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 2009  agosto 13 Giovedì calendario

Intervista

Intervista a Graziano e Valentino Rossi A un certo punto Valentino ha preso le bretelle e ha detto: «Oh, ma come si mettono ”ste cose qua?». Graziano lo ha guardato di traverso e gli ha risposto: «Non è che ci voglia la scienza...». stato il momento più bello, il più emblematico del servizio, perché in queste frasi e in questo gesto (Vale che non sa come mettersi le bretelle, sempre e comunque indossate da papà Graziano) c’è dentro tutto: il loro rapporto, i loro caratteri, ciò che li avvicina e ciò che li separa. Ci sono loro: Graziano e Vale. Padre e figlio. Uno il contrario dell’altro. Graziano sempre in anticipo, Vale puntualmente in ritardo. Graziano che ha vinto tre gare in 250 nel 79 ma nemmeno una in 500, Valentino che invece si è preso tutto quello che c’era da prendere. Graziano e Vale che non si sono mai detti «ti voglio bene». Però, spiega Vale, «se me lo dovesse dire risponderei ”anch’io”». E tu Graziano, cosa risponderesti se Vale ti dicesse «ti voglio bene»?. «Lo guarderei dritto negli occhi e gli chiederei: ”Ma ti senti bene?”». Eppure così simili: leggeri, estrosi, autoironici. Quando Valentino è in gara, cascasse il mondo, Graziano lo guarda in tv nell’hospitality del Fiat Yamaha Team: seduto, il foulard al collo, le bretelle, le mani davanti alla pancia, le dita intrecciate. Che Valentino vinca, perda o caschi lui resta così. Impassibile. Mai avevano posato insieme. Per Riders hanno fatto un’eccezione. Sentirli parlare è uno spettacolo. Noi non abbiamo fatto altro che dare il via alla chiacchierata, lasciare il registratore sul tavolo. E ascoltarli, godendo. Partiamo dall’inizio, qual è il primo ricordo che vi viene in mente in cui eravate insieme? Valentino: «A tre-quattro anni Graziano che mi porta in un campetto a Casinina con un altro bambino che era il figlio di un suo amico, tutti con la moto da cross». Graziano: «Io invece mi ricordo di quando ti portavo su una macchinina con le rotelline di plastica e i pedali. Una Lotus nera, hai presente? Avrai avuto tre anni ed eri completamente vittima delle mie mattate. In una zona industriale misi dei birilli in modo da formare tre-quattro curve e con una corda attaccai la macchinina a un motorino. Io guidavo il motorino e tu stavi nella piccola auto che, chiaramente, a ogni curva, andava di traverso: stavi già imparando a controllare il volante in controsterzo e ti divertivi come un pazzo. In questa immagine c’è la nostra vita o comunque la parte veloce della nostra vita». Valentino: «Da qui arriva la filosofia del traverso, una religione. Il suo credo è che la bontà di un mezzo, sia moto sia macchina, si misura da come va di traverso. Quindi se ci va, bene, se no non serve a niente. Un’altra cosa che ho imparato da te è il gusto della bagarre. Ricordo ancora la più grande strigliata che mi hai fatto» G: «Quale?» V: «Tu non mi hai mai spinto ad andare in moto ma a me piaceva da matti e ti rompevo per portarmi a correre con le minimoto. Per un periodo, però, c’è stato un certo Benelli che andava più forte di me. E una volta mi si è attaccato dietro, io ho avuto paura, mi sono spostato e l’ho fatto passare. Diobò, quando sono tornato ai box hai preso la minimoto, l’hai buttata in macchina e hai detto: ”Adesso andiamo a casa perché alla bagarre non si può rinunciare, questo non è uno sport per codardi”». G: «Deve essere stato uno dei pochissimi insegnamenti che sono riuscito a darti perché tu hai sempre preferito fare di testa tua...». V: «Non è vero, dài. Da te ho imparato anche a non prendermi mai troppo sul serio. A fare le cose nel modo più professionale che ci sia ma sempre buttandola sul ridere». G: «Questo sì. Perché la moto è un gioco, un bel gioco. Infatti quando ti mettevo sulla macchinina e ti legavo al motorino volevo insegnarti che con i mezzi non è sufficiente andare forte, bisogna anche divertirsi. Ma l’ho capito dopo. Lì per lì lo