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 2009  agosto 13 Giovedì calendario

KILLER E BOMBE, CAUCASO NUOVO INCUBO DI PUTIN


Ucciso un ministro in Inguscezia. Attentati in Abkhazia contro la visita del premier

E intanto sfida l´Onu: "Mosca è pronta a sostenere Sukhumi anche militarmente"

MOSCA - Mercoledì 12 agosto. Mentre Putin sta volando diretto a Sukhumi, per una visita a sorpresa nella capitale dell´Abkhazia, alle 10,30 del mattino, 500 chilometri più est, in quel di Magas, capitale amministrativa dell´Inguscezia fondata nel 1995, due uomini armati di fucili automatici irrompono nell´ufficio di Ruslan Amirkharov, il ministro dell´Edilizia. Hanno il volto coperto dai passamontagna. Il commando apre subito il fuoco. Le raffiche spezzano la vita del ministro. Cade falciato dai colpi anche il nipote Magomed, suo collaboratore: ma le ferite, pur gravissime, non sono mortali. Il gruppo di fuoco lascia indisturbato il ministero e si dilegua a bordo di una vettura targata Ossezia del Nord, una Vaz 2114. La vettura più diffusa nel Caucaso.
La polizia ipotizza un´azione dei clan che sono nel mirino delle verifiche anticorruzione lanciate qualche mese fa dal presidente Junus-bek Evkurov, una delle tante misure per riportare l´ordine nella turbolenta repubblica autonoma del Caucaso russo. Guarda caso, pure Evkurov è sfuggito alla morte per un pelo: lo scorso 22 giugno una potentissima esplosione aveva investito il corteo di auto del capo di Stato. Apparve subito chiaro che l´attentato era stato opera di militanti islamici. Evkurov, infatti, stava cercando di spezzare il fronte islamista, promettendo di far uscire dalla clandestinità parte dei guerriglieri, pur di isolare i gruppi più radicali. Sottoposto ad un lungo e delicato intervento, è stato dimesso dall´ospedale tre giorni fa e ha subito detto che continuerà la sua opera di bonifica, forte dell´appoggio di Mosca.
L´uccisione del ministro dell´Edilizia è dunque solo l´ultimo di una lunghissima serie di attentati che stanno sconvolgendo questa piccola repubblica di 500mila abitanti accanto alla Cecenia. Una guerra misconosciuta che vede in campo forze ostili al potere centrale, e una sorta di alleanza tra guerriglieri islamici, oppositori del Cremlino e mafie locali. Da due anni le autorità, coadiuvate dai servizi di sicurezza federali dell´Fsb e dell´Mvd (ministero degli Interni), stanno reagendo duramente, per usare un eufemismo. L´Fsb aveva decretato l´Inguscezia «zona di operazione antiterroristica», e la pesante repressione - gente prelevata e mai più ritornata nelle proprie case, violenze, soprusi - è stata oggetto di numerose denunce delle ong, come Memorial. Tuttavia, gli sforzi di riportare l´ordine e la sicurezza sono stati vani. Le cronache raccontano di omicidi, attentati e operazioni antiguerriglieri quasi quotidiani. Intervallati da morti eccellenti.
Il 10 giugno, per esempio, viene uccisa la vice presidente della Corte Suprema, Aza Gazghireeva. Il 13 giugno, tocca all´ex vice primo ministro Bashir Auscev. Si preannuncia una lunga estate calda per Putin: non tanto perché l´economia va a picco, ma perché non basta sfidare l´Onu proclamando che la Russia «è pronta a sostenere militarmente l´Abkhazia, se necessario». Mostrare i muscoli quando la polveriera caucasica è di nuovo innescata, è rischioso: la visita di Putin è stata contrassegnata da due bombe. La prima esplosione, a Gagra, ha provocato un morto e alcuni feriti. La seconda, nella stessa Sukhumi, non ha ucciso nessuno, per fortuna. Insomma, non c´è solo il problema dell´Inguscezia. Il Daghestan è assai peggio, funestato da sanguinosissimi scontri armati tra guerriglieri e forze dell´ordine locali. Il ministro degli Interni Adilgherei Magomedtagirov è stato ammazzato il 5 giugno scorso. Tra le vittime, un numero impressionante di giornalisti, l´ultimo martedì. Il Daghestan è la repubblica russa più vasta del Caucaso, si trova in mezzo allo strategico corridoio tra Asia ed Europa. E ha alle spalle una inesausta storia di invasioni. Col risultato che gli oltre due milioni di abitanti sono suddivisi in 81 nazionalità, 30 gruppi etnici e altrettante lingue. Tanto da guadagnarsi il soprannome di "Bosnia del Caucaso". Senza dimenticare la Cecenia, che il suo ineffabile presidente ha appena definito «il luogo più sicuro della Russia». Le recentissime uccisioni degli attivisti dei diritti umani, secondo gli analisti di Mosca, sarebbero «tentativi di screditare l´autorità di Kadyrov» e minarne il prestigio di uomo «forte», protetto dal Cremlino.