Emanuela Audisio, la Repubblica, 17/8/2009, 17 agosto 2009
Bolt, un fulmine nella leggenda record stellare nei 100 metri d´oro - BERLINO – sempre su Marte, non ha voglia di tornare sulla terra
Bolt, un fulmine nella leggenda record stellare nei 100 metri d´oro - BERLINO – sempre su Marte, non ha voglia di tornare sulla terra. E Berlino è uno stadio che cambia la storia. Se Owens qui scioccò il nazismo, Bolt ribalta il mondo. La gravità non fa per lui, meglio un happy hour. Anzi happy seconds.Mister Velocità fulmina i cento, anzi li balla: 9"58, primato migliorato di 11 centesimi, un anno dopo il 9"69 di Pechino. Un record del mondo pazzesco. Forte e leggero, mai in discussione. Cronometro massacrato. Il principe Alberto di Monaco che si stropiccia gli occhi e dice: non ci credo. E lui Usain, il giraffone giamaicano, senza nemmeno un po´ di fiatone che si dice felice di essersi divertito. Oh, ma stravolgi il pianeta, fai secchi in una notte tutti i più grandi, Owens, Hayes, Lewis, Greene, e ti diverti pure? «Sì sono venuto qui per la sfida e per vincere. E´ stata una gara bellissima, ero pronto per il record. Voglio avere altre due medaglie, anche se non penso che nei 200 riuscirò a strabiliare. E non venitemi a rompere con la tensione, e dai basta, che non la sento». Niente pression, solo amusement. E dai, musica. Sul suo Mp3: Elephant Man, Serani, Vybz, Assassin, Black Rhino, Bennie Man. Ah già, la gara. Bolt si apre, Bolt si stende, Bolt li stende. Parte e arriva, con gli altri molto dietro. Gay, americano, è argento in 9"71, Powell è bronzo in 9"84. Che devono dire, poveracci? «Ci abbiamo provato, più di così è dura, ci riproveremo l´anno prossimo». Ecco, appunto, in un´altra vita. Gay è ancora lì che borbotta tra sé e sé, guaisce come un cane bastonato, non riesce a capire perché prenda botte da uno che ride come Fernandel e che sulla pista si mette a ballare come Josephine Baker. Ma sì, let´s party. E´ uno stadio austero che risuona di brutte atmosfere? Ci pensa il ragazzone giamaicano a togliergli un po´ di vecchie insegne. Corsia quattro. Scherza, con le mani sul viso, prende in giro chi si tormenta. Amleto, sloggia, datti pace e rilassati l´anima. Usain si mette in posa, il solito arco, il suo logo. Lui è disteso, cool man. Ride, parla, fa segno con le dita. Gay ha una faccia da tomba, Powell prova a fare il clown pure lui, ma sembra già un cadavere con la cipria. Per gli altri non c´è posto. Let´s dance. Il padre di Bolt, sconvolto dalla tensione, gli chiede: «Non sei nervoso?». E lui: «No, pa´, stai calmo, mica corri tu». In semifinale Usain fa il segno di sparare: bang-bang. Un bambinone che ridicolizza le paure dei grandi. Non c´è gara, davvero. Bolt è quasi l´ultimo a partire, da quel punto di vista è una tartaruga: 0.146 contro 0.134 di Powell e 0.144 di Gay. Poi però Super Bolt tira fuori il collo, apre la sua falcata, ai cinquanta metri, e li lascia lì inchiodati ai loro spasmi. Stavolta non fa lo scemo, non tira il freno a mano, il suo motore ha piena libertà, controlla solo con gli occhi a destra, è lì che ci sono Gay e Powell, topolini che cercando di sgattaiolare. Motori senza carrozzeria. Gay ha una faccia impazzita di dolore, pare uno che gli abbiano sparato in pancia, prova inutilmente a risalire. A Pechino Bolt aveva espresso una velocità media di 37,15 km orari pari a 10,32 m/s, la massima l´aveva raggiunta nel tratto tra i 50 e 80 metri volando a 43,9 km all´ora. Con una falcata sul rettilineo d´arrivo di 2,67 metri. 41 in genere i suoi passi. Gli altri si fanno mangiare dai nervi e accorciano. Lui è fluido. «Voglio diventare una leggenda e restare nella storia, voglio che si ricordino di me. Poi tra sette anni mi ritiro, così me ne starò a casa a folleggiare con i miei amici e a fare niente, che ora in Giamaica sono troppo famoso e appena vado in giro tutti mi fanno fotografie. Non sento lo stress perché ci sono abituato, venite a correre in Giamaica e vi renderete conto di cosa sia lo sprint per noi. Nel 2002 ai mondiali giovanili in Kingston io avevo 15 anni e ho sofferto da matti il fatto di avere la responsabilità addosso. Però non sono come Asafa Powell che ogni volta ai blocchi si chiede: ma sono davvero bravo? Lo sport t´invecchia presto, soprattutto se mi metterò a fare i quattrocento. E dire che a me i 100 non piacciono, sono troppa potenza, velocità, intensità, preferisco i 200 dove mi sento padrone». Si capisce, i cento gli fanno schifo. Così rapidi, esplosivi, indiavolati. A lui piace ballare in una altra maniera. Più sensuale, più lunga. Torna in pista per i fotografi. Chiede: vi siete divertiti? Un mondo, ma accidenti dura sempre di meno.