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 2009  agosto 13 Giovedì calendario

Intervista a Brad Pitt- di Riccardo romani Siccome è appassionato di storie sul far west, quando gli è stato chiesto chi sono a suo parere i cowboy del nostro tempo, lui non ha esitato un attimo: «Sono i campioni delle moto

Intervista a Brad Pitt- di Riccardo romani Siccome è appassionato di storie sul far west, quando gli è stato chiesto chi sono a suo parere i cowboy del nostro tempo, lui non ha esitato un attimo: «Sono i campioni delle moto. Hanno coraggio, spirito di avventura, curiosità. Se Valentino Rossi fosse vissuto due secoli fa, sarebbe stato il perfetto cowboy». Brad Pitt è cresciuto in un posto celebre perché ospita il vento più pazzo del pianeta. Springfield, Missouri. Nei libri di geografia è definita con un nomignolo che non ha bisogno di postille: The wildest city of the Universe. Un posto per fegati robusti. Adesso c’è un sole che ti sembra di stare in rosticceria e tra un attimo una lama di gelo ti affonda nella carne. Così è il selvaggio west, baby. In quelli di storia invece Springfield fa bella mostra di sé perché sulla piazza principale si svolse il primo duello ufficiale riconosciuto, Wild Bill Hickok stese a pistolettate David Tutt Jr. E sullo stesso spiazzo, a un certo punto, innalzarono una copia della Statua della Libertà che utilizzarono per impiccarci decine di delinquenti, ma anche parecchi neri. Se sei un ragazzino curioso e sensibile, come puoi non rimanere affascinato dalle leggende di un luogo del genere? Il west Brad Pitt se lo porta addosso, come un languore che non passa mai. Lo scorso anno ha prodotto e interpretato un bel film forse troppo sofisticato perché in patria potessero apprezzarlo. Un western terminale e livido sulla storia di Jesse James, il bandito che con le sue rapine aveva collocato il Missouri nelle mappe dell’immaginazione popolare. Un uomo tormentato, controverso, un seme impazzito di quella terra così brutale. Un cowboy, in fondo, come lo era J.D., il balordo interpretato da Brad Pitt in Thelma & Louise, che conquistò il successo e la fama dopo appena dieci minuti di pellicola. Dell’uomo della frontiera, Pitt conserva dentro alcuni caratteri indelebili, ovviamente non quelli negativi. Una coerenza di fondo, una secchezza a volte abrasiva nel modo di esprimere le sue idee, l’urgenza di mettersi continuamente alla prova e la passione per le cavalcate. Su due ruote, naturalmente. Con le moto, come racconta, ha una storia molto personale, intima. «Ne posseggo svariate. Ho qualche chopper, ne ho uno che è piuttosto basso, con questa ruota enorme di fronte a te. Ti sembra di stare un po’ come Slim Pickens a cavallo di un razzo dentro al film Dottor Stranamore. Poi ho anche qualche moto sportiva, piuttosto aggressiva. E anche qualche enduro che non pulisco mai, perennemente ricoperte di fango». Pitt ha anche un grande rispetto per i preparatori che creano le moto e li considera alla stregua degli scultori, dei veri artisti. A Hollywood può capitare di incontrare stelle del cinema che a un certo punto ti accompagnano in garage per mostrarti orgogliosi la loro collezione di motociclette. Le vecchie Indian, le potenti giapponesi, le Harley personalizzate. Ma ti accorgi che è solo cosmesi, perché in giro c’è puzza di cloroformio e le moto hanno l’aria di non aver visto la strada da secoli. Poi ci sono quelli come Brad, con l’ossessione. Ne possiede almeno una dozzina. Ci sono i chopper, poi di certo una Ducati, una Suzuki, probabilmente una BMW da tour, quasi di sicuro una vecchia Vespa piuttosto malconcia ma efficiente. Un’altra Ducati, la SR4, l’ha da poco donata per un’asta di beneficienza. A dicembre, in occasione dei suoi 44 anni, ha ricevuto in regalo da Angelina un pezzo da centomila dollari, una Harley-Davidson Shovelhead, con telaio e serbatoio speciali . Tre ore dopo era già in strada in pasto ai paparazzi, cercando di capirci qualcosa. L’alternativa, negli ultimi tempi, è una MV Agusta Brutale con cui sembra volersi divertire quando fotografi e curiosi gli si piazzano alle costole per le strade di Los Angeles. E qui, un pochino, torna fuori il cowboy che c’è in lui, l’aria selvatica del Missouri tra le curve sinuose di Pacific Palisades. «Quello tra noi, attori e paparazzi, è uno sport poco pulito, quasi sanguinoso. Loro non rispettano noi e noi di conseguenza non rispettiamo loro. A volte è odio puro. Negli ultimi tempi le cose sono anche peggiorate, me li sento sempre appresso. E questa è una delle ragioni per cui ho scelto di usare la moto con molta più frequenza. Intanto è ciò che ho sempre fatto sin da ragazzo, poi posso finalmente viaggiare in strada come chiunque altro. Col mio casco nessuno sa