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 2009  agosto 13 Giovedì calendario

Mick Doohan

Mick Doohan era il più duro dei duri. Anche se oggi, con quella faccia lì da signorotto alto borghese della Gold Coast australiana, non lo diresti mai. Eppure... basta citare due episodi. Anno 1992, Doohan, mentre è in testa al campionato mondiale 500, cade e si frattura la gamba destra. I chirurghi prendono in considerazione l’amputazione dell’arto; riescono poi a salvarlo cucendo insieme le gambe per sei settimane. Avete letto bene: cucendole insieme, una all’altra. Mick, quando si riprende, per tornare ai suoi livelli si allena così tanto da incurvare l’arto debole come una banana. Però ce la fa. E molto bene, visto che tre anni dopo, mentre sta per vincere il secondo dei suoi cinque titoli mondiali consecutivi, si rompe un dito durante le prove del GP di Germania. Rifiuta il trattamento analgesico con la celebre frase «non sono il tipo di persona da antidolorifici», sale a bordo della sua Honda NSR500 e arriva in pole position. I chirurghi, che negli anni hanno operato varie volte la sua gamba martoriata, restano sorpresi dalla sua capacità di sopportare il dolore. E dicono: «Mick ha preso davvero pochissimi analgesici, è quasi sovraumano». Usano proprio quella parola, «sovraumano». Poi aggiungono: « come se avesse resettato il suo termometro del dolore». Un marziano, praticamente. Doohan abbandona le corse a metà della stagione 99, quando è in corsa per il suo sesto titolo consecutivo.  coinvolto in un enorme incidente a Jerez che gli costa una nuova frattura alla gamba destra oltre alla rottura di un polso, di una clavicola e di un piede. Ancora una volta, rifiuta le medicine. «Preferisco il dolore al mal di testa che ti lascia quella roba». Dopo dieci anni di riposo, Doohan inizia a essere ripagato per quello che ha provato durante la carriera: ha abbandonato le gare con una fortuna stimata in oltre 20 milioni di dollari. Gli amici si aspettavano che tornasse in Australia, alla vita da spiaggia che faceva prima di diventare un professionista delle corse, alla fine degli anni Ottanta. Ma la storia è un’altra. «Davvero, ho provato a starmene in spiaggia per un po’, stavo lì senza fare niente di che» racconta Doohan, il cui primo impiego senza la tuta da motociclista è stato il ruolo puramente istituzionale, in Honda, di general manager per l’organizzazione della MotoGP. «Ma il far niente non era molto stimolante sul piano intellettuale. Ho diversi investimenti redditizi che non hanno bisogno di molto lavoro, ma è dura starsene seduti. Ho iniziato a pensare che fosse tempo di fare qualcosa, così ho cominciato a seguire un paio di progetti. Oggi mi tengo occupato cercando di farli andare in porto». Gli investimenti di Doohan? Eccoli. Ha delle azioni in un ristorante e nightclub di Las Vegas, opera nel mercato finanziario, noleggia jet privati, compra e vende elicotteri e la sua linea di charter fa volare per l’Australia politici, attori e rockstar. Poco tempo fa, si è regalato un nuovo elicottero AgustaWestland Grand dal prezzo di listino di 800mila dollari (circa 590mila euro). Agusta, casa madre della leggendaria MV Agusta, si è abbandonata alle cerimonie quando Doohan ha scelto il suo nuovo giocattolo. «Tengono ancora all’eredità motociclistica» dice. «Avevano una vecchia moto da GP in azienda, credo fosse una Ago, e c’era una nuova MV da strada. Gli AgustaWestland Grand, invece, sono davvero spaziosi. Il mio è un elicottero stile limousine. Può portare sette passeggeri e ha un frigo e un reparto per conservare vino e bicchieri. Mi diverte anche solo starci dentro». Ma quella di Doohan non è solo la bella vita fatta di viaggi per i cieli azzurri australiani. Ultimamente passa la maggior parte del tempo in un ufficio volante, da cui gestisce i suoi vari impegni. «Fare affari non è molto emozionante se paragonato alle corse in moto, l’adrenalina non è la stessa» racconta. « bello quando raggiungi i risultati che ti eri prefissato. come vincere. Ma, come nelle corse, non si vince sempre». L’investimento più mondano di Doohan è il nightclub Cathouse di Las Vegas. situato al Luxor, che con le sue 4.400 stanze è fra gli hotel più grandi di Sin City: di recente, è stato giudicato fra i migliori ristoranti del mondo dall’esclusivo Condé Nast Traveller. Lo chef del Cathouse, Kerry Simon, è stato scelto dai Led Zeppelin per cucinare dopo il concerto in cui la storica band si è riunita per la prima volta dopo lo scioglimento del 1980. In altre parole, il Cathouse è una sorta di ritrovo dorato per celebrità, un luogo molto diverso dal Darwin, lo strip club dove Doohan è stato arrestato qualche anno fa dopo una zuffa con un buttafuori. «Ho fatto notizia in quei posti» sorride. Doohan va a Las Vegas ogni due mesi per controllare i suoi investimenti. Altrimenti, passa la maggior parte del tempo nella sua nuova residenza di Gold Coast con la moglie Selina, la figlia di nove anni Allexis e il figlio di cinque Jack. Una casa grande, che ha perfino una pista privata da go-kart. Mick precisa che le tremende ferite che ha riportato nel decennio di gloria al top del Motomondiale sono soltanto ricordi sbiaditi. «Certe cose si dimenticano in fretta» confessa impassibile. «L’unica cosa è che