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 2009  agosto 13 Giovedì calendario

 LA PROVA DEFINITIVA: ANCHE MICHAEL UMANO


Ora che il campione che si riprometteva di sbucare dal passato ha accettato la legge di un avversario più forte - il fisico, ma anche le conseguenze dello scorrere del tempo - è il momento di ricordare gli altri passaggi della carriera nei quali Michael Schumacher si è sganciato dallo stereotipo del pilota tutto efficienza, di macchina da vittoria finalizzata solo al risultato. Nulla di tutto questo, se si ha voglia di spulciare per bene tra le sue frasi di anni e anni trascorsi a misurarsi con il rischio: ne esce un «blob» significativo e vero del personaggio e dell’ uomo, non tanto dello sportivo. Schumi non è mai stato un tipo espansivo, ma non per questo non ha immagazzinato emozioni. Davanti alla morte, alla paura, all’ imprevisto, al rischio. E le ha pure liberate, magari in occasioni inattese e impensabili. Ci sono voluti dieci anni rispetto all’ episodio, ad esempio, per capire che cosa provò nel 1994 a Imola quando Ayrton Senna si schiantò alla curva del Tamburello e perì: «Quando mi resi conto di che cosa fosse accaduto, rimasi stordito. Per la prima volta mi confrontai con la morte. E per molto tempo mi sono domandato se dovessi continuare a correre. Senna era fonte di ispirazione, e non solo per me: era un simbolo». Esiste quindi anche uno Schumacher «normale», sensibile, che legge e racconta se stesso, quasi allontanando l’ idea del perfezionista che ha invece sempre lasciato sull’ asfalto. lo Schumi, soprattutto, che ammette di aver avuto paura di morire, a Silverstone 1999: uscì di pista e andò a sbattere violentemente contro le gomme di protezione, fratturandosi la tibia e il perone della gamba destra. «Ho avuto la sensazione che il mio cuore si fermasse: tutto all’ improvviso è diventato nero. Ho pensato che questo è ciò che sentiamo quando stiamo per intraprendere il viaggio verso l’ Aldilà. Non so per quanto tempo me ne sono andato, o se è stato un semplice mancamento o un attimo di shock. Per me è sufficiente sapere che il mio cuore ha smesso di battere». Qui l’ uomo ha vacillato, ma in un’ altra circostanza ha saputo perfino ironizzare sugli intrecci con il destino e con il pericolo. Voleva far intendere quanto fosse preoccupato, ma lo ha spiegato con la sua calma glaciale. Zeltweg 2003, trionfo dopo un principio d’ incendio sulla monoposto al primo pit stop. Il suo commento: «Da piccolo giocavo con le fiamme; mi son detto: ora le spegneranno, forse i meccanici volevano scaldarmi». Il meglio sta però nel Michael che scioglie frasi e sentimenti: «Nel 2000 a Monza mi venne da piangere; temetti che la gente non mi avrebbe capito: sì, ora sono un altro uomo»; «Ho scoperto che è faticoso entrare nella leggenda» (Suzuka 2003: il sesto titolo, uno in più di Fangio, arrivò grazie a un ottavo posto e alla vittoria di Barrichello); «Vorrei essere un poeta per dire che cosa provo» (Spa 2004, settimo Mondiale). Terrestre e comprensivo è infine l’ ultimo Schumacher, il signore delle piste che ha scandito il passo d’ addio con messaggi in apparenza contraddittori ma in realtà lineari. Bastava, col senno di poi, leggere tra le righe. Imola 2006: «Deciderò più avanti e nulla mi metterà pressione. Ho sempre avuto bisogno delle vittorie, quando non ci sono mi mancano da morire. Ma il mio futuro è un’ altra cosa». Monza 2006: «Temo di non avere più energia, forza e buone motivazioni. Vinco il Mondiale e smetto». L’ ultimo trionfo non è giunto, perfino ai grandi capita di sbagliare previsioni. A Schumi era già successo qualche mese prima, nel gennaio dell’ anno dell’ addio: «Per essere felice ho bisogno di un volante, dunque sarò sulla Ferrari anche dopo il 2006». Pronostico errato. Ci stava riprovando, il buon senso l’ ha fermato: la più dura sconfitta si trasforma nella più grande vittoria di un campione che autodecreta il definitivo game over e che consegna, di se stesso, un ricordo molto umano.