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 2009  agosto 13 Giovedì calendario

QUANDO L’EUROPA SI SCOPRIRA’ MUSULMANA


Oggi gli islamici sono il 5 per cento della popolazione Entro il 2050 saranno uno su cinque. Il caso tedesco

BERLINO – Domenica d’agosto al Görlitzer Park, quartiere «alternativo» di Kreuzberg: giovani coppie con par­goli in carrozzina, gruppi di ragazzi tra musica tecno e birre, famiglie intorno ai barbecue. Würstel e bistecche sfrigo­lano sulla brace; qualcuno fa le cose de­cisamente in grande, sullo spiedo gira un animale intero. Non un maialino, ma una pecora. Donne con il velo, bam­bini dai capelli scurissimi, sonorità me­diorientali.

Che Berlino sia tra le città tedesche con la presenza più consistente di mu­sulmani non è una novità: chiunque sia passato dalle parti di Checkpoint Charlie sa che da lì in poi si spalancano le porte di Kreuzberg, culla storica del punk rock teutonico e ufficiosa (ma non troppo) capitale della comunità turca. Che, a sua volta, costituisce la fet­ta più consistente dell’islam nel Paese. Quello che nemmeno i tedeschi sa­pevano, però, è che i conti potrebbero non tornare. Fino a giugno le stime uf­ficiali calcolavano una presenza musul­mana variabile dai 3,1 ai 3,4 milioni. Poi il ministero degli Interni ha diffu­so un’indagine in base alla quale in Germania vivrebbero tra i 3,8 e i 4,3 milioni di fedeli islamici; oltre il 5% della popolazione. Nel 1945 erano 6.000, nel 1971 250.000, nell’81 un mi­lione e 700 mila.

Una tendenza, quella confermata dai dati tedeschi, che è ormai condivi­sa da buona parte dell’Europa, e alla quale il Daily Telegraph ha di recente dedicato un approfondimento dal tito­lo allarmistico: «Europa musulmana, la bomba demografica a orologeria che sta trasformando il nostro conti­nente » .

Qualche cifra: la popolazione musul­mana nell’Unione è più che raddoppia­ta nell’ultimo trentennio e raddoppie­rà di nuovo entro il 2015. Secondo l’Istituto per le politiche migratorie de­gli Stati Uniti, nel 2050 sarà di fede isla­mica un cittadino europeo ogni cin­que. E per l’economista Karoly Loran, autore di uno studio commissionato dal Parlamento europeo, è già musul­mano il 25% degli abitanti di Marsiglia e Rotterdam, il 20% di quelli di Mal­mö, il 10% dei parigini e dei londinesi. Il sociologo Marzio Barbagli, da an­ni impegnato nello studio dei fenome­ni migratori, conferma: «Nel suo ulti­mo libro, Reflections on the devolution in Europe , Christopher Caldwell calco­la che nella Ue ci siano complessiva­mente 15 milioni di musulmani: so­prattutto in Francia, Germania e Gran Bretagna. In maniera documentata, ab­braccia la tesi allarmata fatta propria da altri studiosi e giornalisti, tra cui Oriana Fallaci».

Una tesi simile a quella sostenuta qualche anno fa dallo storico e orienta­lista Bernard Lewis, per il quale nell’ar­co di 50-80 anni l’Europa sarebbe di­ventata un Paese arabo. «Alla base – spiega Barbagli – c’è il concetto per cui la religione islamica finirà per pre­valere su quella cristiana, perché gli eu­ropei sono ormai secolarizzati, tolle­ranti, relativisti, sempre più incerti dal punto di vista dei valori». Una lettura da cui il sociologo dissente: «Ci sono, al contrario, esperienze storiche che fanno pensare come, pur avendo carat­teristiche particolari, i valori di questa religione finiranno per subire le stesse trasformazioni vissute dal cristianesi­mo » .

I musulmani, a contatto con la cultu­ra europea, andrebbero a loro volta in­contro a un mutamento. «Ad esempio sulla fecondità: mettono al mondo più figli, è vero, ma la forbice si sta forte­mente riducendo». Barbagli ricorda un’indagine da lui svolta in Emilia Ro­magna, «sui bambini nati in Italia da famiglie musulmane: ebbene, quanto più tempo avevano passato nel nostro Paese, tanto meno era probabile che frequentassero i luoghi di culto del­l’islam. Il processo è lento, a volte im­percettibile, ma avviene».

E i dati tedeschi lo dimostrano: se solo il 4% dei musulmani interpellati nel corso dell’inchiesta si dichiara «per nulla religioso», il velo (tra i pun­ti più spinosi del dibattito sull’integra­zione) non viene mai indossato dal 69% delle musulmane di prima genera­zione e dal 70,7% di quelle di seconda; la quasi totalità degli studenti frequen­ta sia le classi miste di educazione fisi­ca che le ore di educazione sessuale.

Il quadro, insomma, sembra decisa­mente più roseo di quanto farebbero intendere le invocazioni alla jihad ri­suonate nei giorni scorsi al processo contro il «gruppo della Sauerland», la presunta cellula terrorista islamica gui­data dal tedesco convertito – in Ger­mania, già nel 2006 erano 14.300 – Fritz Gelowicz. Buone notizie arrivano anche (nonostante alcune polemiche interne) dalla Conferenza sull’islam creata nel 2006 per facilitare il dialogo tra governo e comunità musulmana: «L’islam – così il ministro degli Inter­ni Wolfgang Schäuble (Cdu) – è or­mai da tempo parte integrante del no­stro Paese». Una dichiarazione che, per la portavoce del Consiglio centrale dei musulmani in Germania (e mem­bro della Conferenza) Nurhan Sokyan, «ha smosso la coscienza di molti, an­che tra i musulmani. Io stessa sono di­ventata più consapevole del fatto che, come parte della Germania, abbiamo il dovere di impegnarci».

E così, i 30 delegati – metà di nomi­na governativa, metà scelti tra le varie associazioni presenti sul territorio o tra i «liberi battitori» dell’islam tede­sco, sia laico che religioso – proseguo­no nel loro faticoso cammino verso l’integrazione: la formazione di imam e insegnanti entro i confini tedeschi, la costruzione (e il controllo) delle mo­schee, gli spazi per le sepolture… «Per­ché il problema vero – conclude Bar­bagli – non è l’islam, ma appunto il modello di integrazione. Il rischio è che si ripeta quanto accaduto a Parigi nel 2005, con la rivolta delle banlieue s: giovani con la nazionalità francese, stessi diritti (sulla carta) dei loro coeta­nei, in realtà bloccati dal punto di vista della mobilità sociale. Ecco, questo po­trebbe accadere ancora, anche nella stessa Germania. Ma le differenze reli­giose, qui, non c’entrano più».