facevo inconsciamente, ci prendevo gusto e basta a vederti andare di traverso. Una specialità in cui sono sempre stato bravo». V: «Comunque, secondo me, hai inventato questa cosa del traverso perché nella velocità non eri fortissimo». G: «Può anche darsi che sia stato un ”sonato”, ma c’è stato un periodo in cui in pista andavo abbastanza forte». V: «Nel 79 hai vinto tre gare di fila in 250, però la corsa più bella l’hai fatta a Imola nel trofeo delle Nazioni con la 500 quando hai fregato addirittura Kenny Roberts». G: «Era la prima volta che gareggiavo con una 500. Un’altra gara molto bella l’ho fatta ad Assen sempre in 250, contro le Kawasaki ufficiali di Ballington ed Hansford. Però io non ne ho fatte tante, tu piuttosto... Difficile sceglierne una, ma la mia preferita è la gara d’esordio della 500 a Donington. Quando vincevi in 125 e poi in 250 tutti dicevano che eri un grande e io tra me e me pensavo: ”Aspettate, solo in 500 si vedrà se è davvero un grande...” Allora quando ti ho visto vincere a Donington ho capito che sì, eri forte sul serio». V: «Io ho goduto troppo a conquistare il primo mondiale 500, l’anno dopo. Forse perché tu avevi conquistato la 250 e poi corso in 500 senza vincere. Ecco, io ho un po’ finito il lavoro che avevi cominciato tu. Però non smetterò mai di prenderti in giro per quella volta che hai perso una gara 250 a Silverstone. Eri in testa e c’era una Kawasaki con Ballington o Hansford che ti stava per prendere». Graziano scuote la testa e dice: «Quella di Ballington...». V: «Era l’ultimo giro, invece tu pensavi che ne mancassero due e per la paura sei caduto...». G: «Va be’, pazienza. Io ancora rido della tua prima uscita con una moto vera, a Magione, vicino a Perugia, per provare una Cagiva 125 del team di Lusuardi. Avevi 12-13 anni. Ricordo che hai scaldato la moto, sei andato dentro, hai fatto 50 metri, hai curvato a sinistra e sei caduto. Ok, niente di grave, sei tornato ai box, hai controllato la moto, sei ripartito e alla stessa curva sei caduto un’altra volta. Non dimenticherò quando, al tuo rientro, ci siamo guardati e nei nostri occhi si leggeva la domanda: ”Siamo sicuri che questo sia il nostro lavoro?”. Alla fine la risposta è stata sì. Ma me ne sono convinto solo dopo la vittoria in 500. Pensa che quando hai conquistato il primo mondiale in MotoGP mi sono tagliato la treccia.  stata l’unica volta che mi sono accorciato i capelli con grande piacere». V: «Perché?» G: «Quando uno è un figo va be’, ma quando uno figo non è o ha i capelli lunghi o le cravatte belle colorate». V: «Infatti da quando ti sei tagliato i capelli hai cominciato a portare le cravatte belle colorate... Certo che sei un bel tipo. Guarda, adesso sei sposato con la Lori ma tempo fa immagino che... Diciamo che a donne siamo pari, dài». Graziano ride: «Non è vero. Io e te forse siamo stati pari quando io avevo già 40 anni e tu 16. Io non sono mai stato troppo fortunato con le donne, ho avuto un paio di mogli e per fortuna dei figli bellissimi, te e Clara (avuta da Lori, 10 anni). Ma grandi fighe no. Non sono competitivo con te. Il mese scorso non ti sei fatto vivo per tre giorni, non rispondevi al telefono, non riuscivo a trovarti. Poi sono uscite quelle foto sulla tua barca con una moretta e mi sono detto: ”Finalmente ho capito dove c...o era!”. Comunque devo dire che tutte quelle che mi hai indicato hanno goduto della mia considerazione». V: «Adesso in effetti ti dico quando mi capita di beccare una ragazza, ti dico quando mi capita di fare sesso. E ogni tanto ti ho pure indicato una e ti ho detto: vedi quella lì? Ecco, me la sono fatta. Però, dài, Graziano, da giovane eri molto bello, ti sei sposato con la Stefi presto, è vero, però dai racconti della mamma si capisce che avevi un buon successo... Poi sei sempre stato famoso per le tue stranezze: la gallina, le notti passate a dormire in auto per seguire i GP, oppure il tuo modo di vestire su cui continuo a nutrire molti dubbi. Ad esempio, porti il