chi sono, al punto che posso avvicinarmi a un auto col finestrino abbassato e sentire la musica che ascoltano. Non devo sentirmi sempre e per forza prigioniero. Sono cresciuto così, non voglio rinunciarci. In più c’è l’aspetto pratico. Cambiare corsia rapidamente, significa poter seminare i paparazzi. Li senti alle tue spalle, hanno auto potenti, i walkie-talkie che gracchiano, si scambiano messaggi in codice, ti braccano fin sotto casa, gridandosi ordini e scambiandosi consigli nel tentativo di non perdermi. Voglio che sia chiara una cosa, non cerco nessuna solidarietà, fa parte del gioco. Ma penso che sia una situazione brutta, specie quando la cosa diventa una minaccia per la mia famiglia ed è una sensazione incredibile, quando sono in moto, lasciarmeli alle spalle».  un moderno far west, dove nessuno muore ammazzato, se non la dignità e il decoro. uno stile di vita per alcuni, un tarlo per altri che hanno bisogno di divorare gossip come una medicina quasi miracolosa. «Le cose funzionano così. Sei un personaggio famoso e la tua immagine serve a uno scopo. Per molti è difficile credere che io sia una persona normale, che cerco di avere una vita normale. Un padre, che prova a fare bene il suo lavoro. Che la sera sta a casa in famiglia e la mattina prepara la colazione per tutti. Capisco che questo per qualcuno sia deludente, ma spesso la verità è sempre un po’ deludente se le tue aspettative sono surreali. L’unico rammarico è che a volte penso quanto sarebbe più bello poter parlar meno di celebrity, e un po’ di più dei guai che affliggono il mondo». C’è una cosa che sta a cuore a Brad Pitt, e non perché ha bisogno di farsi pubblicità, quanto per quel senso pratico tipico, una volta di più, dell’uomo di frontiera. «Nessuno meglio di me, cresciuto in un luogo così esposto ai capricci del clima, sa cosa vuol dire quando ti portano via tutto. A New Orleans è successo qualcosa d’incredibile e tragico, ma tre anni dopo ancora nessuno ha fatto nulla. Costruire case per gli sfollati, case prefabbricate funzionali ed economiche, è un’idea che ho avuto subito e che ha trovato immediatamente un sacco di sostenitori entusiasti. Non penso di essere Superman, o di fare qualcosa di speciale. Credo solo di essere privilegiato, di avere una vita molto più facile rispetto alla media e quella famiglia che ha perso tutto poteva essere la mia, se la mia vita fosse andata in un altro modo. Anche loro perseguivano il sogno americano, pagavano le tasse, lavoravano duro. Da giovane mi sono trovato in una situazione simile e qualcuno ci ha aiutato. Nonostante questo governo, a dispetto del momento storico buio, gli americani sono persone solidali, la gente è la parte migliore del Paese». Quando lo scorso anno il Time lo ha inserito tra le cento persone più influenti del mondo, ha motivato la scelta con una frase molto semplice: «Usa la propria fama e la macchina da presa per fare luce su problemi che altrimenti rimarrebbero sconosciuti». Gli amici lo definiscono persona nobile d’animo, affidabile, riservato. Assieme a George Clooney e Matt Damon ha messo in piedi una fondazione che si batte per sensibilizzare l’opinione pubblica sui massacri di massa nel mondo. attivo nella ricerca sull’Aids. Ha un’ammirazione cronica per Lloyd Wright e per l’architettura italiana e, non ultima, una febbre incurabile per la MotoGp che segue (forse unico americano), con l’avidità di un irriducibile adolescente fan del baseball. «Siccome siamo personaggi pubblici, non dovremmo avere idoli da venerare. Io ne ho uno che sta sopra a tutti gli altri e voi sapete bene chi è». Valentino Rossi. Un lampo gli accende lo sguardo ogni volta che ne può parlare. Hai la sensazione che per quanto perfetta, sarebbe disposto a barattare la sua vita con quella del campione di Tavullia. Magari per un giorno solo, il tempo di un Gran Premio. «Darei tutto per essere come lui. l’uomo più veloce del mondo. Quel ragazzo è un vero mago. Sarebbe capace di ipnotizzarti. Non credi sia possibile perché sembra che pesi appena trenta chili, eppure ha dentro di sé velocità ed equilibro.  capace di sdraiarsi sull’asfalto a fianco della moto, senza però cadere, mentre tiene tra le mani una macchina potentissima. un balletto, è arte pura. Rossi ha vinto campionati in serie, ma non si riempe la bocca di paroloni. Rimane calmo, pervaso da un senso di equilibrio interiore che non sembra neppure umano, che sfugge alla mortalità. Valentino è una specie di Lance Armstrong, però su ruote più rapide. Per me guardarlo in azione è come leggere una poesia». Una ruvida, irresistibile poesia. Roba per fegati forti, per gente venuta su col vento che ti spacca il muso. Storie da cowboy moderni. Brad e Valentino. Magari ci fanno anche un film.