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 2009  agosto 13 Giovedì calendario

I BUONI AFFARI DEL PADRONE CHE PIACE A TUTTI


Allora Cavalier Camozzi, ha fatto una buona azione o un buon affare? «Oggi come oggi è più una cosa giusta che un buon affare. Ma ho progetti ambiziosi e sono convinto che nel tempo ci saranno spazi di crescita per quest’azienda». E se lo dice il Cavaliere del Lavoro Attilio Camozzi, classe 1937 da Villolongo di Bergamo ma bresciano dall’infanzia, che ha deciso di puntare qualche milione di euro sul futuro della Innse, c’è da giurare che - buone azioni a parte - la scommessa sarà di quelle vincenti.
Chiedi a Brescia e dintorni, del resto, è l’unico rischio che corri è quello di rimanere sommerso da una colata di consensi. C’è il Camozzi che piace ai sindacati perché nelle sue fabbriche si litiga poco e si studia molto e il Camozzi che sponsorizza il progetto per portare i non vedenti in barca a vela. Il Camozzi che gioca a carte al bar di Polpezzane, dove ha casa oltre che uno dei tanti stabilimenti, e il Camozzi tutto impresa e niente turbofinanza. E poi, ovviamente, c’è il Camozzi industriale che, spiega, ha «lavorato per la prima volta a undici anni» nelle fabbrichette della Val Trompia e oggi guida un gruppo da più di 300 milioni di fatturato, dodici aziende e oltre duemila dipendenti. Una multinazionale nemmeno troppo tascabile che sforna valvole e macchine tessili, macchine utensili e pezzi per centrali nucleari, e che si definisce pudicamente «un gruppo che sa fare tante cose». Tante davvero, se la meccanica del telescopio più grande del mondo - in Arizona - è fatta tutta in casa Camozzi, o se alla Boeing si usano le loro macchine per costruire gli aerei in fibra di carbonio.
Storia tutta da provincia bresciana, quella del Cavalier Attilio. A ventisette anni è operaio assieme ai fratelli Luigi e Giovanni a Lumezzane, nella valle che sputa acciaio e macchinari per tutta l’Italia del boom. E’ l’ora giusta per diventare padroni di sé stessi: due fratelli si licenziano, il terzo resta in fabbrica perché se poi il sogno dovesse finire male... La Camozzi Lavorazioni Meccaniche, nome pomposo per le prime due macchine comprate con la liquidazione e piazzate proprio in casa di Attilio, comincia a lavorare per conto terzi e ben presto decolla. Dieci anni, è il ”74, dopo il primo investimento all’estero, in Germania, e a seguire una crescita inarrestabile che sembra un grande «puzzle», dove gli stabilimenti di Palazzolo sull’Oglio e Paderno Franciacorta s’incastrano con quelli di Rockford, Illinois, e Dongtai, non lontano da Shangai. Così adesso Camozzi non ha esitazioni nel piazzare la nuova tessera, fino a ieri senza destino: «La Innse farà parte del nostro polo delle macchine utensili. Del resto appartiene alla stessa famiglia della Innse di Brescia, che già abbiamo».
La fabbrica come famiglia e la famiglia in cima a tutto. Nella Camozzi Holding, mai nessuna tentazione di quotarsi in Borsa, restano i tre fratelli a cui si sono aggiunti i loro otto figli. Assieme hanno designato Lodovico - figlio di Arturo - come guida operativa. Il padre mantiene la presidenza, lui è vicepresidente e amministratore delegato. Un altro figlio, Marco, vittima nel 1996 di un rapimento-lampo, fu anche brevemente indagato e per simulazione di reato ma poi l’indagine finì nel nulla.
Se sulla gru di via Rubattino, è riemersa quest’estate la classe operaia, dunque, c’è da registrare in parallelo anche il ritorno di una certa razza padana ben diversa da quella tutta finanza d’assalto e Bentley a ripetizione, raccontata fino alla nausea negli ultimi anni con Chicco Gnutti come suo massimo esponente. Adesso, invece, spunta un nuovo - o vecchissimo - «modello bresciano» che passa dalle parole dello stesso Camozzi («permettere che un’azienda così venisse distrutta sarebbe stato veramente un delitto»), ma anche dall’inedita alleanza tra l’imprenditore e Maurizio Zipponi, già mitico segretario della Fiom di Brescia e poi parlamentare di Rifondazione. Buone azioni e, probabilmente, ottimi affari.