giubbotto anche d’estate. Perché? E le cravatte che metti da anni? E le bretelle? Alla fine però le bretelle mi piacciono, ci stanno bene su di te...». G: «Allora: tutti portano la cravatta, tutti quando hanno freddo si coprono. Quella dell’auto è una cosa da furbi, nessuno ne ha capito lo spirito. Venire alle corse con una macchina che va veloce e dormirci dentro è la forma più piacevole e più utile di vivere l’ambiente dei paddock e delle corse». V: «Adesso però viaggi in aereo privato». G: «Sì perché ho un amico che mi porta con lui. Ma quando smetterà di sopportarmi tornerò a seguire i GP europei in macchina. E questo perché in camper non riesco a viaggiare: è troppo lento, fa 110 all’ora. Dell’aereo non ne parliamo: biglietti, check in, ritardi, coincidenze, macchina a noleggio... Non ci starei dietro. La mia BMW è comoda e va a 200 all’ora, e in dieci anni avrò preso solo due o tre multe... Non dormivo in albergo perché altrimenti non sarei riuscito a stare con te, visto che durante i weekend di gara ti vedo solo la sera e la notte. Quindi l’auto è una scelta dettata dalla praticità e non dalla economicità. E poi quella della gallina... Se hai tempo te la racconto bene». V: «Certo». G: «Io e i miei amici eravamo matti veri. E in via Branca, nel centro di Pesaro, tutti passeggiavano con i propri cani ricoperti da alcuni vestitini ridicoli. Così abbiamo pensato: perché no una gallina? Allora siamo andati da un contadino a prenderne una, le abbiamo messo un guinzaglio sotto le ali e alle sei del pomeriggio, l’ora del passeggio, eravamo lì. Solo che nessuno del gruppo voleva camminare con lei in mezzo alla gente, tutti si vergognavano. Alla fine l’ho portata io; a quel punto non potevamo mica tirarci indietro... Tra l’altro a quell’ora le galline dormono, quindi lei era piuttosto stonata. Per ringalluzzirla le abbiamo fatto vedere dei polli morti da un macellaio. In effetti si riprese... La mattata finì lì. Non è affatto vero che portai la gallina alle corse. Ah, la gallina si chiamava Cristina...». V: «Certo che sei stato giovane in un periodo in cui ci si divertiva con poco, facevate molti scherzi...». G: «Un’altra volta io e altri due siamo andati nella piazza centrale di Pesaro con una scala gigantesca da 40 scalini e l’abbiamo appoggiata al municipio, dicendo che eravamo un’impresa incaricata di mettere a posto l’orologio... Però anche tu, con i tuoi amici, non è che preghi tutto il giorno...». V: «Il settimanale Chi ha scritto che in un ristorante giapponese io, Uccio (l’amico sempre al suo fianco) e altre tre ragazze abbiamo lasciato sul tavolo 27 bottiglie vuote di birra giapponese. Per me la birra Asahi è fantastica ma non è che l’ho bevuta solo io». G: «Calcolando che 20 l’ha bevute Uccio, due a testa le ragazze, te ne hai bevuta una!». V: «Io da quando avevo 18 anni ho sempre fatto molto tardi la notte ma questo non vuol dire che vado tutte le sere a ballare o a ubriacarmi. No, mi piace far tardi la notte in generale. Anche se arrivo a casa all’una non ce la faccio a coricarmi, guardo un film e alle tre ci arrivo lo stesso. E poi l’orario tra mezzanotte e le tre è il più bello: si sta tranquilli, c’è meno gente, per me è quello più rilassante perché quando vado in giro tutti mi fermano. Ultimamente però mi sveglio prima, alle 10,30-11». G: «Diciamo che hai un affiatamento particolare col sonno. Te sei uno che sale su un aereo per il Giappone, ti addormenti dieci minuti dopo il decollo e ti svegli perché ti svegliano... Incredibile». V: «Invece tu ti alzi alle sette del mattino, questa è la grande differenza tra noi. Però quando sono sveglio non sono pigro. Tu invece non hai mai voglia di fare un cazzo, soprattutto se si tratta di lavori manuali. Te la cavi sempre con la scusa che ti fa male la schiena». Graziano ride: «Questo non è vero assolutamente. E tu sei sempre in ritardo. Può andar bene con i tuoi amici che hanno lo stesso stile di vita, ma per gli altri è dura sopportarti». V: «Tu sei