Stefano Boccardi, La Gazzetta del Mezzogiorno 15/8/2009, 15 agosto 2009
Uva d’oro pagata due soldi: è crisi nei campi di Puglia RUTIGLIANO - Lungo la vecchia strada che dalla periferia di Rutigliano conduce a Casamassima, davanti a un tendone d’uva bianca «Vittoria» ancora incolta, c’è un cartello con su scritto «Vendesi»
Uva d’oro pagata due soldi: è crisi nei campi di Puglia RUTIGLIANO - Lungo la vecchia strada che dalla periferia di Rutigliano conduce a Casamassima, davanti a un tendone d’uva bianca «Vittoria» ancora incolta, c’è un cartello con su scritto «Vendesi». Eccolo il segno inequivocabile. Eccolo il segno che racconta più di mille parole quel che sta accadendo nelle nostre campagne. Nelle campagne del sud-est barese. Quel «Vendesi» ha soprattutto la forza di sintetizzare in una sola parola un viaggio di due giorni. Un viaggio che ha preso le mosse da una segnalazione giunta in redazione: «La crisi economica sta facendo crollare i prezzi dei prodotti agricoli. E così, nelle campagne baresi c’è tanta uva non raccolta. Più a sud, nel Brindisino, nessuno sta più raccogliendo le angurie. E più giù ancora, nel Leccese, i meloni gialli rischiano di marcire al sole. Un po’ come è accaduto alle patate di Polignano a Mare. Un po’ come rischia di accadere all’insalata. Un po’ come in parte è già accaduto al grano del Tavoliere o alle ciliegie di Turi. Un po’ come sta accadendo al pomodoro della Capitanata». Sembrava una segnalazione allarmistica, troppo allarmistica. E in realtà, in quelle parole, un certo allarmismo c’è di sicuro. Ma girando in lungo e in largo il sud-est barese e spingendosi sino al Brindisino, è facile trovare conferme a quelle parole. Dappertutto, a prevalere è un evidente senso di desolazione. Aggravato non tanto e non solo dal fatto che qua e là si intravedono campi incolti o tendoni abbandonati, o campi tenuti a riposo. Quel che, soprattutto nel sud-est barese, rende desolante attraversare le campagne in questi giorni è il confronto con ciò che accadeva solo l’anno scorso o due anni fa, quando in questo stesso periodo c’era un incredibile via vai di tir di ogni dimensione. Quest’anno, quel trambusto sembra un sogno. Soprattutto per le centinaia di famiglie che, in un modo o nell’altro, vivono di agricoltura: dai produttori ai braccianti, dagli autotrasportatori ai commercianti, sino agli intermediari che da sempre sono l’anello forte di una catena che sembrava inossidabile. E invece, quest’anno, almeno finora, la catena sembra essersi spezzata. Lasciando sulla pianta centinaia di tonnellate di uva da tavola. Soprattutto la prima uva, la «Vittoria» che ora rischia di rimanere incolta o di finire in cantina a non più di 5 centesimi al chilo. Altro che i 40-50 centesimi che di media sono stati pagati sinora. Eccolo spiegato il senso di quel «Vendesi ». Che diventa ancora più forte nelle parole di due giovani agricoltori che s’interrogano sconsolati sul da farsi: «Magari si potesse vendere. Quel ”Vendesi” in realtà è un’illusione. Qui siamo tutti alla canna del gas. Altro che vendere o comprare». Un lamento che calza a pennello con le parole dei più anziani. Con le parole di chi, soprattutto negli anni Ottanta e sino alla metà degli anni Novanta, ha accumulato delle autentiche fortune con l’uva da tavola. Uno lo incontriamo nelle campagne di Noicattaro. Si chiama Carlo (ma chissà se il nome è esatto) e ha 64 anni. «Se non accade un miracolo - dice - la nostra agricoltura ha i giorni contati». «Ma le sembra normale - aggiunge - che il governo ci venga a raccontare che qui al Sud dobbiamo vivere solo di turismo? E poi: le sembra normale che il ministro Zaia, il leghista