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 2009  agosto 13 Giovedì calendario

Matteo Marzotto, Paolo Barilla, Maurizio Bombarda e Giuseppe Recchi

Matteo Marzotto, Paolo Barilla, Maurizio Bombarda e Giuseppe Recchi Non servono 200 cavalli per correre, andare forte e vincere. Basta la passione. Lo sanno bene quattro imprenditori di fama, Matteo Marzotto, Paolo Barilla, Maurizio Bombarda e Giuseppe Recchi. Manager di successo nella vita di tutti i giorni, piloti convinti quando scendono in pista. Si sono sfidati alla Triumph Thruxton Cup 2008 e, già ora, pensano al prossimo 26 aprile, quando torneranno al Mugello per la prima gara della stagione. A cui potreste partecipare anche voi, magari soffiando la pole proprio a uno di loro... Matteo Marzotto Classe 1967, cresciuto nel mondo della moda, è tra i manager più importanti. Ha riscoperto le gare in moto in maniera soft, con la Thruxton Cup, ma quest’anno non correrà solo qui: la Kawasaki lo porta al Civ, il campionato italiano velocità a bordo della ZX-6R 600. Un bel salto, partendo dai 68 cavalli Triumph... Come nasce la passione per le due ruote? « qualcosa che inizia molto tempo fa. A circa nove anni ho mosso i primi passi nel minicross, poi nei cadetti. Un periodo positivo visto che Cagiva, a metà degli anni Ottanta, mi supportava con ottime moto e un team eccellente: amici che mi hanno cresciuto agonisticamente, insomma. Per me la moto e lo sport sono stati una scuola di vita, anche quando la vita mi ha portato su strade diverse». La sua prima volta in pista? «Lo dico sempre, la vita ti porta dove vuole. Il 25 aprile 2007 accompagnai il mio amico Paolo Barilla sul circuito di Vallelunga, dove si stava svolgendo una giornata di prove libere. Nel box del team c’erano una tuta e un casco in più, oltre alla moto muletto da utilizzare in caso di necessità. Non avevo mai girato in pista ed erano sedici anni che non salivo in sella a due ruote. Ecco l’occasione giusta... da lì ho iniziato a mettermi alla prova nella Thruxton Cup e sulle supersportive». Esistono delle analogie tra il mondo della moto e la sua professione? «Be’, nella vita si rischia la faccia, il patrimonio e la credibilità. L’analogia sta nel fatto che tutto ciò che fai è figlio di decisioni, lavoro, determinazione, fatica. Come per andare forte in moto. Devi allenarti, rimanere integro e, qualche volta, limitarti. Devi anche capire quando prendere i tuoi rischi». Lei è anche molto impegnato nel sociale... «Ho costituito, insieme ad alcuni amici, la Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica (fibrosicisticaricerca.it), malattia genetica di cui è morta mia sorella. Si tratta di un’organizzazione unica in Italia per la ricerca, perché seleziona, attraverso un comitato scientifico e bandi di concorso internazionale, alcuni progetti di ricerca che poi vengono finanziati. In dieci anni ne abbiamo sovvenzionati 110. La fibrosi cistica non è una malattia rara, ma dura da gestire e con numeri enormi». Maurizio Bombarda Nella Thruxton Cup corre anche il presidente della Ber Racing, l’azienda che importa i caschi Arai in Italia. E per lui la sfida è anche in famiglia, visto che gareggia contro i figli Francesco e Giacomo. Bombarda, ha due avversari in casa? «Avversari e concorrenti che stanno dimostrando di andare più forte del papà. Scherzi a parte, Francesco e Giacomo hanno un passato agonistico importante nello sci e, oggi, la cosa più bella è essere tutti assieme su altre piste, visto che c’è una vera passione dietro questa partecipazione familiare. Sono contento soprattutto perché sono riuscito a tramandare l’amore per la moto e per le corse anche ai figli, senza mai spingerli direttamente. Ed è piacevole parlare di moto, di regolazioni, di tecnica: è stimolante il confronto e, perché no, anche