affidabile e io no. Però è anche vero che se non avessi avuto un figlio come me ti sarebbe toccato iniziare a lavorare, e siccome nella tua vita non hai mai lavorato non lo so cosa ti saresti inventato, forse ti saresti trovato nei pasticci...» Graziano ride ancora: «No, no, no.... Non è proprio così. Dopo tre anni dalla tua nascita avevo già cominciato a fare il pilota delle auto e avevo una mia autonomia. Probabilmente con quel lavoro non avrei avuto la pensione, questo sì... Va be’, diciamo che al mio futuro avrei pensato strada facendo, in qualche modo me la sarei cavata. Grazie a te non ho avuto modo di pensare a questa cosa». V: «Ultimamente il nostro rapporto si è riavvicinato molto. Perché già da anni mi dicevi di cambiare quello che poi è cambiato (si riferisce al suo staff e alla vicenda delle tasse) e che c’erano delle cose che non andavano nella gestione del mio personaggio. Io ho sempre saputo che avevi un po’ di ragione, ma credevo che esagerassi. Invece alla fine avevi ragione su tutto. Intendiamoci, anche prima andavamo d’accordo ma avevi un ruolo marginale nella mia organizzazione. Adesso sei una parte fondamentale: amministratore delegato della società Vale 46 e il mio mentore». G: «A me piace molto venirti a vedere, seguirti. Come quando entro nel box prima della gara». V: «Sì una specie di rito. Mi guardi, mi dai una pacca sul culo e poi vai via». G: «Per me è la cosa più normale che ci sia, mi dà proprio gusto anche venire a vedere le qualifiche ufficiali dal tuo box, sentirti spiegare le cose ai meccanici. Anche se non capisco proprio tutto, mi emoziono ancora. Soprattutto adesso che, secondo me, hai gli avversari più forti mai incontrati nella tua carriera». V: «Pure per me è così». G: «Quel trio lì: Stoner, Lorenzo e Pedrosa. Sono giovani e i giovani, si sa, riescono ad adattarsi molto più velocemente a tutto». V: «ll mio più gran nemico, invece, è stato ovviamente Biaggi». G: «Io ero un pilota atipico. Il mio nemico in pista era Marco Lucchinelli ma era anche il mio più grande amico. E per vincere, in pista, non bisogna avere amici. Noi eravamo un’eccezione. Tu sei molto amico di Marco Simoncelli, un’amicizia vera. Però se lui salisse in MotoGP sono convinto che vi allontanereste». V: «No, casomai smetterò di dargli consigli. Vorrà dire che non parleremo più di moto ma solo di... Solo di gnocca!». Graziano e Valentino se la ridono di gusto. Vale deve scappare. Ci inseriamo nella loro conversazione solo per fare un’ultima domanda. Ma quanto dovremo aspettare per vedere Valentino in versione papà? V: «Mi piacerebbe molto diventare babbo. Ma non adesso, non ho tempo». G: «Be’, può succedere anche che diventi papà all’improvviso e forse è anche meglio, perché così scopri che i figli sono assolutamente divertenti». V: «Vi faccio una confidenza: mi piacerebbe molto di più avere una bambina» G: «E perché?» V: «Boh, perché mi piace». G: «Son d’accordo che fino ai 13-14 anni sono meravigliose ma poi, quando cominciano a uscire da sole, bisognerebbe legarle in casa. Se tu fossi stata donna sarebbe stato un bel casino, dài». BOX: claudio lusuardi (responsabile del team che lo ha fatto esordire) racconta il primo valentino: quando non era ancora un campione. «La prima volta che vidi Valentino girava con le minimoto a Cattolica. Graziano mi chiamò perché voleva la mia impressione e da subito capii che era un fenomeno. Ma non ne ho gran merito, era impossibile non capirlo.Quando mi chiese di correre nel team ufficiale Cagiva di cui ero responsabile non ebbi dubbi. Allora aveva 13 anni. Lo feci provare con un muletto che tenevo di scorta. Era tanto piccino che non toccava terra con i piedi. Subito cadde e Graziano si preoccupò di non farmi perdere del tempo. Lo rassicurai: ”Vedrai che ci farà divertire” gli dissi. Presi Valentino in disparte e gli chiesi perché volesse correre con noi che non combinavamo nulla, quando tutti gli altri vincevano con Aprilia. ”Perché Graziano mi ha detto che tu mi farai