Zaia, si occupi solo di quote latte e di uva da vino? Se non ci diamo una regolata, qui salta tutto». Sembra di risentire parole d’altri tempi. Parole forti come quelle, diverse ma ugualmente efficaci, che nei primi anni Sessanta riecheggiavano dai microfoni di una Rai che aveva l’ardire di inviare in giro per l’Italia meridionale fuoriclasse come Ugo Gregoretti. Parole che dovrebbero - ma tanto non accadrà - far riflettere il partito trasversale del malaffare in sanità. Quel partito, finalmente finito sotto i riflettori anche in Puglia, che sperpera milioni di euro con la stessa spensieratezza con cui va a puttane o si fuma il cervello con la cocaina. Parole, comunque, che rischiano di sbattere il muso con una realtà ancor più crudele. «Io spero davvero che non accada - dice Marino Santamaria, di Noiacattaro, uno dei fratelli titolari di una delle più importanti aziende di import export di prodotti ortofrutticoli -. Ma se questa situazione, finora limitata all’uva ”Vittoria”, dovesse tra un mese riproporsi per l’uva ”Italia”, qui sarebbe la catastrofe». Santamaria spera soprattutto che torni a dare segni di vita il mercato inglese. «La crisi della sterlina e la chiusura di fatto dei mercati dell’Europa dell’est, dove l’anno scorso si sono sommate centinaia di casi di insolvenza - spiega Santamaria - sono a mio avviso la causa principale di questa situazione. Non possiamo contare tutti sulla Germania. Che è rimasto l’unico mercato europeo veramente ancora attivo». Un’analisi, quella svolta da Santamaria, che sembra ricalcare gli ultimi dati macroeconomici provenienti da Eurolandia. Quelli che sono appena stati diffusi dai governi di Francia e Germania, appunto. Gli unici due Paesi nei quali il Pil (prodotto interno lordo) torna a crescere dopo mesi di stagnazione e recessione. dal nostro inviato STEFANO BOCCARDI 15 Agosto 2009 RUTIGLIANO - «Guardi qui, guardi com’è bello questo grappolone di uva rossa ”Red Globe”. Questo sì che è un grappolo da premiare. Peserà almeno tre chili». orgoglioso ma un po’ arrabbiato questo ultrasessantenne che da sempre ogni mattina si spacca la schiena nelle campagne di Rutigliano. Giovanni parla in dialetto. Ma il suo ragionamento è chiarissimo: «Io non dico che si debba produrre come una volta. Anche i miei grappoli non sono diventati così grandi e belli solo grazie al nostro sole e nemmeno solo grazie alla mia esperienza. Qui a Rutigliano, come dappertutto, la chimica è arrivata alla grande già da un pezzo. In questa vigna di ”Red Globe”, ad esempio, per arrivare a queste dimensioni, io ci ho messo la ”giberellina”. Si chiama così la sostanza che serve a far diventare grandi e belli i grappoli d’uva. Ma la ”giberellina” è una sostanza consentita. Ormai d’uso comune. Normale. Nulla, quasi acqua fresca, rispetto alle nuove droghe che vanno di moda adesso». Ma dice per davvero? «Sì, S’immagini che non sono nemmeno inserite tra le sostanza vietate». Ma che cosa sono? «Hanno sigle diverse. Nomi strani. In realtà sono degli ormoni della crescita». Come gli anabolizzanti, quelli che usano i culturisti per far gonfiare i muscoli? «Sì. Roba da fantascienza. Roba da far diventare i grappoli anche di 5-6 chili. Ma gli ormoni non servono solo a quello. I più pericolosi sono quelli che fanno diventare i grappoli tutti uguali». E come si fa? « un trattamento che si fa d’inverno e che serve per far dormire la pianta. Un trattamento che esalta questo sonno e che consente, nella fase di germoglio, di far sbocciare le gemme tutte nello stesso momento. così che si arriva a grappoli che sembrano davvero identici. Fanno quasi impressione». Sono dannosi per la nostra salute? «Questo