prendere paga da loro». Certo che lei fa sul serio in moto... «Quindici anni fa, con un gruppo di amici modenesi, avevo iniziato a girare in pista con Luca Cadalora (tre volte campione del mondo nelle classi 125 e 250). Poi ho saputo della Thruxton Cup e ora eccomi qui». Come commentano alla Ber Racing questa sua partecipazione? « tutto coerente con ciò che rappresento, perché il mio lavoro rispecchia la grande passione che ho per le due ruote. In azienda, il fatto che Bombarda vada a correre viene visto come pura passione e trasmette un valore positivo anche ai miei collaboratori». Divertimento, lotta in casa... e poi? «Di sicuro la moto è una passione che solo chi la vive può capire fino in fondo. Un esempio calzante è Paolo Barilla: alla fine della gara di Misano mi ha confessato che, nonostante i suoi ottimi trascorsi automobilistici, le emozioni che regala la moto non ha eguali. Va al di là del semplice divertimento, si tratta di sensazioni uniche». Paolo Barilla Nato nel 1961, è il vicepresidente della grande azienda alimentare italiana che porta il suo cognome. Ma è anche uno sportivo con un importante curriculum agonistico, anche in F1. Come si passa dalle auto alle moto? « come tornare bambini. Ricordo, a 14 anni, la prima volta che provai un kart: ero emozionato, fu un’esperienza straordinaria. Dopo 30 anni eccomi qui, di nuovo le stesse emozioni con la moto: una nuova sfida!». Quali sono le differenze? «L’auto è stabile, la moto no. La prima si guida con il volante, la seconda con il corpo, un approccio differente che all’inizio non è facile da interpretare. In entrambi i casi occorre un coordinamento tra fisicità e decisione nella guida, non bisogna essere violenti nei movimenti ma si deve indirizzare il mezzo dove si vuole». La vita nei paddock: che cosa cambia? «Qui c’è un ambiente più ruspante e semplice, proprio come la moto. Nelle auto, già a partire dalle categorie minori, c’è l’emulazione del modello Formula Uno. Un approccio e uno stile ricercati fin da subito tra i più giovani. inevitabile che venga smarrito il concetto di divertimento». Giuseppe Recchi Torinese, figlio di imprenditori nel settore dei lavori pubblici, è alla guida della divisione Italia e sud est Europa di General Electric. Una storia lunga, tra lei e la moto… «Comprai il casco risparmiando la paghetta, nella speranza di indurre mio padre a regalarmi la moto, a 14 anni. Era uno dei primi integrali da cross, un Vip Helmet, ma il trucco non funzionò, tanto che lo usai a lungo in bicicletta. La prima moto arrivò a 15 anni e mezzo: un Fantic Caballero 50 del 78, con cui feci le prime esperienze di enduro in montagna». Che significato dà alla competizione? «La competizione è l’esaltazione naturale delle sensazioni che offre la moto. Non ricordo emozione più forte della partenza in una gara di motocross, quando vedi con la coda dell’occhio l’allineamento di oltre 30 visiere abbassate su altrettanti parafanghi multicolori. Poi l’adrenalina, che esplode quando indovini il tempo perfetto in cui si abbassa il cancelletto e scatti infilando in successione le marce, per piombare come un proiettile alla prima curva dove dovrai sgomitare per uscirne bene verso il primo salto. In tutte le discipline, la partenza è il momento che mi dà le sensazioni più forti». Che tipo di piloti apprezza? «Mi piacciono i piloti essenziali, nel carattere e nella guida. Quelli che sono veloci con qualsiasi mezzo. Nella MotoGP Valentino è un grande, ha messo a punto la Yamaha a uno standard che oggi permette a tutti di andare forte. Stoner è un re del rodeo, doma la Ducati prendendola a schiaffi. Mentre tra i nuovi trovo aggressivo Andrea Dovizioso ma, se devo sceglierne uno, il più grande è stato Stefan Everts (dieci volte campione del mondo di motocross). Ineguagliabile!».