vincere!” mi rispose secco e sorridente. Era quello che cercavo in un pilota, capacità, determinazione e passione. All’inizio ha fatto un sacco di disastri. Cercava sempre di arrivare più lungo degli altri sulla staccata, non curvava e ne buttava in terra due o tre che erano già impostati in traiettoria. C’è di buono che lui mi ascoltava, anche se non sembrava mai prendere nulla sul serio. E imparava: non commetteva mai due volte lo stesso errore. Guardandolo giù dalla moto avresti detto tutto tranne che sarebbe diventato un campione. Giocherellone, e sempre pronto alla burla. Era imprevedibile. Una volta a Misano erano le dieci di sera, stavamo ancora lavorando nei box quando sento un rumore e una voce che mi chiama dal muretto. Be’, ancora adesso non so come abbia fatto ma era riuscito a entrare in pista con un’Ape car: aveva 13 anni. Il vero problema era trovarlo. Non c’era mai, l’immagine più ricorrente di quel periodo è Graziano che corre disperato per il paddock, a pochi minuti dal via delle prove, in cerca del figlio. La prima grande gioia è stata quando a Binetto (Bari) arrivò quattordicesimo ottenendo i punti che gli servivano per qualificarsi alle finali del campionato italiano: festeggiò come se avesse vinto il mondiale. Quando lo guardo, rivedo il bambino di allora. Tre anni fa a Valencia dopo le prove mi ha chiamato nel suo camper. Mi sembrò di tornare indietro nel tempo, la stessa musica di Jovanotti che ascoltava, lo stesso sorriso. Mi ha detto: ”Nel momento in cui abbasso la visiera e danno il via mi rilasso”. Paradossalmente nel momento di maggior tensione, quello più pericoloso, ma lontano dai riflettori da solo con la sua passione. Credo sia questo il Valentino più vero». BOX 2nico cereghini raccontail primo GRAZIANO: quando valentino non c’era ancora «Ha vinto soltanto tre GP della classe 250. Quasi quattro: caduto a cinquecento metri dal traguardo quando era al comando. Eppure Graziano Rossi, il babbo, ha lasciato un’impronta forte sul Motomondiale perché era un tipo originale e comunicativo. Classe 1954 (14 marzo) ”Grazia” inizia diciottenne con il motocross, con qualche vittoria tra i cadetti su Maico 250. A 21 anni eccolo impegnato nella velocità, campionato italiano junior classe 250 1975; su Benelli vince due gare ed è secondo nella classifica finale. allora che passa tra i seniores; corre la prima stagione con le Yamaha 250 e 350, e nel 77 esordisce nella 500 grazie a un amico, Focarini, che acquista per lui una Suzuki RG quattro cilindri. Quell’anno - capelli lunghi e la bellissima Stefania al fianco - è tra i partenti del GP delle Nazioni di Imola, trova uno sponsor, e finalmente nel 78 riesce ad andare a punti in due occasioni: è sesto in Francia e nono in Finlandia. Lucchinelli e Ferrari sono veloci e meglio equipaggiati, in 500 c’è poco spazio e un solo team italiano di primo piano. Quando arriva la proposta di Giancarlo Morbidelli, di Pesaro pure lui, Graziano passa sulle sue moto: la 250 già vincente e la 500 da sviluppare. il 79, una stagione da incorniciare perché il 16 febbraio Stefania partorisce Valentino, in maggio arriva il primo podio e in giugno la prima delle tre vittorie in 250 (Jugoslavia, poi Olanda e Svezia). Peccato per quella caduta, in Inghilterra, ma le Kawasaki di Ballington ed Hansford avevano preso il largo a inizio anno, quando la 250 italiana usava un telaio sperimentale De L’Espinay che la rallentava. Alla fine Rossi è terzo. Poi torna in 500 con la Suzuki ma la fortuna gira: un grave incidente stradale compromette la sua stagione 1980 nel team Gallina (due podi ed è quinto). Nell’81 arranca, e nell’82 è su una Yamaha privata quando, alla 200 Miglia di Imola, cade ad alta velocità alla Piratella. Lo soccorre l’equipe di Claudio Costa, in particolare Cozza che lo intuba subito a bordo pista e gli salva la vita. Basta moto: trova una Porsche Turbo per il Rally di Valtellina e si accontenta. Da allora ancora due ruote sì, ma soltanto per i traversi alla cava».