non lo so. Quel che so è che piacciono tanto alle signore che fanno la spesa. Quello che so è che sono solo un esempio di come è ridotta la nostra agricoltura. Per non parlare poi di tutto ciò che arriva dall’estero, dalla Turchia e dall’Egitto, dove non si devono nemmeno applicare le regola dell’Unione europea. Lo sa perché c’è tanta uva ”Vittoria” ancora non raccolta?». Ce lo dica. «C’è la crisi, non lo metto in dubbio. La gente non ha soldi. Ma qui, in campagna, noi stiamo vendendo la ”Vittoria” anche a 25 centesimi al chilo. Certo, qualcuno è stato più fortunato e l’ha anche venduta a 60-70 centesimi. Ma non è la regola. Il prezzo medio in campagna non supera i 40 centesimi». E allora? Che cosa vuol dire? «Voglio dire che con questi prezzi, che al dettaglio si moltiplicano, ma nemmeno tanto, si dovrebbe vendere di più. Se la gente non compra, vuol dire che c’è qualcosa che non va». Cioè? «Per me molto è dipeso da come è partita la campagna di raccolta all’inizio di luglio. Nel senso che è stata raccolta uva acerba. Che è finita sui mercati, dando l’idea che quest’anno la qualità non fosse poi così buona». Ma c’è ancora la possibilità di salvare la stagione? «Io spero che si inverta la tendenza. Altrimenti saranno dolori. Qualcosa si capirà già nei prossimi giorni, quando i commercianti cominceranno a prenotare l’uva ”Italia”, che si raccoglie a settembre e che qui è il nostro cavallo di battaglia. Spero davvero che ci sia una svolta». s. bocc. L’intero raccolto venduto a forfait dimezzato il numero dei braccianti RUTIGLIANO - La squadra di quindici donne, tutte o quasi di Rutigliano, arriva nel tendone di Francesco quando sono quasi le 11. La più giovane ha 20 anni, la più anziana, una sua zia, ne ha 58. Sono tutte sorridenti. Quasi festanti. Lavorano in armonia. Sembra che non facciano alcuna fatica a tagliare grappoli e a sistemarli al meglio nelle cassette già pronte per finire sui pallet e quindi sui tir con le più diverse destinazioni. Con loro, c’è anche qualche maschio. C’è soprattutto il figlio del commerciante, che qui, sul fondo di questo agricoltore per hobby che è Francesco, fa la parte del padrone. Sì, perché sino alla fine della raccolta, Francesco qui non è più nessuno. Perché, contratto alla mano, l’uva, tutta l’uva ”Vittoria” contenuta nel tendone che si estende per circa 8mila metri quadri, è del commerciante che l’ha acquistata a forfait. Si lavora soprattutto così da queste parti. E Francesco, in un momento di crisi come questo, è persino fortunato. Innanzitutto perché ha venduto tutto il raccolto e poi perché, nonostante il prezzo pagato non sia altissimo (40 centesimi di euro al chilo per 130 quintali), ci ha guadagnato un po’ di soldini. E infatti Francesco non si lamenta. Esattamente come le quindici donne che tirano giù grappoli uno dopo l’altro. Loro non si lamentano anche perché tutte, a differenza di tante braccianti che ancora oggi subiscono le regole dei «caporali», sono state ingaggiate regolarmente. Ma la storia di queste quindici donne che lavorano come se stessero partecipando ad una festa è singolare anche per un’altra ragione. Quest’anno, da queste parti, di braccianti che restano a casa senza lavoro ce n’è tantissime. C’è lavoro per meno della metà delle donne che solo un anno fa venivano impiegate. E il risultato è che per non scontentare nessuno, i commercianti stanno facendo turnare la manodopera. «Temo che dalle nostre parti tante lavoratrici alla fine dell’anno non ce la faranno a raggiungere le 51 giornate, che rappresentano il minimo previdenziale», dice Giovanna Tomaselli, segretario generale della Flai-Cgil della provincia di Brindisi. s. bocc.