la mia caviglia destra non è ancora a posto, ma ci convivo da così tanto tempo che non mi dà neanche più fastidio. Ci sono dei punti in cui ho parecchie cicatrici, ma sembro conciato peggio di quanto non sia». Il ritorno di Doohan dall’incidente del 1992, quello che stava per mettere fine alla sua carriera, è stato estremamente eroico. «Non ero pronto a ritirarmi, probabilmente avrei dovuto, ma volevo continuare a correre». E non ha soltanto dovuto affrontare l’enorme dolore, ma anche imparare di nuovo l’arte della moto, manovrando con il pollice sinistro il freno posteriore, che dopo gli infortuni alla gamba destra era stato trasferito sotto la leva della frizione. «Ho trovato un altro modo di guidare, non avendo sensibilità in una gamba. Ci sono state volte in cui non credevo di farcela, ma ero deciso a tentare tutte le strade prima di arrendermi e, fortunatamente, ce l’ho fatta. Non mi sarei dato pace se non ci avessi provato». Dopo l’incidente, Doohan ha conquistato 45 delle sue 54 vittorie in MotoGP, oltre a tutti e cinque i suoi titoli mondiali. E ammette che, quando la sua carriera fu brutalmente stroncata dalla caduta di Jerez del 1999, puntava a battere il record di tutti i tempi, quello delle 68 vittorie di Giacomo Agostini, adesso superato da Valentino Rossi (di lui, e degli altri piloti italiani anni Novanta, parliamo da pagina 120). «Iniziavo a pensarci, era un obiettivo personale. Nel giro di una o due stagioni mi sarebbero mancate poche vittorie per raggiungerlo. Avrei voluto continuare con le corse prima di mettere la moto in garage, ma non ho rimpianti per come è finita». Anche i più grandi rivali di Doohan hanno chiuso la loro carriera a causa di traumi: Kevin Schwantz ha mollato nel 1995 per complicazioni ai polsi e alle anche, mentre Wayne Rainey si è rotto tragicamente la schiena nel 1993. Doohan fa parte di quegli ex motociclisti che non si preoccupano molto dello sport che, in passato, è stato tutta la loro vita. «Non saprei dire quando ci son le corse» ammette. «Ci provo a guardare la MotoGP, se ci riesco, il problema è che in Australia le gare vengono trasmesse molto tardi. Sto invecchiando, mi siedo davanti alla Tv ma alla fine mi addormento». C’entra il fatto che gli ultimi modelli con cui si corre nella MotoGP, oggi, sono molto diversi (e più elettronici) dalle 500 cc a due tempi a cui era abituato Doohan? No, assicura, l’arrivo della tecnologia era inevitabile. «Era prevedibile e non cambia il risultato: quelli che sanno come guidare la moto sono quelli che vincono le gare. Forse rende la vita più facile ad alcuni, ma i bravi vincono sempre. Rossi, Stoner e Pedrosa vincerebbero anche senza controllo della trazione». E come la mettiamo con le poche emozioni che si provano guardando le gare di oggi? Qui Doohan stringe i denti e mugugna: «Bisogna assolutamente evitare che la MotoGP diventi una Formula Uno su due ruote». Certo, non c’era controllo della trazione ai suoi tempi. «Solo il mio polso destro» sorride. Durante la sua ultima stagione, l’HRC introdusse alcune tecnologie antispin. «Ma eravamo allo stadio embrionale, tutt’al più un ritardatore di accensione per le prime marce in caso di fondo bagnato, riduceva le potenzialità della moto». Doohan mostra grande rispetto per i protagonisti attuali della MotoGP, che sembrano avere molte delle sue caratteristiche: l’atteggiamento schietto, l’aggressività spietata e l’inarrestabile velocità. «Non ho mai guidato una moto solo per dare gas. E Stoner è uguale, guida sempre al cento per cento, come anche Rossi. Quelli che guidano la moto sfruttandone tutte le potenzialità sono quelli che ottengono i risultati. Ovviamente, si impara di più dando il massimo. Molti indugiano e poi spingono negli ultimi giri delle qualificazioni. Poi si chiedono perché non riescono ad andare veloci per 30 giri di gara. Stoner è sempre stato veloce, è caduto qualche volta nel 2006, ma la Ducati e le Bridgestone sono un’ottima combinazione, in più lui ci sa fare. Ha uno stile diverso da Rossi, il che è buono. Rossi è il tipo magrolino che spinge la moto fra le gambe, ne ha sempre il pieno controllo». Stoner ha iniziato a correre a quattro anni, quando aveva solo un anno in meno dell’età che ha oggi il figlio di Doohan. Inizierà a gareggiare presto anche il tuo Jack? «No, si è rotto in malo modo una gamba alla festa del suo quinto compleanno» dice Doohan. «Era sulla sua PW50 quando un amico gli ha tagliato la strada. Per fortuna un dottore che avevo conosciuto ai tempi delle mie disavventure, lo ha rimesso in sesto, ma è stata frattura decisamente brutta. Preferirei che non corresse con le moto, anche se mi tormenta in continuazione. Se vorrà gareggiare, lo potrà fare quando sarà grande abbastanza per prendersi la responsabilità delle sue scelte». Dunque Doohan non trascorrerà la sua maturità a consigliare al figlio come piegare e dare gas, in compenso ha dispensato consigli a un novellino di 38 anni di nome Michael Schumacher: «Ho passato un po’ di tempo con lui qualche settimana fa, nella sua casa in Svizzera.  elettrizzato dalla moto, ma è ancora in una fase iniziale. Deve imparare molto e, sfortunatamente, l’unico modo di imparare con la moto è sbagliare». E Mick Doohan lo sa meglio di chiunque altro. Lo insegna la sua storia.