Massimo Gaggi, Corriere della sera 14/8/2009, 14 agosto 2009
LA RINASCITA DI BERNANKE «REGISTA DELLA RIPRESA»
Dalle accuse al consenso nei sondaggi
NEW YORK – «All’inizio ha sottovalutato la crisi, ma poi ha fatto scelte molto coraggiose, interventi mai tentati prima nella storia della Fed. Ha evitato un’altra depressione: merita di essere riconfermato alla guida della Banca centrale Usa». Il primo a schierarsi con Ben Bernanke – qualche settimana fa, proprio mentre il Congresso lo «processava », accusandolo di aver gestito lo «tsunami» finanziario con poca trasparenza e qualche abuso di potere – era stato Nouriel Roubini, l’economista del momento, quello che negli anni scorsi aveva previsto con precisione quanto stava per accadere.
Poi è stata la volta di Paul Krugman, per il quale Bernanke merita la riconferma per come ha saputo trasformare un’algida istituzione finanziaria nella rete di sicurezza – il creditore di ultima istanza – dell’intero sistema finanziario. Certo, il Nobel dell’economia è un professore di Princeton che a suo tempo fu assunto proprio da Bernanke, presidente del dipartimento di economia dell’ateneo, prima di passare alla Fed. Ma Krugman è, comunque, una voce di primo piano della sinistra «liberal» che chiede la conferma di un repubblicano a suo tempo nominato da Bush, preferendolo a un progressista scelto da Obama. E l’altro giorno anche il celebre storico dell’economia Niall Ferguson, un «bastian contrario» britannico che insegna a Harvard, pur dicendosi tutt’altro che persuaso che l’America stia davvero uscendo dalla crisi, ha assegnato a Bernanke la sua personale medaglia d’oro per aver evitato la depressione (argento al governo cinese, bronzo a Obama per il suo pacchetto di stimoli fiscali).
Svillaneggiato due mesi fa da parlamentari democratici e repubblicani, considerato da molti opinionisti un capo della Fed a fine mandato, destinato ad essere sostituito da Obama con un personaggio meno compromesso con gli errori e l’ideologia dell’«era Greenspan», in poche settimane Bernanke ha riconquistato il rispetto della Casa Bianca e di buona parte dell’opinione pubblica grazie a una serie di coraggiose apparizione pubbliche e ai dati di un’economia che per la prima volta sembra reagire positivamente alle terapie.
La disoccupazione continua a crescere, i politici sono divisi sull’efficacia delle misure di stimolo del governo, ma pian piano si sta anche diffondendo la consapevolezza che, senza la decisa azione della Fed per stabilizzare il sistema finanziario, oggi saremmo alle prese con una situazione catastrofica, non con un dibattito su entità e durata della ripresa che si delinea all’orizzonte.
Anche in Europa, dove il Pil di Germania e Francia è tornato a crescere, ci si sta convincendo che la «ripresina» non sarebbe stata possibile senza la riattivazione del credito dopo la paralisi che, da Wall Street, si era propagata anche nella Ue.
Tra un mese, quando celebreremo l’anniversario del fallimento della Lehman e uscirà una nuova raffica di libri sulle cause della crisi, torneranno le critiche a Bernanke e all’ex ministro del Tesoro, Henry Paulson: «Hanno provocato lo ’tsunami’ lasciando crollare una grande banca; hanno gettato 180 miliardi in una fornace per salvare AIG; hanno obbligato il capo di Bank of America, Ken Lewis, ad acquistare la Merrill Lynch, nonostante la scoperta di una realtà contabile disastrosa». Molti liberisti accusano lui e Paulson, di aver violato, in quella circostanza, le regole del mercato e forse anche le leggi federali.
Ma i più, almeno nel mondo dell’economia, sembrano persuasi che quell’abuso, se ci fu, servì ad evitare un’Apocalisse finanziaria. Non è detto che tutto questo, alla fine spinga Obama a confermare Bernanke (il cui mandato scade a gennaio) anziché sostituirlo con Larry Summers o un altro economista democratico. «Proprio la ripresa – dice John Silvia, analista della banca Wells Fargo – potrebbe fargli fare la fine di Churchill nel 1945: grazie per quello che ha fatto per noi, ma la fase nuova che si apre richiede un nuovo leader».
In queste settimane, però, aiutato dai dati dell’economia e accettando confronti col pubblico e con la stampa come mai un banchiere centrale Usa aveva fatto, Bernanke ha recuperato credibilità e ha conquistato il sostegno dei suoi «pari»: oltre il 70% degli economisti sentiti dal «Wall Street Journal» in un sondaggio pubblicato due giorni fa, chiede a Obama di lasciare il capo della Fed al suo posto.