annota Castronuovo con sarcasmo - si snoda tra politici, medici e artigiani, tutti dediti al beneficio dell’umanità. Un insopportabile altruismo, un fastidioso disinteresse caratterizza ogni atto dell’epoca, ghigliottina compresa». E figgendo lo sguardo più avanti, sulla triste eredità lasciata da quel tempo di follia, osserva che «in nome del popolo e della repubblica fu creato uno dei più iniqui e scellerati tribunali ”popolari” della storia. Altri ce ne sarebbero stati, ma quello fu il primo, sciaguratamente sorto da braci ”democratiche”».